Il Treno dei vinti: Italiani

Il freno dei vinti: Italiani A Berlino presentato il film di Ponzi con Cucinotta, De Sio e Scarpati Il freno dei vinti: Italiani Verhoeven, storia d'una madre coraggiosa BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Italiane al FilmFest: Cucinotta, De Sio, ma anche Tiziana Lodato e Vanessa Gravina, un quartetto di bellezze molto applaudite. Maria Grazia Cucinotta partorisce nel gabinetto di terza classe del treno Palermo-Milano, Giuliana De Sio infermiera trova e perde lo scrittore Roberto Citran che va a Torino chiamato da un editore (sarà Einaudi?): «Italiani» di Maurizio Ponzi, presentato ieri sera nella rassegna Panorama, è un film corale che rievoca, nel corso d'un viaggio per ferrovia dalla Sicilia alla Lombardia, le speranze degli Anni Sessanta poi tradite e perdute. Sogni, desideri, energia, un ragazzo di destra che sta per entrare in polizia e un ragazzo di sinistra fiducioso, l'industriale Ivano Marescotti con il figlio e con l'amante clandestina nello scompartimento accanto, il gentile e vitale addetto ai vagoni-letto Giulio Scarpati. A un certo punto il film apre una parentesi nella quale i personaggi appaiono logori e vinti come saranno vent'anni dopo, poi la chiude tornando al tempo precedente del racconto bozzettistico e crepuscolare, mediocre e nostalgico. Tra i viaggiatori c'è pure un ragazzo che crede d'avere gli occhi di Paul Newman e va a Roma per diventare un divo. E' soltanto un esempio della continua presenza del cinema nei film sinora visti al FilmFest: quasi che i cineasti si ripiegassero su se stessi, tendessero a chiudersi nel proprio mondo come nell'unico mondo comprensibile, sopportabile. E' ambientato a Hollywood «Get Shorty», con star, produttori, attrici e horror puerili. I protagonisti di «Les menteurs» (I bugiardi), brutta roba sciocca francese di Elie Chouraqui, sono un produttore, un regista, un'attrice, una sceneggiatrice, e la storia evoca un poco la remota tempestosa relazione tra Chouraqui e Anouk Aimée. Comincia negli stu¬ di cinematografici tedeschi di Babelsberg «Mutters Courage» (Il coraggio di mia madre) di Michael Verhoeven: nel caos della lavorazione d'un film sulle atrocità naziste in Ungheria durante la seconda guerra mondiale, si festeggia l'ottantesimo compleanno del regista teatrale George Tabori, che racconta la vicenda e il temperamento della propria mamma ebrea. Un giorno del 1944 la donna (Pauline Collins), che ha già visto arrestare il marito dai tedeschi, viene fermata, portata alla stazione, caricata con tanti altri sui vagoni della deportazione verso Auschwitz: soltanto la consapevolezza profonda dell'innocenza e il coraggio della disperazione la salvano dal destino di morte toccato a 510.000 ebrei ungheresi sterminati dai nazisti. Vende dolciumi al cinema il ragazzo svedese (è Johan Widerberg, figlio del regista) che in «Lust och fa gring stor» (Le cose giuste) di Bo Widerberg sperimenta nel 1943 a Mal- mò la prima passione carnale vissuta con una giovane insegnante, la scoperta del sesso: la sua realtà è quella, la tragedia bellica è presente soltanto nei cinegiornali d'attualità, nel buio della sala. Questi ultimi due film sono simili nell'intensità del sentimento, nella pacatezza elegiaca del racconto, nella impeccabilità della realizzazione e della recitazione, nella dolcezza triste della memoria, oltre che nella presenza di un cinema sentito come elemento storico appartenente al passato, inseparabile dall'autobiografia dei registi, rimpianto. Michael Verhoeven, 58 anni, non dirigeva un film dal 1989, da allora aveva lavorato esclusivamente per la televisione. Bo Widerberg, 66 anni, non ha diretto neppure un film negli ultimi dieci anni, e se gli chiedi perché risponde: «Semplice. Perché nessuno me l'ha chiesto». Lietta Tomabuoni

Luoghi citati: Berlino, Hollywood, Lombardia, Milano, Palermo, Roma, Sicilia, Torino, Ungheria