«Da quel giorno non viviamo più» di Marina Cassi

«Da quel giorno non viviamo più» «Da quel giorno non viviamo più» La vedova e la figlia dell'orefice ucciso ANGOSCIA SENZA FINE LA voce è calma, composta, profonda. Ma le parole sono forti, disperate, terribili. «Ci fossi stata quel giorno in negozio sarebbe stato meglio, almeno avrebbero ucciso me». Il tono non cambia quando aggiunge: «Non lo avrei lasciato ammazzare, lo avrei coperto con il mio corpo». Marisa Cannarile è una donna triste, apatica, incredula. Suo marito Renato Savorelli, era un orefice da oltre vent'anni. Il 21 novembre aveva appena riaperto il suo negozio - che era già stato del padre -in via Madama Cristina 69 dopo la pausa di pranzo a casa con moglie e figlia. Erano le quattro del pomeriggio; dopo pochi minuti era morto raggiunto da tre colpi di pistola. Una rapina improvvisata da due tossicodipententi - arrestati due giorni dopo l'omicidio - in cerca di una manciata di gioielli da svendere a ricettatori senza scrupoli per trovare soldi per una dose. Quel 21 novembre la signora Marisa era arrivata in negozio in ritardo. E adesso con ossessiva determinazione ripete: «Fossi morta io al suo posto adesso non starei qui a trascinare la vita. Ormai sono un vegetale, niente più di un vegetale». Per lei e per la figlia Valentina di 17 anni la realtà si è fermata. «E' ancora novembre; non ci accorgiamo neppure delle stagioni che cambiano. Non mi importa di nulla. Guardo la giornata trascorre¬ re; aspetto che la notte passi per ricominciare un'altra giornata inutile». Marisa e Valentina sono vittime di un dolore devastante. «Vado dallo psicologo, prendo i farmaci, ascolto gli amici dirmi che devo reagire. Ma non riesco a vivere». Intorno a Natale per una quindicina di giorni la signora Marisa ha riaperto il negozio aiutata da un collega del marito. Anestetizzata dal dolore è riuscita a lavorare. «Dopo sono crollata e da allora mi lascio vivere. Non ho neppure fatto il cambio di stagione, non cucino, compro tutto fatto, ma non mangio». Il negozio adesso è chiuso e forse le serrande non si alzeranno mai più. «Vorrei ricominciare, ma non credo che lo farò. Non mi sento, non posso». Come altri parenti di vittime di rapine forse anche Marisa e Valentina lasceranno l'attività per sempre, schiacciate dagli incubi che popolano le due stanze di via Madama Cristina. Madre e figlia ancora non credono che Renato Savorelli sia morto. «Sono andata al ci¬ mitero due sole volte perché non ci credo che non torni più a casa. Non posso credere di non vederlo mai più, di non parlargli, di non sentire la sua voce». Accanto al dolore devastante c'è la concreta tragedia della mancanza di reddito, dell'incertezza nel futuro. «Lui era la solidità della famiglia, era lui che sapeva gestire il negozio, che faceva le scelte, che programmava. Io lo aiutavo, ma da sola non ce la posso fare». Alla famiglia non è arrivato alcun aiuto materiale. «Nessu¬ no ci ha dato qualcosa, io per ora i soldi li spendo soltanto; tanti per lo psicologo». Intorno a Marisa Cannarile e alla figlia c'è stata però la solidarietà degli amici, dei colleghi, dei compagni di scuola di Valentina che fa il classico all'Alfieri. Ma nessuno riesce a farle dimenticare che il marito è stato ammazzato. «Come si può fare una cosa così? In un secondo hanno ucciso tre persone: lui, io e mia figlia». Marina Cassi vo provato a riaprire la gioielleria di via Madama Cristina Ma non ce l'ho fatta»

Persone citate: Marisa Cannarile, Renato Savorelli