Derby i ribelli dell'età del jazz
la memoria. Gli anni ruggenti del mitico locale milanese : un libro per festeggiarlo la memoria. Gli anni ruggenti del mitico locale milanese : un libro per festeggiarlo Derby, i ribelli dell'età del jazz La piccola Scala del cabaret ~fT\ MILANO | < HE cosa è stato il Derby? ! Il primo cabaret italiano, I i vien da rispondere risa\A I lendo ad usi e costumi di quell'Italia provinciale che, nel 1959, inaugurava trasmissioni come Canzonissima. Oppure: un serbatoio inesauribile di talenti per lo spettacolo italiano, soprattutto nella stagione della tv commerciale. Basta scorrere le pagine di II Derby Club Cabaret (curato da Margherita Boretti e Angela Bongiovanni, edito da Zelig) presentato ieri sera in una festa a Milano in ricordo del locale, per capire come sia impossibile anche solo immaginarsi la storia della tv o della canzone senza tener conto di chi è passato sul palcoscenico del Derby. Ma, in realtà, quel locale dalle parti di San Siro è stato assai di più. C'è qualcosa nei locali notturni, soprattutto di ima città all'apparenza «diurna» votata solo al lavoro e all'efficienza, che ci parla dell'inconscio. «Nei locali di Milano - ha scritto Oreste Del Buono - affonda una mitologia metropolitana, sono lo specchio per cogliere l'essenza di una città contraddittoria». E questo vale soprattutto per il Derby, destinato a raccogliere, dal '59 all'87, umori e anche paure di una metropoli-simbolo. II «Dai, facciamo un salto al Derby...» era quasi diventata una parola d'ordine nella Milano del boom, a cavallo tra le speranze della stagione del benessere e quella della strategia della tensione. Ad una certa ora della sera, anzi della notte, sembrava scontato dirigersi, attratti da un invisibile calamita verso quel locale sorto dalle parti di San Siro, proprio nel '59. In origine, nelle intenzioni dei fondatori, Gianni (il mitico «Bongio») ed Angela Bongiovanni - ma un contributo determinante veniva da musicisti del calibro di Enrico Intra o Franco Cerri - doveva essere un locale dove si poteva sentire jazz. Il che era già una rarità, per le usanze del tempo. Ben presto, però, divenne qualcosa di diverso: un ritrovo di amici, un luogo informale dove, piccola rivoluzione, capitava al pubblico della Milano bene, architetti, dentisti, nobili ed industriali di mescolarsi con la gente dello spettacolo. Spesso e volentieri, il programma della serata veniva rivoluzionato dall'arrivo di un ospite inatteso. Più spesso ancora cadeva, all'improvviso, il confine tra attori e platea. Era, questo rimescolamento dei ruoli, il simbolo di una stagione di cambiamento, di caduta degli steccati. Ma anche, e soprattutto, della voglia di conoscere e di cambiare. Allora il Derby raccoglieva, accanto ai jazzisti e il primo «nucleo duro» del cabaret (dai gufi a Iannacci) una squadra straordinaria: da Tino Buazzelli a Marchesi a Beppe Viola. Che notti, quelle notti al Derby quando Silvio Berlusconi era un bambino. Oppure anche lui partecipò alle serate dalle parti di San Siro? Angela Bongiovanni, la lady cabaret di San Siro, ci pensa un po', poi dice: «Mi sa tanto di sì, io quella faccia l'ho vista da noi. Era uno di quei ragazzini che stavano a ascoltare i jazzisti che provavano. E poi...». E poi? «Poi mio marito, h faceva salire sui palcoscenico». Ci sono saliti in tanti: Margherita Boretti ha raccolto le testimonianze degli artisti lanciati dal locale, e ha censito più di 300 nomi. Non è solo nostalgia di quando, trent'anni fa, come dice Maurizio Vandelli, il leader dell'Equipe 84, la signora Angela «imponente, lanciava ordini a tutti, clienti compresi». C'erano Enzo Jannacci, Paolo Villaggio, Teo Teocoli, Cochi e Renato, Enrico Beruschi, Lino Toffolo, Febee Andreasi, Calà-Smaila-Oppini-Salerno. E gli ultimi frutti di quella scuderia straordina¬ ria, Giorgio Faletti e Francesco Salvi o Paolo Rossi. C'era gente come Gianfranco Funari che implorava un'occasione («sarà venuto almeno quattro volte su da Roma. E io alla fine ho detto al "Bongio", diamogli una possibilità...»), oppure come Dino Sarti, già matura («se uno di quell'età vuol far cabaret, deve avere qualcosa dentro...»). Diego Abatantuono, poi, al Derby era di casa, per davvero, perché era il figlio della Rosa, guardarobiera e sorella di Angela... «A quel bambino di otto anni - ricorda Andreasi - grassoccio e insicuro avevo predetto un futuro da portiere del Milan...». Massimo Boldi ricorda così il debutto: «Salii sul palco con l'aiuto di Jannacci: un fiasco tremendo. Fa niente, mi diceva il "Bongio", sei avanti di vent'anni. Aveva ragione lui, aveva delle antenne che nemmeno radio Londra si sognava. Figuriamoci Canale 5». Eppure, lì si fa¬ cevano le ossa gli uomini-chiave del Biscione, tipo Columbro o Antonio Ricci, allora cabarettista (pare con scarsi risultati). La tv, negli anni ruggenti, del resto voleva dire Rai e soltanto Rai. I ricordi si affollano: Francesco Salvi con il sacchetto della spazzatura per raccogliere le risate del pubblico, Toni Santagata che ancor oggi ricorda «la preziosa collaborazione di Everardo Dalla Noce», gli scherzi e le poesie di Beppe Viola. Sotto, nel pubblico, Craxi si era mescolato con padre Eligio, Rivera con il mago Zurli, Mennea, Gaetano Afeltra e Luciano Bianciardi. La città e i suoi comici: non solo comici. Anzi, come ha scritto Del Buono, la città rispecchiata nel luogo-simbolo «di un'essenza ribelle alla stessa tradizione per cui i comici sono spesso tragici mascherati» Ugo Bertone Da Cochi e Renato a Jannacci e Villaggio da Boldi ai Gatti e a Paolo Rossi, così è nato un nuovo modo di ridere Renato Rascel con Angela e Gianni Bongiovanni, gli inventori del Derby. A destra un'esibizione di Enzo Jannacci, Cochi e Renato. Sotto Massimo Boldi, un altro protagonista delle notti nel locale
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