Un orrore tante comparse

Un orrore/ tante comparse RETROSCENA Un orrore/ tante comparse Dal clan dei sardi agli strani suicidi a wimm FIRENZE Il L nome di Stefano Mele lo riH cordano in molti. Da quando l'uomo confessò di aver ammazzato la moglie Barbara Locci insieme con l'amante, Antonio Lo Bianco. A Signa, presso Firenze, in un'era remota. Fu il delitto del 1968, il primo attribuito alla Beretta 22, anche se quando avvenne, quell'arma non aveva storia. Delitto d'onore, o qualcosa del genere. Mele aveva confessato, poi ritrattato, fu condannato: 14 anni e per la giustizia è lui l'assassino. E' una tragedia con troppi protagonisti e troppe comparse. I morti sono 16, o forse 20, chissà se un giorno lo sapremo. La Beretta calibro 22 uccide ancora, nel '74, e, due volte, nel 1981. Ed è in quel momento che un anonimo segnala come quella pistola sia la stessa che ha sparato a Signa, tredici anni prima. E' come dire: «Cercate fra i sardi». E così si fa. E sembra una strada che porta lontano. I carabinieri la percorrono metro per metro: sorvegliano, confrontano, interrogano, intercettano, fanno il possibile. Ma è anche un'indagine maledetta: quando credi di aver concluso, accade sempre il peggio a buttare all'aria tutto. E il peggio è un nuovo duplice omicidio. Sempre. Così, quando venne arrestato Salvatore Vinci - accusato di essere il «mostro» - il maniaco, quello vero, uccise; quando toccò a suo fratello Francesco, l'assassino della Beretta gli regalò un nuovo alibi inattaccabile. Eppure, quella sui sardi pareva un'indagine indovinata, che prima o poi si sarebbe conclusa con un successo. Ne erano persuasi i carabinieri, ne era convinto il giudice istruttore Mario Rotella che, alla fine, dovette gettare la spugna e sia pure con grande riluttanza e pari rimpianto, scrisse una corposa ordinanza di proscioglimento. Ora Francesco Vinci è uscito di scena per sempre, ammazzato e bruciato in un bosco della campagna pisana e suo fratello non sanno dove sia, di certo è scomparso dalla Toscana, trascinandosi dietro una scia di sospetti. Ma non è finita, non è mai finita. Quando sabato 19 giugno 1982, giorno di San Romualdo, l'assassino colpì a Scandicci, finirono inghiottiti dalle indagini Piero Mucciarini e Giovanni Mele, il fratello di Stefano, quello che aveva confessato il delitto di Signa. Ma anche a loro, puntuale, il maniaco fornì un alibi. Ammazzò ancora. Una storia maledetta, chi finisce coinvolto, non se la cava se non a prezzo altissimo. Quando se la cava. Sull'orizzonte appare il profilo protervo di Pietro Pacciani, e dietro a sé compaiono altri personaggi tragici, disgraziati, forasiepi impenitenti, squallidi frequentatori di alcove a pagamento, ubriaconi, sciamani di provincia, streghe. E laggiù, sullo sfondo di questo palcoscenico, ecco apparire la figura minuta e fragile di Milva Malatesta. Ammazzata anche lei, con suo figlio di 3 anni. Forse a botte, forse a pistolettate: quando li trovarono i corpi erano carbonizzati. Ma ora una Cassandra di casa nostra, Francesca Tripodi, racconta che ad aver compiuto quello scempio sono stati tre uomini. Chissà. La Milva aveva avuto un calvario per vita. Era figlia di Maria Antonietta Sperduto, la donna che ballò con Pacciani e ci fece anche altro, e che, a dire del Pietro, «puzzava come una volpe». Dicevano che Milva fosse stata l'amante di Francesco Vinci, e anche di Salvatore Indovino, il padrone della casa dove si celebravano le messe nere e tutto il resto. Si era sposata e non era stata fortunata nemmeno quella volta. Non era mai stata fortunata. Aveva avuto un figlio, da tale Vincenzo Limongi. un sardo che si era impiccato in carcere. Ma anche suo padre si era ammazzato: si chiamava Renato Malatesta. E proprio su questo suicidio, ora si è ripreso a indagare. Un suicidio strano, perché U corpo di Malatesta toccava terra e forse, a quel gancio, ce l'aveva appeso qualcuno. Sipario? Non ancora. Vincenzo Testandoti Quella Beretta calibro 22 resta come filo conduttore L'auto in cui vennero trovati carbonizzati Milva Malatesta e il figlio di 3 anni

Luoghi citati: Firenze, Scandicci, Signa, Toscana