Travolta «Adesso volo»

Parla il divo protagonista al FilmFest di «Get Shorty» Parla il divo protagonista al FilmFest di «Get Shorty» Travolto: «Adesso volo» «Mai stato nevrotico né cinico» BERLINO DAL NOSTRO INVIATO Dolce, buono, fiducioso, pragmatico. Bellissimi occhi azzurri da irlandese-italiano. Vestiti alla moda larghi e sciacquanti, grigiolini oppure color mastice. Modi educati, voce soft. A quarantadue anni John Travolta, ex ballerino febbrile del sabato sera tornato alla popolarità con «Pulp Fiction» di Tarantino, è cambiato soltanto nel prezzo: 25 miliardi di lire, anticipati, per «The Doublé», ispirato al «Sosia» di Dostoevskij diretto da Polanski. E nella fortuna: in «Get Shorty» di Barry Sonnenfeld, che viene presentato oggi al FilmFest, recita l'avventura d'un gangster di Miami spedito a Hollywood per recuperare il grosso debito di gioco d'un produttore di horror di serie B (è Gene Hackman), che trasforma l'incarico e la personale passione infantile per i brutti film in un'occasione di cambiare la vita propria e altrui. Nel confronto tra due specie di squali, i carnivori del crimine e i cannibali del cinema, Travolta è divertentissimo, bravo. A parlarci invece è noioso, ma talmente ragionevole, assennato e quieto da risultare almeno esotico. Questo secondo successo nella sua vita d'attore come la fa sentire? «Non arrivo a crederci. "Pulp Fiction" ha significato una svolta di carriera stupefacente. E' strano come succedono le cose: prendi una decisione che pare piccola, irrilevante; la prendi perché Tarantino diceva "senza Travolta il film non lo faccio"; affronti il lavoro con un bel grado d'improvvisazione e d'approssimazione, con divertimento, come un ^ioco tra amici. E poi si condensa un'alchimia speciale, viene fuori un successo internazionale, una resurrezione...». Quentin Tarantino è ades¬ so il suo primo consigliere? «Certo. Lui e John Woo, con il quale ho interpretato "Broken Arrow", sono quelli che hanno avuto più fiducia in me. Però questa leggenda del "grande ritorno", del "Comeback Kid" Travolta, è più giornalistica che vera: in realtà non me ne sono mai andato, ho sempre avuto abbastanza lavoro e abbastanza soldi. Semplicemente, come ogni altro attore, ho attraversato periodi buoni e meno buoni». Nei periodi meno buoni s'è disperato, ha provato rancore, ha fatto debiti, ha odiato Hollywood? «No. Non sono mai diventato cinico né amaro né nevrotico. Ho vissuto, studiato la gente, osservato i comportamenti: e anche questo, poi, m'è servito. Lei sa che a portarmi nel cinema, dalla tv dov'ero popolarissimo, è stato Brian De Palma con "Carrie", esattamente vent'anni fa: da allora il cinema è la mia casa, il mio lavoro, il luogo naturale della mia esistenza. "La febbre del sabato sera" è stato un colpo di fortuna e mi piace sempre, non lo penso come un peccato di gioventù, continuo a considerarlo un gran film: ma non m'ha fatto perdere la testa. Sono nato in una famiglia della classe lavoratrice, non sono di quelli che ai primi soldi subito vogliono andare in Africa o a Parigi, che sprecano e sperimentano come avessero paura di non fare in tempo a spendere. Io sono cauto, controllato. Sto attento. E, se va male, non mi butto giù: in ogni caso, avrò sempre avuto molto più di quanto mi aspettassi dalla vita». Ma se la definiscono «un milionario che vive da miliardario»: villa nel Maine, due Roìls, il jet Gulfstream lì che le piace pilotare... «Sono un ragazzo vivace, apprezzo la roba bella e qualche follia, voglio divertirmi. Piloto l'aereo non per amore del rischio ma perché m'incanta fare qualcosa che sembra impossibile: amo soprattutto il momento del decollo, quanto ti stacchi da terra, t'innalzi, ti liberi, voli... Faccio una bella vita. Soltanto, ho nostalgia di mio figlio Jett. Riesco a vederlo appena nei week-end, neppure sempre: e capita che lui, se mi vede sul teleschermo, per esempio in "Senti chi parla", tenere in braccio altri bambini, scoppi a piangere di gelosia. Eh, la felicità è un lavoro: devi creartela, costruirla, fabbricarla, provvedere alla manuten¬ zione, senza aspettarti troppo». S'aspetta di vincere l'Oscar? «Sarebbe divertente». A raggiungere un tale equilibrio l'ha aiutata l'adesione a Scientology? Per lei è una setta o una religione? «Una religione. E una religione, comunque un sistema di fede, quando funziona è un sostegno notevole». Hollywood è cambiata da quando lei ci arrivò vent'anni fa? O è sempre uguale, come Venezia? «Tutto il mondo è cambiato, in vent'anni. Persino Venezia, credo. Oggi i media hanno un appetito insaziabile di film, il pubblico chiede sempre più intrattenimento. Vent'anni fa uno come Robert Redford non poteva fare tre film in un anno senza rovinarsi. Adesso io li ho fatti, e meglio non poteva andare. La settimana scorsa m'hanno offerto diciassette nuovi film: sono contentissimo, così posso scegliere». Lietta Tornabuoni «A casa per le vacanze», tra liti e risate mangiando il tacchino del Ringraziamento. L'autrice: «Così è la vita, dura e complicata» i «Get Shorty» o volo» é cinico» «A casa per lmangiando L'autrice: «C Nella foto grande qui sopra John Travolta, bellissimi occhi azzurri da irlandese-italiano: 42 anni, modi educati, voce soft

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