Caccia al maniaco della calibro 22 di Pierangelo Sapegno

Coccia al maniaco della calibro 22 Anche la tecnica usata nei diversi omicidi conferma la pista del serial killer Coccia al maniaco della calibro 22 La perizia conferma: stessa arma per tre delitti UN INCUBO ROSSO SANGUE PESI MERANO MERANO DAL NOSTRO INVIATO Proviamo a raccontare un giallo incredibile. Due innamorati uccisi lungo una passeggiata, e poi un contadino ammazzato sull'aia di casa. L'assassino sarebbe lo stesso, anche se nessun motivo collega un omicidio agli altri. Proviamo a guardare Merano e la sua paura, le strade vuote e il buio, il commerciante che tira giù la saracinesca e ti confessa che deve fare solo dieci passi per andare a casa, ma li fa quasi di corsa, guardandosi alle spalle. Proviamo a pensare a qualcuno che ammazza per niente, per il gusto di sparare alla testa, allungando il braccio e puntando la pistola. Semplicemente così. Certo, «proviamo a pensarlo», dice il colonnello Quirino Longo, barricato nel suo ufficio. E allora per raccontare questo giallo incredibile, cominciamo da qui, da questa strada che passa diritta tra i fianchi dei monti, da quella cascina con le mura scrostate e l'aia che si allarga nei campi. Le vigne attorno alla strada, e i Tir che passano muggendo, scrollando l'aria. E zia Angela è lì, sul campo che scende dietro il casolare, con il capo chino e le lacrime agli occhi. Il povero Berto aveva fatto una vita felice campando di niente, una stalla e la luce del giorno. Dice così, zia Angela, e forse non basterà a consolarsi. «Che senso c'era a sparargli?», si chiede. E se lo chiede anche il colonnello Quirino Longo, adesso che l'ultima conferma è arrivata. La perizia sulla pistola, da Roma: l'arma è la stessa, quella che ha ucciso Hans Otto Detmering, Clorinda Cecchetti e, sei giorni dopo, Umberto Marchioro. Forse una Automag, una pistola abbastanza pesante, a canna corta. Stessi proiettili calibro 22, stessa tecnica, stessa ora. Stessa mano. Si parte da qui, allora. «Che senso c'era a sparargli?». Umberto Marchioro non aveva amici e neppure nemici, passando le ore e i giorni nella stalla che sta sul fianco destro del casolare, con l'immagine di San Francesco ormai sbiadita dal tempo. Nove mucche, Laura, Fiorentina, Stella, Hansi, Speranza... Una gallina che razzola sul fieno e un galletto che se la guarda infilandosi nelle vigne vuote. Fuori dalla stalla, c'è lo spazio di un uomo steso a terra e un abbeveratoio contro la rete che divide i campi dal cortile. Umberto l'hanno trovato steso qui, proprio in quello spazio, la faccia sanguinante appoggiata sulla sponda della vasca. «Aveva le gambe incrociate e le mani dritte lì nel suo corpo», come dice zia Angela che lo soccorse mercoledì sera alle 20,15, e si chinò su di lui, e gli guardò la faccia rossa di sangue incagliato, e lo chiamò Berto Berto! E lo pianse quando lui non rispose, «perché capii che se n'era andato, che mi aveva lasciato sola». Era vestito con il grembiule della mungitura, lei lo girò sostenendogli la testa, ma le gambe restarono incrociate, capovolte. Berto era finito a terra stecchito come chi si gira all'improvviso e viene ucciso sul colpo. L'assassino stava per sparargli alla nuca, come aveva fatto con Hans Otto Detmering e Clorinda Cecchetti, ma lui s'è voltato e l'ha centrato in fronte. Da trenta centimetri, gli è rimasto il rosario attorno al buco, povero Berto. Traiettoria orizzontale, quella del proiettile. Com'era orizzontale, per Clorinda, bucata nella nuca, un colpo secco. Così che adesso è possibile stabilire l'altezza dell'assassino. «Uno e settanta», dicono gli inquirenti. Un uomo muscoloso, perché tiene il polso fermo quando esplode il tiro. Qui sulla strada, dove i Tir rallentano la corsa segando l'aria, e dove i campi si schiacciano contro le montagne, ci sono posti e zone tutt'attorno per rimirarsi la scena. Anche la passeggiata d'inverno, nel cuore dì Merano, aveva luoghi così. Tutt'e due le volte, allora, l'assassino può essere salito da qualche parte, ad aspettare che succedesse qualcosa e a vedere quel che capitava. Mercoledì sera, zia Angela s'è agitata sull'aia, con la sua paura e il suo dolore, come se dovesse arrivare qualcuno a sollevarla, chiamando soccorso e gridando al cielo buio. Poi, è giunta la Croce Bianca e poco dopo la Uno dei carabinieri. Hanno chia¬ mato un medico, e il maresciallo è rimasto a guardare mentre toglievano il corpo di Berto dalla terra. Aveva 58 anni, e una storia triste, perché la mamma l'aveva lasciato con i nonni e la sorellina. Aveva passato tutta la vita qui, amando la stalla e le sue mucche. Nient'altro che questo. Aveva studiato poco. Lo portavano fuori qualche volta per andare a messa, alla domenica. I soldi non gli servivano e non ne aveva. Non conosceva nessuno, solo i parenti che venivano a trovarlo quando mungeva le mucche e riempiva di fieno la mangiatoia. Strano destino. In questo giallo incredibile si sono incrociate le morti di uno che trattava i miliardi e di un altro che sapeva a malapena leggere. La vita di Berto era così lontana da quella di Hans Otto Detmering, funzionario di banca, che girava il mondo e studiava i computer. Lui, invece, non usciva mai da queste mura. E zia Angela, secca e forte, con i capelli spettinati e gli occhi bassi del pudore, lo racconta per ricordare. «Non faceva male a una mosca, e se lo sgridavano qualche volta lui sorrideva sempre. Se ve- niva la pioggia, andava nella stalla con la brusca e la spazzola a tirare pulite le bestie. Berto è stato tutta la mia vita. Sempre in casa, qui con noi. E' morto lui al posto mio, o di un altro, o di qualsiasi altro. Anche per me è vero che l'ha ucciso il destino». E forse zia Angela non è troppo lontana dalla verità. L'assassino è arrivato dai campi, perché nessuno ha visto una macchina o un motorino davanti alla casa, mercoledì sera nelle ore del delitto. Come per Hans e Clorinda, c'è il nulla attorno ai suoi colpi di pistola. Una settimana fa lasciò i bossoli per terra, a 4 metri dai corpi stesi in un abbraccio. Questa volta, neanche quello. Ed è l'unica diversità fra i due delitti. Qualcuno fra gli inquirenti ha pensato a un collegamento con un'altra aggressione, avvenuta a Merano tre mesi fa. Non c'era movente, anche allora. Ma quella volta la vittima fu colpita con un coltello e riuscì a sopravvivere. Questa volta, invece, sono tante, troppe, le cose che uniscono i due ultimi delitti. Il giallo di Merano è appeso a questa certezza. Umberto Marchioro, il povero Berto, non poteva essere un testimone pericoloso, perché camminava con difficoltà e non usciva mai di casa. E se l'assassino di Hans e Clorinda avesse nascosto qualcosa nella sua stalla e l'avesse eliminato quando è tornato a riprenderla, perché uccidere solo lui e lasciar stare la zia? La verità è che adesso è più facile pensare a un serial killer che uccide come un destino crudele, sparando un colpo solo nella testa da distanza ravvicinata. Questa è stata la morte di Berto. Questa per ora la sua storia. E mentre i Tir fanno mischia sulla strada, non resta che zia Angela a piangere e ricordare. «Non chiamatelo servo, vi prego. Era così bravo. Veniva a casa delle volte che non stavo bene e mi sbucciava le mele». Era il povero Berto, che una sera uscì per accudire le mucche e trovò la morte. Non c'era motivo. Lasciò il suo sangue sul terriccio impastato di letame. Pierangelo Sapegno Gli inquirenti: «Dev'essere un uomo muscoloso e alto 1 metro e settanta» E spunta un altro agguato di 3 mesi fa A fianco la scena del primo delitto di Merano. Più a sinistra, le vittime: Hans Otto Detmering e Clorinda Cecchetti

Luoghi citati: Merano, Roma