Dio l'amico ritrovato

Dai francescani un modello per la società laica di oggi Dai francescani un modello per la società laica di oggi Dio, l'amico ritrovato A scuola di preghiera dai mistici del '200 fi | HIUNQUE vuol giungere a I ' possedere la pace perfetta I deU'anima, occorre che si I i espropri totalmente dell'adì I more di ogni creatura e anche dell'amore di se stesso, affinché totalmente si getti in Dio, senza trattenere nulla per sé, neppure il tempo...». E' la classica formula della condizione mistica: lo svuotamento dell'anima, l'«annichilimento» di sé, per lasciar posto all'invasione di Dio, fino alla propria «liquefatici spiritualis»: «L'anima viene ammollita per ricevere l'irruzione della divina potenza; come il liquido si mescola con altro liquido, così lo spirito di Dio, irrompendo, si mescola allo spirito dell'uomo... L'anima è liquefatta all'amore dell'amore di Dio». La prima citazione, quella iniziale, è tratta da Qualiter anima, operetta di Fra Rizzerio di Muccia, morto nel 1236. La seconda è dal De exterioris et interioris hominis compositione, di Fra Davide d'Augusta, morto nel 1272. Le due opere fanno parte di un grosso volume, I mistici - Secolo XIII, pag. 1035, uscito ora dalle Editrici Francescane (Bologna), che dà inizio a una collana intenzionata a raccogliere tutti gli scritti di mistici francescani anche dei secoli seguenti. Nei giorni scorsi, si è [dato un bel po' di spazio sui giornali alla preghiera del Padre nostro, con l'occasione di una nuova riformulazione della sua traduzione italiana. Pietro Citati, su Repubblica, ne ha fatto un'appassionata analisi, con un trasporto spirituale raro in pagine di cultura laica. Ora che cosa è mai il Padre nòstro, con quel suo amorevole coraggio della creatura umana di rivolgersi al Creatore, se non la base dell'incantamento mistico, del colloquio con Dio o addirittura dell'ardire della protesta verso di Lui: un contrasto che va da Giobbe che disputa con Dio: «Perché non cessi di spiarmi?»; al salmista che grida: «0 Signore perché ti mostri come straniero in questa terra?»; a Paolo VI che, sulla bara di Aldo Moro, lamenta: «Tu, j> Signore, non hai esaudito la nostra supplica»; ad Elie Wiesel che geme: «Do¬ v'eri, Dio, quando si moriva ad Auschwitz?». La rievocazione dei mistici francescani non appare soltanto un'operazione ad uso di conventi e di monasteri, ma può porre la questione del rapporto intimo e personale con Dio anche in una società laica, dove spesso non sembra approdare luce celeste e dove non appaiono roveti ardenti, davanti a cui levarsi i calzari e cadere in prostrazione come Mose sul monte. Su Famiglia Cristiana, settimanale per gente quotidiana, un raffinato biblista come Gianfranco Ravasi, che in ogni numero getta un rapido sguardo a una letteratura spirituale di «Colloqui con Dio», ha proposto la preghiera di una mistica musulmana, Rabi'a, una schiava suonatrice di liuto, chiamata «Poetessa dell'amore di Dio»: «Mio Signore! In cielo brillano le stelle, / gli occhi degli innamorati si chiudono. / Ogni donna innamorata è sola col suo amato. / 10 sono sola, qui, con Te...». Che cosa significa, in fondo, mistica? Soltanto un alzarsi nella contemplazione, perdersi nell'«alto dei cieli», «liquefarsi» nel divino? Sulla scorta di Maestro Eckhart, il grande mistico domenicano del Trecento, Gianni Baget Bozzo scriveva qualche anno fa nel suo libro La nuova terra: «Il divino non si presenta sempre come denotato da segni che lo contraddistinguono, come le visioni o le voci. In ultima analisi, quando un uomo esperimenta se stesso e 11 nulla in cui è avvolto, è a un passo dall'esperienza mistica». Viene in mente l'episodio di Santa Teresa d'Avila, quando va in estasi in cucina con un tegame in mano. «Madre, non vede che fa cadere l'olio?», gridano le suore. Lei non vede. Poi, rinvenendo in sé: «Figliuole mie, Dio sta anche dentro una padella». La dimensione mistica è certamente evidente anche nei grandi spiriti religiosi del nostro tempo. Gandhi diceva: «Quello che desidero raggiungere, quello che mi sforzo e mi tormento di raggiungere è vedere Dio faccia a faccia. Per questo vivo, mi muovo, esisto». Gli fa eco Karol Wojtyla nel suo libro di poesie Pietra di luce: «Sono un viandante sullo stretto / marciapiede della terra, / e non distolgo il pensiero dal tuo Volto, / che il mondo non mi svela». Ma è forse proprio in questa mancanza di svelamento che si annida sempre la radice mistica in ogni epoca e che fa andare alla ricerca di quel «faccia a faccia» con Dio, talvolta palesemente,' spesso inconsapevolmente. Alla ricerca della morale perduta, come è il titolo e il tema dell'ultimo libro di Eugenio Scalfari, sembra essere diventato l'etichetta da apporre sulla nostra società di oggi. Ma potrebbe esserci anche altro da ricercare. Michel de Certau, in Fabula mistica, quando parla del Seicento, secolo di grandi mistici, vede gli uomini «malati di assenza dell'Unico, dell'Uno che non c'è più». «L'hanno portato via», dicono molti canti mistici dell'epoca. Forse, anche oggi, è ancora la poesia che trova la capacità di estrarre dalla quotidianità, dalla banalità della cronaca, dalla stessa attività professionale più terrestre e frenetica, un barbaglio di divino. Giovanni Bianchi, per esempio, presidente del Partito popolare e immerso in litigi di partiti, in una raccolta di poesie, La cosa umana, non per nulla presentata da Sergio Quinzio, osa lamentare il silenzio di Dio sulla miseria della terra: «Tu che di tutto ti occupi / e non appari»; «Tu ostinatamente taci, / Dio senza udienze...». Poi, quasi in un classico itinerario mistico, anch'egli è al ritrovamento di Dio: «Viene il Signore e siede in silenzio. / Non dargli requie». E, infine, Dio appare anche nella più usuale quotidianità: «Dio che arrivi all'alba / dietro il carro dei netturbini». Domenico De! Rio C'è anche la protesta, incomincia con Giobbe e arriva sino a Wiesel Per dialogare con il Creatore non sono necessari roveti ardenti e luce celeste L'estasi di Santa Teresa d'Avila; a sinistra, Elie Wiesel; sotto, Papa Wojtyla

Luoghi citati: Bologna, Muccia