E il non-romanzo diventa gioco teatrale

Ronconi, braccio di ferro con Gadda In scena a Roma il «Pasticciaccio», la nuova sfida del regista a un capolavoro apparentemente irriducibile Ronconi, braccio di ferro con Gadda E il non-romanzo diventa gioco teatrale fflROMA GNI tanto Luca Ronconi saggia le forze proprie e quelle del mezzo teatrale imponendo a entrambe un compito futile e grandioso, quello di rappresentare puntualmente un testo letterario che sembrerebbe irriducibile {Orlando furioso, Gli ultimi giorni dell'umanità) e che quindi stimola soluzioni audacissime. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda (in programmma al Teatro Argentina fino al 10 marzo) è un'altra di queste operazioni: un non-romanzo in cui la storia non conta (anzi, addirittura non si conclude, benché si tratti di un giallo), e l'indagine del commissario Ingravallo è solo il pretesto per una rassegna di gentuccia, piccola borghesia e proletariato agreste e inurbato, nella provincialissima Rometta appena occupata dai fascisti rassegna accompagnata da una indagine linguistica nelle parlate di tale curioso coacervo umano, commentata dall'autore con un virtuosismo barocco anche mimetico, culminante in pezzi di bravura su episodi irrilevanti come una vecchietta che se la fa sotto, o il peto che sfugge a un milite carponi. In passato il Pasticciaccio fu adattato per cinema e tv, ma a costo di snaturarlo assai. Ronconi ha imboccato la strada opposta. Nella sua versione il libro non è stato minimamente modificato, è stato solo tagliato per blocchi ricavati dalle due stesure pubblicate, e recitati pari pari. Claudio Longhi, autore della edizione critica del copione acclusa al programma, parla di «scomposizione del di- scorso narrativo in cellule "drammatiche" portando ogni tassello su di una nuova linea di scrittura e specificando il nome del personaggio chiamato a pronunciarlo». In altre parole, il parlato non contiene solo i dialoghi, ma anche e soprattutto le descrizioni e i commenti, a partire dal fatidico incipit, «Tutti lo chiamavano don Ciccio», detto da Ingravallo in persona. Abbiamo insomma una lettura del libro a più voci, dove tutti sono contemporaneamente personaggi e autore. Ora, questo è ottenuto con un piglio e con una disinvoltura tali, che il pubblico sta immediatamente al gioco, divertendosi molto ai fluidi sdoppiamenti. Inoltre lo spazio amplissimo del palcoscenico dell'Argentina è impiegato in modo geniale, con la scenografia di Margherita Palli neutra ma sempre in moto (pareti nude é metafisiche in cui si aprono porte invisibili, botole, mobili agilmente spinti dentro e fuori) caldamente illuminata dalle superbe luci di Sergio Rossi suggestive degli sciroccosi colori capitolini. In questo vuoto imponente ma cordiale formicolano folle (circa cinquanta interpreti) composte dì tanti individui provvisti di identità: esiste ancora il quartiere, il popolino, la gente. E il saporitissimo dettato di Gadda è pretesto per una galleria di caratterizzazioni irresistibili, fra cui magnifiche quelle di Paola Bacci (la svenevole contessa derubata), di Massimo De Rossi (il questore Fumi, napoletano e maschilista), di Corrado Pani truccato come un viscido Peter Finch (il marito della vittima), e di Gian Paolo Poddighe, che come l'astante cui sono affidate le celebri tirate di odio contro Mussolini azzecca miracolosamente la pronuncia romanesco-petroliniana, oggi scomparsa; accanto a loro vanno ricordati almeno anche Ilaria Occhini, cadavere insanguinato che poi si rialza e partecipa, Massimo Popolizio bellim¬ busto ambiguo, Sabrina Capucci infida cameriera, Giovanni Crippa tronfio tenente piemontese. Non trascuriamo tuttavia il fronte del meno riuscito. Qui troviamo, ahimé, proprio il protagonista Ingravallo, che è Franco Graziosi: nordico, segaligno, vissuto, «attore», mentre il don Ciccio di Gadda sarebbe giovane, molisano, causidico e grassoccio; ma forse si è voluto evitare di alludere a Di Pietro. Per di più Ingravallo dopo appetitose premesse, nella fase centrale latita, e quando alla fine torna ci eravamo quasi dimenticati di lui. Il limite dell'operazione co- munque è un altro. Per quanto tempo siamo disposti a sentirci leggere un libro che non possiede, lo dicevo sopra, una vicenda sufficientemente trascinante, ma che vive tutto sulla pagina, sull'excursus, sulla nota marginale? Capolavoro di scrittura e di ironia, il Pasticciaccio condivide con quasi tutta la narrativa italiana l'assenza di una trama robusta e avvincente. Così fatalmente il nostro giubilo nell'ascoltare divagazioni a un certo punto scema, né il regista può continuare in eterno a movimentarle col brio del primo paio d'ore, in cui ci sono trovate a iosa, come quella del crollo di una facciata di casa sugli astanti che però rimangono in piedi e incolumi, essendo stati piazzati strategicamente nei buchi delle finestre; o come le sedie a rotelle che servono ai commensali di casa Balducci per allontanarsi e venire a parlare alla platea. In conclusione, abbiamo tre parti di circa 90 minuti cadauna. Alla fine della prima pochi in sala possono dubitare di stare vivendo la più tonica, ricca, spiritosa e accattivante serata offerta dal teatro quest'anno. Alla fine della seconda l'entusiasmo è calato, ma comunque si resiste volentieri. Della terza parte il meglio che si può dire è che non cancella il buon ricordo della prima. Generosamente insomma Ronconi, imboccata la via, la segue fino in fondo. Se fosse più furbo, e ci presentasse solo la prima parte, magari con un pezzo della seconda, chiamandolo proposta, appunti o quello che volete (come del resto ha fatto con Peer Gynt), lo imploreremmo di darci anche il resto. Siamo proprio incontentabili. Masolino d'Amico Nessuna modifica: il testo è tagliato per blocchi e recitato pari pari dagli attori Ma per quanto tempo il pubblico può restare attento? : il testo è e recitato agli attori riosto e di Kraus, Gadda (a destra) Luca Ronconi: dopo i testi di Ariosto e di Kraus, si cimenta ora con il «Pasticciaccio» di Gadda (a destra)

Luoghi citati: Argentina, Roma, Rometta