L'«anomalia» della ricevuta fiscale e l'universo di spot e tv

I bambini vogliono contare di più AL GIORNALE V«anomalia» della ricevuta fiscale e l'universo di spot e tv Vogliamo in mostra la Guardia di Finanza Ho letto le lettere riportate nell'ultimo periodo sul problema dei mercati di antiquariato, piccoli o grandi. Mi permetto di esprimere la mia opinione al riguardo, avando iniziato circa 5 anni fa a collezionare cartoline antiche della mia città e frequentando pertanto le varie mostre che si svolgono in grandi o piccolo centri. Preciso che la mia esperienza è limitata all'Emilia Romagna e Veneto e riguarda le mostre di filatelia e numismatica. In generale, prima dell'ingresso dell'edificio dove si svolge la mostra, vi sono numerosi «espositori» che vendono i loro oggetti, depositati all'interno di automobili. Queste persone sono tutte sprovviste di licenza e quindi non rilasciano nessuna ricevuta fiscale. Ma le sorprese iniziano quando si entra nelle sale della mostra. Si può fare acquisti da ognuno degli espositori, percorrendo la mostra dall'inizio alla fine, e vi è la quasi assoluta certezza che nessuno rilascerà, se non richiesta, una ricevuta fiscale. Volendo, si può teoricamente proseguire negli acquisti per un'intera giornata e l'esperienza si ripeterà inalterata. La richiesta della ricevuta è giudicata dai venditori come una anomalia e frequentemente la ricevuta non viene emessa perché l'espositore afferma di non essere provvisto di licenza, pur avendo acquistato regolarmente uno spazio dagli organizzatori. Si noti che quanto riferito non capita solo nei mercatini, ma anche in grandi mostre nazionali e internazionali, come quelle che si tengono a Verona o Riccione. Ho sollecitato talvolta chiarimenti ai responsabili su questo problema e mi è stato riferito che molti espositori teoricamente non potrebbero vendere, ma solamente «scambiare» merce. In realtà però si limitano a vende- re evadendo totalmente le tasse. Per un'idea delle «miserie vendute» cui accennano alcuni lettori, il prezzo di una cartolina del primo Novecento di Reggio, non rarissima, può oscillare dalle 10 alle 250 mila. Ciò che mi ha sempre colpito nella visita a queste mostre è la continua assenza della Guardia di Finanza o Vigili. Basterebbe che per l'intera durata della mostra fossero presenti agenti della Finanza, e si potrebbe immediatamente avere un riscontro, per confronto, colle ricevute emesse nella precedente mostra, di quanto sia rilevante l'evasione fiscale in questo settore. Gianni Santachiara Reggio Emilia Quel circuito ci costa caro Il circuito televisivo della Fininvest manda in onda in questo periodo un filmato il cui messaggio vorrebbe farci credere che vedere una televisione privata non ci costi niente, al contrario di quella del servizio pubblico a cui dobbiamo pagare un canone: e così si illude la gente! Io invece mi chiedo quanto ci vengono a costare tutte queste tv, Rai inclusa. Manteniamo tramite esse migliaia di persone, che per lo più producono beni effimeri, come quello dello spettacolo, e cioè producono un bel niente che possa avere valore per la nostra economia. Anzi mi chiedo se in qualche modo non la danneggino, dato che pagando di più prodotti pubbbeizzati non facciamo altro che alimentare il caro-vita. Fra i due mali, qual è il meno peggio? Pagare un canone o finanziare spot spesso inutili, da cui poi esserne bombardati facendo arricchire forse qualche miliardario divo televisivo. Ritengo dunque quel messag- gio del filmato sopraddetto un falso, perché non è vero che paghiamo solo la Rai, paghiamo tutto e sono decine e decine di miliardi che escono dalle nostre tasche per mantenere questo caotico universo televisivopubblicitario. Domenico Coppola, Torino Le vere catastrofi sono le guerre La perdita di un qualcosa, al quale si è legati anche solo attraverso ricordi indelebili nel tempo, è sempre motivo di grande dolore. Capisco chi ha espresso questo sentimento, alla notizia dei- la distruzione del teatro «La Fenice» in Venezia. Comunque, anche se sarà un'altra cosa dell'originale, già andato in fiamme nel secolo scorso, verrà ricostruito, ancora più bello. Ciò che non condivido, sono le parole «lutto», «tragedia» che ho sentito pronunciare da varie personalità dello Stato. A mio avviso, questi termini si utilizzano per catastrofi naturali e non, nelle quali perdono la vita esseri umani. Lungi da me la volontà di offendere chi sta soffrendo per questa perdita gravissima, sia storicamente che culturalmente parlando, però trovo eccessivo ricorrere ai termini sopra citati. Se questa è una tragedia, un lutto, che cosa sono le perdite umane dovute a guerre come il conflitto bosniaco o la guerra civile nello Sri Lanka, dove alcuni giorni fa, in seguito a un attentato spaventosamente tremendo, hanno perso la vita molte persone, che con codesto conflitto nulla hanno a che fare? Senza parlare dei disastri naturali, come l'alluvione che ha colpito nel novembre del '94 il Piemonte, risparmiando per fortuna la mia città. Forse certi disastri, catastrofi, si avvertono soprattutto se si è colpiti in prima persona. Ma la distruzione di qualcosa di inanimato è infinitamente trascurabile, secondo la mia modestissima opinione, se paragonata alla morte. Roberto Minazzi Casale Monferrato (Al) Dio non è crudele come noi Trovo terrificante il paragone che fa la signora Maria Ferro di Alba nella sua lettera intitolata «Scommettiamo con Pascal» su La Stampa del 3 febbraio, equiparando le anime che bussano alla porta dell'aldilà con gli emigranti che bussano alle frontiere delle nazioni ricche. Intanto, non vedo quale colpa possa essere attribuita agli emigranti, per giustificare la loro esclusione dal banchetto degù" opulenti: è piuttosto l'egoismo dei banchettanti che provoca la chiusura verso gli altri! Ma, soprattutto, non credo che Dio si comporti con la stessa crudeltà degli uomini, e perciò sono convinto che nel suo Re¬ gno, se esiste (e possiamo benissimo scommetterci, con Pascal, ma senza sbattere in faccia al prossimo la nostra scommessa come violenta certezza), ci sarà posto per tutti, molto al di là del la variabile miopia di ciò che quaggiù si chiama pomposamente giustizia. Carlo Molinaro, Torino Le sofferenze degli ex soldati Venerdì 9 febbraio leggevo l'articolo di Fulvia Caprara sul prossimo film di Rosi. Giunto all'indicazione del luogo delle riprese, l'Ucraina, la lettura si è interrotta e ho pensato a mio padre che trascorse due anni in un campo di prigionia a Rostov, presso il confine orientale di quella regione. La guardia alla frontiera Giù seppe Villa, terminata la guerra contro la Francia, viene trasferita in Albania, quindi in Grecia A11'8 settembre 1943 si trova nell'ospedale di Corfù, colpito dalla malaria. I tedeschi lo trasferiscono nella rniniera di piri te a Bor (ex Jugoslavia), poi giungono i russi e, dopo un lun go viaggio sul Danubio, la nuova destinazione è Rostov. Malattie, denutrizione e maltrattamenti, numerosi quanto le ubriacature delle guardie, decimano i suoi compagni. Lui sopravvive e torna a rivedere la sua casa, non i genitori, morti entrambi durante la guerra. Non solo gli ebrei pagarono duramente le foibe di altri. Pur troppo il «peccato originale» di aver servito in un esercito perdente e in un'epoca infausta grava ancora sugli ex soldati italiani e si manifesta nella scarsa attenzione che anche i registi hanno per le loro soffe renze. Chissà se Francesco Rosi saprà interrompere questo oblio. dr. Mario Villa Ponderano (VerceUi)

Persone citate: Carlo Molinaro, Domenico Coppola, Francesco Rosi, Fulvia Caprara, Gianni Santachiara, Maria Ferro, Mario Villa, Roberto Minazzi Casale Monferrato, Rosi