«Così uccisero Nicholas » di Liliana Madeo

Uno degli imputati non ha voluto assistere alla deposizione Uno degli imputati non ha voluto assistere alla deposizione «Così uccisero Nicholas » / Green ricostruiscono il delitto CATANZARO DAL NOSTRO INVIATO E' una giornata interminabile quella che la piccola Eleonor trascorre, mentre i testimoni raccontano di quella notte in cui il suo fratellino Nicholas veniva colpito a morte e la vita di tutta la sua famiglia cambiava, entrando nel territorio del dolore e dei ricordi, fra ansia di giustizia e viaggi intercontinentali. Dalla mattina alla sera - per le numerose e prolungate riunioni in camera di consiglio della corte - Eleonor è rimasta in una squallida stanza del tribunale. Prima sulle ginocchia del padre, a farsi raccontare leggere favole. Poi fra le braccia della madre, per mangiare e dormire, scrivere e disegnare, sempre più pallida, meno vivace, più corrucciata, bambina di sei anni sradicata dalla sua casa, dagli amici, delle persone che parlano la sua lingua. I primi a deporre sono stati gli agenti di polizia che nella sera fra il 29 e il 30 settembre del '94 si trovavano sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria, all'altezza dello svincolo per Mileto, perché chiamati da una donna la cui auto era precipitata in un burrone con dentro i suoi bambini e il marito. C'erano già la polstrada, un medico, un'ambulanza, quando i Green - terrorizzati arrivarono verso le undici. «Pum, pum» Reginald Green diceva, cercando di spiegare l'aggressione subita. Circa 10-15 minuti prima, dopo una grande curva e una forte discesa. Con colpi di pistola sparati contro la macchina. I vetri del lato sinistro in frantumi. Sangue sul suo braccio sinistro. «Ok, i bambini ok» rassicurava. Erano sul sedile posteriore. Eleonor ormai si era svegliata per il freddo e piangeva. Nicholas stava col corpo bloccato dalla cintura di sicurezza, la testa appoggiata al finestrino. «Dorme. He is spleeping» diceva al poliziotto che si arrangiava a comunicare con loro usando il poco inglese studiato a scuola. «Veramente il bambino mi parve un po' troppo rigido - l'agente ricorda. - Allungai una mano per dargli un buffetto, e niente. Allora accesi una lampadina e vidi che aveva un foro proprio là nella testa dove il vetro era andato in frantumi. Lo feci notare con la maggiore delicatezza possibile ai Green». La madre ripercorre i particolari della scena e dice: «In quel momento mi resi conto che mio figlio, pallidissimo, era ferito». Incominciava l'inutile quanto angosciosa corsa verso l'ospedale di Polistena, poi quello di Messina, dove - qualche giorno dopo - Nicholas sarebbe morto. Alle quattro del pomeriggio Reginald Green - nato nel 1929 - presta giuramento e siede sulla sedia dei testimoni, a fianco di un interprete. Alle sei e mezza è la volta della moglie, Margareth, nata in California nel '61. Lui indossa abito scuro e cravatta rossa. Lei porta i colori del lutto: il bianco della camicetta, il nero di giacca e pantaloni. Nessuno dei due ha un tremito della voce o delle mani. Uno degli imputati, Michele Iannello, che si è riconosciuto colpevole di dieci omicidi ma non di questa storia, è invisibile dietro una quinta di carabinieri. L'altro, il panettiere Francesco Mesiano, a mezzogiorno ha chiesto di andarsene ed è uscito dall'aula con le mani chiuse nei ceppi di ferro. Reginald precisa che quella notte era scura, l'aria tiepida, lui portava una camicia con le maniche corte. Guidava una Y 10 presa in affitto. Quel giorno erano stati a Positano e a Paestum. «Quando si chiusero i templi, partimmo verso la Sicilia I bambini sedevano dietro e - col buio - si addormentarono. Margareth era al mio fianco. Anche lei aveva sonno. Per questo guidavo piano cercando un'area di sosta rassicurante, una stazione di servizio. Dopo Pizzo ab¬ bassò un po' il suo sedile e si appisolò. Fatti una decina di chilometri, notai dal retrovisore che una macchina - sulla mia stessa corsia - si avvicinava lentamente. Poi fu molto vicina. Troppo. Pensai che qualcosa non andava. Ancora qualche istante e la macchina ci fu accanto. Con la coda dell'occhio vidi il cofano che mi si affiancava, il cofano di un'auto forse delle stesse dimensioni della mia, di colore chiaro, probabilmente una Uno bianca. Non mi sorpassò, rimaneva al mio fianco alla mia stessa velocità. A voce alta dissi: 'C'è qualcosa che non va!'. Margareth aprì gli occhi, si piegò in avanti, guardò dentro e vide un uomo con la parte inferiore del viso coperta da un fazzoletto, uno scialle scuro e una grossa pistola scura in mano. C'era un altro al posto di guida e - disse dopo - forse anche un terzo, dietro. Una voce rabbiosa ci gridò qualcosa che io non capii, capii però che voleva che ci fermassimo. Ciò mi parve molto pericoloso. Se mi fermavo, ero alla loro mercè, ci poteva accadere di tutto. Accelerai. La solita voce rabbiosa e quasi selvaggia, che poteva essere di una ma anche di due o tre persone, gridò ancora verso di noi. Ci fu una forte esplosione. Il finestrino di sinistra alle mie spalle, quello contro cui Nicholas dormiva, andò in pezzi. Ciò mi convinse che si trattava di gente molto pericolsa e continuai a correre. Un'altra esplosione frantumò il mio finestrino. Accelerai. E finalmente distanziai la vettura. Non ero consapevole del ferimento di Nicholas. Eleonor dormiva. Margareth si girò per rassicurarsi che tutto era ok. Quando vidi le luci della polizia, mi fermai. Pensavo che l'incubo era finito. Non avevo visto nessuna di quelle persone. Tutto era successo in tempi brevissimi». Liliana Madeo Il padre: «Credevo che mio figlio dormisse, non mi ero accorto che invece era stato colpito» A fianco, i coniugi Green. In alto, Nicholas, il loro figlio ucciso in un agguato sull'autostrada nel settembre di due anni fa

Persone citate: Francesco Mesiano, Green, Michele Iannello, Reginald Green

Luoghi citati: California, Catanzaro, Messina, Mileto, Positano, Reggio Calabria, Salerno, Sicilia