Un autoritratto di Emily Dickinson di Osvaldo Guerrieri

In scena fino a domenica all'Adua «Canto alle nostre menti assediate» di Valter Malosti In scena fino a domenica all'Adua «Canto alle nostre menti assediate» di Valter Malosti Un autoritratto di Emily Dickinson La scrittrice si muove in un ambiente simbolico Ma che cosa fa Valter Malosti quando non lavora? Probabilmente soffre. E poiché la sofferenza non piace a nessuno, eccolo macinare spettacoli con una frequenza che, se non conoscessimo la sua solidità psichica, potrebbe sconfinare nella nevrosi. L'ultima delle sue creazioni è in scena nella sala Mariani dell'Adua (dopo il debutto al festival di Cuneo «La città assediata»). Si intitola «Canto alle nostre menti assediate». -Potremmo definirlo un autoritratto di Emily Dickinson, l'esplosione di un mondo interiore espressa mediante versi meravigliosi che sembrano discendere dai metafisici inglesi. La Dickinson, che in vita non pubblicò quasi nulla, era una donna dalla volontà di ferro e ossessionata dai temi della coscienza e della religione. Era nata nel 1830 in un villaggio puritano del Massachusetts, visse in una sorta di clausura volontaria, dentro una stanza nella quale bruciavano i vivissimi fantasmi della sua coscienza e le fantasie che si trasformavano in visioni mistiche. Soprattutto il tema religioso giungeva, fra quelle spoglie pareti bianche, a soluzioni imprevedibili: Dio, che aveva finito per diventare il suo unico compagno, prendeva le sembianze più diverse; di volta in volta era un padre, un amante, un marito, un bambino capriccioso da redarguire e infine da perdonare. Volava così, quell'anima puritana: come un uccelletto eccitato fra le opposizioni del pensiero. E viveva così la più misteriosa fra le poetesse d'America: rigovernando la casa e scrivendo aforismi bellissimi che nascondeva subito nei luoghi più impensati e dei quali, a volte, si dimenticava. Non c'è quindi concretezza nella sua poesia. Per «metterla in scena» (ammesso che sia un'operazione lecita) Malosti è giustamente uscito da ogni realismo, ha creato un ambiente simbolico nel quale si muove, medita e sogna fin quasi al delirio la Dickinson interpretata da Roberta Bosetti. C'è una bianca distesa di sale, che può evocare un deserto, una sorta di Tebaide dell'anima; qui sono disseminati una sedia a dondolo, alcuni libri e una mappa geografica. Su questo deserto accecante, la Bosetti, con la sua bella voce notturna, estrae i versi con la cui successione si descrive un percorso di vita che trae tutta la propria qualità dal percorso mentale, dalle finzioni con cui la Dickinson decorava un mondo estraneo, violento e del tutto privo d'amore. Lo spettacolo è molto intenso. La Bosetti è davvero brava. Il violoncello di Ezio Bosso ne sostiene parole e gesti con una musicalità che somiglia a una lunga via di fuga. Le scene di Alessandro Marrazzo sono essenzialissime e riservano, alla fine, un minuscolo colpo di teatro. Quando lo spettacolo è già concluso e giunge il momento degli applausi, il pannello che ricopre la parete di fondo si abbassa come un ponte levatoio e rivela due ali, al cui centro va a porsi la Bosetti, uccellino eccitato o, se preferite, angelo della vita interiore. Si replica fino a domenica 25 febbraio. Osvaldo Guerrieri Protagonista Roberta Bosetti, con una bella voce notturna A sinistra Emily Dickinson. Qui sopra Valter Malosti, il regista

Luoghi citati: America, Cuneo, Massachusetts