Ma nella Seconda Repubblica resta «la voglia di nonno» di Filippo Ceccarelli

Ma nella Secoiìda Repubblica resta «la voglia di nonno» Ma nella Secoiìda Repubblica resta «la voglia di nonno» SEGUE DALLA PRIMA PAGINA SULLA Costituzione, intanto, vigila da tempo Giuseppe Dossetti, 84. E se durante la crisi il professor Vanni Sartori, 72, ha splendidamente illustrato via satellite, dagli Stati Uniti, le virtù del semi-presidenzialismo, i rìschi del presidenzialismo li ha spiegati meglio di tutti, sulla Stampa, il professor Norberto Bobbio, 86. Il professor Miglio, 78, d'altra parte, ha appena fondato un partito (con Sgarbi). Mentre l'onorevole Luigino Rossi, 85, portavoce-ventriloquo di Bossi, qualche tempo fa è stato addirittura sorpreso nell'aula di Montecitorio a fare il giochetto del «pianista» (cioè a votare sottobanco al posto di un assente). Significativamente festevole, nel frattempo, con la dovuta celebrazione di antiche virtù di sapienza e perfino di equilibrio, è suonata la recente ricorrenza degli 88 anni di Fanfani. Del quale, quasi a compimento del più pedagogico contrappasso, nel lontano 1982 l'allora quarantottenne Bettino Craxi ebbe a dire che «non sempre, come il vino, gli uomini politici migliorano invecchiando». Il che sarà anche vero, ma nulla toglie al fatto che sia meglio invecchiare nel proprio Paese (piuttosto che nella latitanza tunisina). Anche allora, c'è da dire Fanfani aveva appena presieduto il suo quinto governo; il sesto l'avrebbe guidato nel 1987 - la questione ricorrente dei vecchi ebbe una qualche inevitabile ricaduta con la debita e a tratti rabbiosa sonagliera d'accompagnamento a base di cardinali, cure miracolose, dottoresse Aslan e burosauri sovietici oltre che cinesi. Ma in quell'Italia là, tutto sommato, bastava ancora Pertini, terribile vegliardo, a ridimensionare la disputa. Quello stesso Pertini di cui appena eletto si arrivò a immaginare (incautamente): «Al primo presentat'arm gli casca la dentiera». E che invece, pochi minuti dopo il responso delle urne: «Bene, questi sette anni me li faccio tutti». E se li fece, infatti: con quale intransigente vigore, oltretutto, lo capirono per primi proprio quelli che avevano scommesso su una presidenza breve. Perché nulla, infatti, più della vecchiaia, sembra giocare in politica ora come una risorsa, ora come un limite. A seconda del momento, si direbbe, e dei modelli di autorità che di volta in volta paiono reclamare le circostanze. Quello paterno, nelle sue varianti «eroica» e «comune», si attaglia senz'ai tro alle situazioni di smarrimento e di crisi. Il padre sim¬ boleggia l'ordine costruttivo, lo Stato che domina, comanda, governa. Un potere anziano di solito non soddisfa le pulsioni collettive, ma le reprime, o nel migliore dei casi le indirizza, con tonanti richieste di sacrificio, al di là degli appetiti egoistici. Questo non vuol dire che in Italia, terra di eccessi talvolta anche mortificanti, questo intermittente bisogno di padre non sia stato agitato e inter- pretato, in realtà, come un bisogno di nonno. E come tale reso grottesco dalle più subdole e crudeli convenienze. Nel 1992, ad esempio, durante le elezioni del Presidente della Repubblica, per giorni e giorni illustrissimi ottuagenari come Leo Valiani e Giuliano Vassalli furono coinvolti a loro insaputa in un torvo sventolio di certificati anagrafici che si accavallavano a dotte citazioni del Cato maior, de senectute, a loro volta invalidate da un grossolano rimestare tra bollettini medici, complicazioni renali, problemi neurovegetativi, incontinenza, bastoni, torpori e carnitina. Di lì a poco, oltretutto, Tangentopoli avrebbe decapitato la generazione politica di mezzo. A quel punto sembrarono emergere figure di anziani rassicuranti come Ciampi, ma anche, del tutto in linea con certe smodatezze nazionali, nuovi personaggi di vecchi oltranzisti tipo Miglio o Libertini. Por¬ tatori «di un grande rancore», come disse De Rita, e in qualche modo «aggressivi per sentirsi ancora vitali». Rappresentanti di un estremismo che Adriano Sofri definì «senile». Certo, almeno per un po' la sbornia giovanilistica del 27 marzo 1994, con la Pivetti eletta presidente della Camera a poco più di trent'anni, parve attutire di parecchio quell'esigenza. Ma oggi? Beh, oggi, nella società dei farmaci allungavita, ma anche della crisi del patriarcato, oggi, in ogni caso, che la percentuale degli ultra 65enni ha raggiunto il 15,3 per cento della popolazione (contro appena il 4 per cento del 1861), non è chiaro comprendere con esattela quanta voglia esiste di vecchiaia - e in fondo anche di saggezza - politica. Di sicuro, i consigli di Ingrao (classe 1915), di De Martino (1907), e di Foa (1910), seguitano ad essere piuttosto ascoltati a sinistra; così come a destra continua a farsi sentire, pure con malizia, Cesco Giulio Bagnino, che è nato nel 1911. In mezzo, inguaiato e sconsolato, Giulio Andreotti: «A 77 anni - ha detto - penso più all'altro mondo che a questo». Filippo Ceccarelli

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