Scalfaro firma tra due mesi si vota di Fabio Martini

Interno Alle urne il 21 aprile. Bossi riparla di secessione: siamo alla fase decisiva, il Nord vincerà Scalfaro firma, tra due mesi si volli Berlusconi: sarà un referendum per il cambiamento ROMA. Per la seconda volta in quattro anni Oscar Luigi Scalfaro ha messo la sua firma sotto il decreto di scioglimento delle Camere. H sipario sulla dodicesima legislatura repubblicana è calato alle 18,15: subito dopo l'arrivo di Dini al Quirinale, il Presidente ha firmato il decreto e il presidente del Consiglio ha controfirmato. D decreto del Presidente apre così una lunga campagna elettorale, che durerà più di due mesi, esattamente 64 giorni: si voterà infatti il 21 aprile, una data che (per opposti motivi) è riuscita a mettere d'accordo Polo e Ulivo. Sessantaquattro giorni durante i quali Lamberto Dini resterà in carica - e non era scontato - con i pieni poteri: le Camere non hanno mai votato la sfiducia al governo e d'altra parte le dimissioni dell'esecutivo sono state presentate ma non accolte da Scalfaro. E così Dini, - proprio come Ciampi - non sarà costretto a limitarsi all'ordinaria amministrazione, così come avrebbe dovuto fare un governo battuto dalle Camere. Scalfaro ha ritenuto di non accettare le dimissioni perché l'Italia, durante il semestre di guida europea, non avrebbe potuto permettersi un governo più debole di quanto sia già un esecutivo senza maggioranza. La questione dei pieni poteri al governo in queste ultime 48 ore, non è stata oggetto di una trattativa tra Polo e Ulivo e questo anche grazie alla precedente regia del Capo dello Stato, ma potrebbe diventare materia scottante non appena la campagna elettorale surriscalderà le televisioni. Nei giorni scorsi Massimo D'Alema aveva fatto sapere a Scalfaro e a Dini che il decreto sulla par condicio, così com'è, non offre il massimo delle garanzie, tanto più che si è appena aperta una campagna elettorale lunga. Il centro-sinistra preme per dilatare da 30 a 45 giorni la rete di protezione del decreto, per dare più poteri alle tv locali, per vincolare maggiormente l'informazione nei telegiornali (il «chiodo fisso» è il Tg4 di Emilio Fede), ma le preoccupazioni che vengono da sinistra si sono, per ora, scontrate con le perplessità di palazzo Chigi e Quirinale: il decreto sulla par condicio scade il 18 marzo e dunque, per introdurre modifiche che incidano su questa campagna elettorale, quello stesso decreto dovrebbe essere modificato ancora prima della sua scadenza. E così, dopo lo scioglimento «naturale» del 1992, quello traumatico del 1994 (il Parlamnento degli «inquisiti»), il secondo scioglimento della presidenza Scalfaro si è consumato senza conflitti. Berlusconi e iì Polo non gradivano il 28 aprile perché collocato in mezzo al «ponte» tra il 25 aprile e il 1° maggio e anche la sinistra guardava con una certa apprensione ad una «overdose» antifascista, con elezioni tenute tre giorni dopo la ricorrenza della Liberazione. Lamberto Dini si è così trovato nella felice circostanza di non dover scontentare nessuno e i commenti a caldo sullo scioglimento e sulla data delle elezioni lo confermano perché mettono d'accordo, per l'ultima volta, i due schieramenti. Dice D'Alema: «E' una soluzione inevitabile e giusta». Berlusconi, in una intervista che sarà trasmessa stamane dal Grl, le elezioni sono «un referendum per un'Italia fatta in un modo o fatta in un altro». Solo Bossi tuona da Treviso, parlando ancora di secessione: «Siamo alla fase decisiva: il Nord vincerà». Dal centro-destra, intanto, ritorna il monito a Dini, fornito di pieni di poteri: «Il governo - dice il presidente del ccd Clemente Mastella - deve restare neutrale e quanto ai ministri che si volessero candidare, si dimettano subito». E in serata, oltre a stabilire la data delle elezioni, il Consiglio dei ministri ha anche fissato la data di convocazione delle nuove Camere all'indomani delle elezioni: Camera e Senato si riuniranno per la prima volta il 9 maggio per eleggere i nuovi presidenti. Fabio Martini

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