LA POLITICA RIPRENDE LE ARMI di Ezio Mauro

1 PRIMA PAGINA LA POLITICA RIPRENDE LE ARMI eia in fretta, in una domenica di aprile. Se questo è il quadro, si capisce come Scalfaro non potesse fare altro che firmare il decreto di scioglimento delle due Camere. Il vuoto italiano, e il galleggiamento del g< «verno, trovano così un punto fermo nel 21 aprile: e anche in politica, alla fine, torna a valere la legge di gravità. Almeno una regola (quella che vuole il ricorso alle urne quando non c'è più spazio di manovra in Parlamento per dar vita a un governo) è rispettata. Tutte le altre restano da scrivere. Noi abbiamo guardato con sospetto al tentativo di D'Alema e Berlusconi di costruire insieme un nuovo sistema u regole, perché non risultava ch'ara né l'origine di questa improvvisa attrazione innaturale né il punto d'arrivo: e quando le rose non sono chiare, significa che c'è qualche aspetto che non può essere spiegato alla luce del sole. Tuttavia, se il tentativo dei due leader avesse portato a un processo di riforme concordato e condiviso, questo risultato sarebbe stato comunque utile per il Paese. Oggi che il grande abbraccio è fallito, bisogna pur trarne una lezione politica. E la lezione è che la Costituzione non può essere usata come merce di scambio sul mercato politico, per allontanare il voto, per allargare l'azionariato di controllo del governo, per guadagnare qualche mese. La Costituzione non si riforma a spizzichi e bocconi, con un pezzo di presidenzialismo scambiato con un po' di doppio turno. La riforma di una carta costituzionale, soprattutto, non può nascere dal negoziato privato di due leader che fuori da ogni spirito costi¬ tuente cercano soltanto di precostituirsi dei vantaggi politici anche legittimi, e dunque trattano da potenza a potenza, scambiando pezzi di ordinamento come una volta si cedevano le marche di frontiera. Per ragioni opposte e concorrenti, D'Alema e Berlusconi erano probabilmente sinceri nella loro ricerca di un'intesa. Ma per un leader la sincerità soprattutto se interessata - non basta. I due hanno fallito perché, affascinati dall'avversario, si sono dimenticati degli alleati. E' stata una prova di leadership pura, incurante contemporaneamente del consenso, delle alleanze e dell'egemonia. Una leadership senza un vero mandato, che si è specchiata in se stessa, in un esperimento sterile di autoipnosi politica. Con un doppio risultato negativo d'immagine: Berlusconi esce infatti dal negoziato sempre più bifronte, un giorno con la maschera di Letta e il giorno dopo con quella di Fini, che è di ferro e dunque imprigiona ormai anche il sorriso del Cavaliere; D'Alema all'improvviso si rivela come uomo da politique d'abord, pronto a giocare tutto in una sola puntata decisa in solitudine. Quella solitudine prepotente delle scelte, che il vecchio pei ha sempre fatto pagare - dopo - ai suoi leader. La sterilità del negoziato è dimostrata anche dal nulla che lascia sul terreno. Nessun ponte è stato costruito tra i due schieramenti, nemmeno di legittimazione reciproca. Quando i negoziatori si ritirano, il linguaggio torna quello di prima, il clima è lo stesso, i due Poli non si considerano avversari ma nemici, ognuno dipinge la vittoria dell'altro ancora e sempre come un «pericolo». Per capirci: le elezioni - e il duro scontro politico che le precede sono un passaggio fisiologico. Ma il modo di arrivarci e di viverle è fisiologico solo in rapporto al ritardo italiano, il ritardo di una democrazia ancora incompiuta perché ha nei due Poli due enormi scatoloni vuoti, senza un'identità precisa e senza un leader forte e sicuro che la testimoni, la spieghi e la rappresenti. Il centro-destra è in realtà oggi un destra-centro, per il peso di Gianfranco Fini e il marchio pesante del suo partito. Ma proprio quel marchio fa sì che Fini non possa trasmettere a tutto il Polo, nemmeno nel momento in cui lo domina, la natura e la cultura di An. Berlusconi, subendo l'egemonia politica di Fini, si riduce senza saperlo a uomoimmagine, la regina d'Inghilterra del Polo. In questo squilibrio, nel Polo galleggia di tutto, spezzoni democristiani, tentazioni peroniste, liberismi spinti, vocazioni centriste minoritarie. Non è Fini l'uomo che può fare la sintesi (nell'unica chiave possibile, quella di una destra occidentale moderna) e forse non è più Berlusconi. Altro non c'è. Il centro-sinistra è poco più che una «non destra», come l'ha definito Rossana Rossanda. Lo unisce l'opposizione a Berlusconi, non una cultura comune, forte, riconoscibile. L'oscillazione tra il solidarismo cattolico e il democraticismo post-comunista (nemmeno il riformismo, che resta parola maledetta a Botteghe Oscure, mentre ovunque in Europa è il segno della sinistra occidentale) è continua. Prodi e D'Alema sembrano aver costruito un perfetto modello di asincronia politica: quando uno parla (e quasi sempre è il segretario pds) l'altro tace e viceversa, come se fosse impossibile, per loro, far politica insieme e il centro-sinistyra li obbligasse ai turni. Con questo ritardo gravissimo e colpevole nella costruzione dei Poli, con queste incertezze di leadership, il rischio è di vivere una campagna elettorale, radicale e semplificata, dunque primitiva e terribile, riassunta nelle due opposte maledizioni, quella «fascista» e quella «comunista». L'Italia non la merita. Ezio Mauro

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