VUITTON Un secolo in valigia

VUITTON Tutto cominciò con un mulino nel Giura: l'irresistibile ascesa di un impero fondato su cuoio e tela VUITTON Un secolo invaiki PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE L.V. Come Lunga Vita. 0 - ma in fondo è lo stesso - Louis Vuitton. Immortale non meno dei suoi bauli griffati, che festeggiano quest'anno il centenario. All'epoca, li si riponeva sull'Orient Express, che in «sole» ventisette ore (48 kmh di media) univa Parigi a Vienna. Oggi viaggiano in Concorde. O sui meno romantici treni giapponesi: con trentadue succursali - Hiroshima inclusa - il Paese del Sol Levante si conferma vuittomane come nessun altro sul Pianeta. Malgrado i prezzi. O meglio, proprio a causa loro. Una valigiabaule portascarpe da 35 milioni, con quel suo gusto di good old Europe, affascina. Sapere che dopo 10-20-30-40 anni sarà ancora impeccabilmente lì (i possessori di Kawasaki vorrebbero poter dire altrettanto), a testimoniare che l'uomo è polvere ma l'indeperibile bagaglio Vuitton gli sopravvive in souplesse, be' allarga il cuore. E gioiosi, i nipponici affollavano ieri - come ogni giorno che il Buon Dio manda in Terra - la cattedrale Vuitton sull'Avenue Montaigne. Solerti cassiere giapponofone li accolgono nel loro idioma. Intorno, un rutilare di sigle L.V. che sfiora l'ossessione. Con 361 articoli pronti a declinare il viaggio in ogni sua possibile variante (dalla borsa Noè - nata per contenere cinque bottiglie di champagne - al set pic-nic da whisky: maipiùsenza, 12 milioni e ve lo portate a casa), il mito Vuitton strega i ricchi Anni 90 quanto il viceré egiziano Ismail Pascià, Sacha Guitry, i Vanderbildt, Douglas Fairbanks e gli innumerevoli habitués blasonati e non che trasformarono in leggenda le plebee iniziali. Nel contemplarle, come sfuggire alla sgradevole impressione che Louis Vuitton il figlio del mugnaio, l'ex apprendista povero sbarcato dal iatio Giura nella Parigi luigifiippiana - fosse un tantinello negalomane? In fondo le Fiat lon stampigliano G. A. sulla arrozzeria ogni 10 centimeri, e per verificare che un taileur sia Chanel occorre sfilarlo illa legittima proprietaria, ìbbene no. Galeotto fu il figlio Georges! E come vedremo proirio nel 1896. La Vuitton esigeva già dal '54. E le sue forune iniziali nulla dovettero al qok esterno. Semplicemente, a ohsieur Louis aveva rivoluz onato il baule. Erano ricurvi, i nodelli allora in voga. E non p ir vezzo: il coperchio a bari1 tto drenava la pioggia sul bagigliaio open delle diligenze. I nostro uomo riuscì a imperi leabilizzare cerniere e serra- ture varando l'attuale parallelepipedo. Morale, la nuova forma consentiva d'impilare i contenitori e sistemarli agevolmente in treno o sulla nave. Ma il genio inventivo di Vuitton senior andò oltre. Non aveva forse iniziato il suo cursus honorum quale volenteroso «layetier» ovvero riempibauli per nobili dame che gli raccomandavano senza posa: «Louis, non spiegazzi le crinoline»? Concepì dunque il valigione-guardaroba con scomparti interni, vi inserì il telaio, abbandonò la quercia per il meno greve pioppo rinforzan¬ dolo con listelli esterni. Tradizione voleva che si usasse la pelle di scrofa - i maiali non se ne abbiano a male: era più delicata - per avvogere il tutto. Vuitton le sostituì la tela. Color grigio Trianon. Ma stingeva. Gliene sostituì una a righe. E fiorirono i plagi. Piccato Georges adottò una soluzione radicale: «firmare» l'opera. In attesa che si attivassero - un secolo dopo - quelli coreani e malesi, gli eurocontraffattori gettarono la spugna. E la Dinastia Vuitton iniziò a regnare. Giunsero i maraja e i loro desideri impossibili regolarmente esauditi (un nécessaire per bebé, munito di fornello, bollitore e cucchiai vari), gli astucci da Stradivari, l'altare portatile in cuoio per Messe con griffe incorporata... Pezzi unici, beninteso, cui tuttora la Maison si dedica nel laboratorio di Asnières. La rock star Willy DeVille ha richiesto una custodia per chitarra, altri esigono il copri-minimpianto hifi. «Ci piace essere provocati dalla clientela» (pagante) è lo slogan di.chez Vuitton. Elitario passatismo? Se, già nel dopoguerra, Jean-Paul Belmondo e Juliette Greco ancora si facevano fotografare con il modello classico, il pubblico giovane e sportivo fremeva. Per accontentarlo, la Casa lanciò nel '59 una linea borse-valigie non rigide con la sovrimpressione - sino ad allora tecnicamente impossibile sul morbido - del marchio. Nuova svolta con l'86. Esordisce la collezione in cuoio «epi», striato. E - miracolo - privo del refrain L.V. Il business cresce. Ma gli eredi di Louis non potranno approfittarne. Al termine di un'omerica battaglia, Bernard Arnault e il suo lussuoso impero (moda-champagne-cognac), fagocitano Henry Recamier, l'ultimo rampollo. Un assegno da tre miliardi di franchi - quasi mille, in lire gli addolcirà l'addio al patrimonio familiare. Eppure c'è un superstite nella Vuitton devuittonizzata. E' Patrick, quarantenne ambasciatore itinerante cui nelle tournées giapponesi attempate fan implorano l'autografo. Il ruolo non gli dispiace. Ma ha le sue brave controindicazioni. Come quando Hassan II gli fece sapere che i suoi cinquantaquattro bagagli non volevano saperne di aprirsi. Patrick prese il primo aereo per Rabat, il cuore in gola e cinquanta chili di attrezzi. «Colla nelle serrature» diagnosticò. Colpa di un domestico, naturalmente. Pat Vuitton ne uscì alla grande. Ma nulla lascia presumere che il malaccorto servitore abbia condiviso l'Happy End. Enrico Benedetto Soddisfo i bisogni e i desideri di maharaja e dame della belle epoque. Dopo un'omerica battaglia, la casa, negli Anni 80, non è più degli eredi Monsieur Louis rivoluzionò nell'800 la tecnica per costruire i bauli: li impermeabilizzò e trasformò in parallelepipedi molto più spaziosi Le famose sigle di Vuitton. In alto a destra: la famiglia riunita a Parigi in una foto ' d'epoca Sotto, Luchino Visconti (a sinistra) e Carlo Vanzina

Luoghi citati: Parigi, Rabat, Vienna