«Ora torno dalla mia Angiolina» di Giovanni Bianconi

«Ora torno dalla mia Angiolina» «Ora torno dalla mia Angiolina» Pietro in lacrime: perdono tutti, anche Vigna IL PRIMO GIORNO m LIBERTA' FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO E adesso, Pacciani, che farà? «Che devo fare, ognuno lavora per campare, lui e la sua famiglia». Tornerà a Mercatale? «0 benedetto il Signore, e dove devo andare secondo lei, in convento a fare il frate?». Ma pare che sua moglie, Angiolina, a casa non ce la voglia. «Quella poverina l'è malata, si arrabbia coi giornalisti che la vanno a fotografare, non sa quello che fa. Io le ho voluto sempre bene, l'ho portata in pianta di mano. E non è che si litigava, si vociava... Vociava lei e vociavo anch'io». S'appoggia al tavolino e si passa le mani sulla faccia rossa e umida, l'ex «mostro» Pietro Pacciani, nella stanzetta della casa di accoglienza per ex detenuti gestita da suor Elisabetta. E' nel cuore di Firenze, alle spalle di palazzo Pitti, il «rifugio segreto» del contadino di Mercatale tornato libero ma assediato da fotografi e giornalisti, all'ultimo piano di un vecchio e scrostato palazzetto, lungo un budello di strada dove alla fine deve intervenire la polizia per impedire la rissa. Qui dentro, in un paio di stanze disadorne, «il Vampa» cerca di tornare un cittadino normale, ma non abbandona il copione e le litanie che recita da anni. «Come sto? Sono stanco e sbudellato. Ringrazio nostro Signore Gesù Cristo, gli uomini della giustizia, perdono tutti, non odio nessuno, io quel male non l'ho fatto, sono come Gesù Cristo in croce», e via di seguito. Barba bianca di due giorni, mani che tremano, occhi arrossati e guance solcate da qualche lacrima, golfino azzurro e jeans sformati, sigaretta senza filtro nella mano sinistra: Pacciani parla controvoglia e si arrabbia quando gli fanno domande che giudica stupide o insensate. Vorrebbe scappare, nascondersi, e alla fine lo fa, chiudendosi nella stanza da letto dove ha passato quasi insonne la prima notte di libertà. «Ha paura delle telecamere e delle macchine fotografiche», dice don Cubattoli, anziano e battagliero cappellano del carcere di Solliccianq, che a bordo di una moto da antiquariato prende la strada di Mercatale «per cercare di parlare con l'Angiolina e vedere che cosa si può fare. Lì la questione è delicata, perché c'è il rischio che se qualcuno lo vede e gli dice qualcosa, lui lo prende per il collo...». Su in casa, invece, Pacciani fa di tutto per apparire un povero indifeso che non ce l'ha con nessuno al-mondo. Nemmeno col procuratore Vigna? «Ognuno fa il suo mestiere, e a tutti può capitare di sbagliare. Di Vigna ho apprezzato il merito... Io perdono tutti, in carcere avevo il Vangelo, la Bibbia, l'Antico Testamento...». Mentre lei usciva, però, in procura raccoglievano altre testimanianze, di gente che dice di averla vista mentre sparava ai due ragazzi francesi. «Ma quali testimoni! Non date retta alle stupidaggi¬ ni che dice il mondo intero, che mi caschi la vista se fossi stato laggiù. Nel mondo c'è chi vuole il bene e chi vuole il male... Bisogna dire la verità, non le falsità. Ognuno tira l'acqua al suo mulino. Dicono che la mosca l'è un moscone, e invece no, tale è l'animale». Gli avvocati fiorentini dell'ex «mostro» - il piccolo e sanguigno Fioravanti, il lungo e composto Bevacqua - cercano di blocca¬ re il discorso: «Su queste cose non si può rispondere, c'è un'inchiesta in corso. La verità è scritta nella sentenza di secondo grado». Pacciani ricomincia: «Di me possono solo dire che bevevo qualche bicchiere di vino. Quello sì, perché lavoravo tanto e non avevo altri vizi, né gioco né altro. Solo vino, perché io liquori non ne prendo». Nella confusione di tante voci che si accavallano nella stanzetta, qualcuno s'azzarda a chiede-, re: Pacciani, non ha paura di tornare in carcere? Lui schiaccia la sigaretta tra le dita e lancia un'occhiataccia verso chi ha parlato: «Finitela con queste domande, sennò vi rispondo male». Però il suo amico Vanni è in galera. E' vera la storia che andavate a fare le merende insieme? «Ma che merende e merende, al massimo qualche bicchiere nella cantinetta, io con lui non c'ho nulla a che fare. Poverino, è un handicappato, se vede una chiocciola la scansa per non pestarla. Al Mario dico di stare tranquillo, e che si raccomandi a Dio che sa chi ha fatto il male... Comunque io non sono mica nei suoi panni». Pensa a sé, l'uomo che con l'accusa di essere il «mostro», l'assassino di sette o otto coppiette intomo a Firenze, s'è fatto tre anni di galera prima che una corte d'assise d'appello lo dichiarasse innocente: «Mica sono un politico, io, penso ai fatti miei». Gli scatti d'insofferenza si alternano alle prediche rivolte al «mondo» che chiama in causa di continuo: «Bisogna che ognuno faccia il suo dovere nel mondo, che faccia del bene e non del male, perché facendo del male lo si fa a tutti. Nel mondo». Questo è il Pacciani Pietro tornato nel mondo dei liberi, segnato e intimidito dal carcere e dalle accuse che - nonostante l'assoluzione - non s'è ancora scrollato definitivamente di dosso. In questura continuano le indagini su di lui oltre che «sul Vanni», ma lui ripete il ritornello di sempre: «Io 'sto ctiiile non l'ho fatto, potevano seguire passo pà"Sso 13 mi' vita. E' possibile che un povero disgraziato che lavora 12 0 13 ore al giorno va a fare del male alla gente a 50 o 60 chilometri di distanza? Ma che scherziamo?». Intorno all'ex «mostro» che proclama la propria innocenza riconosciuta anche dai «signori della vera giustizia», la ressa si trasforma in un teatrino. Dalla strada i fotografi lo invocano perché si affacci alla finestra e saluti i passanti, come fosse un papa. E lui, alla fine, cede: si presenta e congiunge le mani verso l'alto, in segno di preghiera. Quelli che non riescono a entrare gridano e premono sulla porta, tanto che dalla casa di suor Elisabetta qualcuno telefona alla polizia. Quando si trova davanti una ventina di giornalisti, invece dei due o tre che aveva chiesto, Pacciani s'arrabbia: «Ho quattrocinque malattie addosso, per piacere...». Qual è stato il primo pensiero dopo l'assoluzione? «Io ho sempre sperato nella giustizia, perché ho la coscienza pulita». Andrà a fare il pellegrinaggio che aveva promesso? «Quello sì, e farò dire un paio di messe pei miei poveri genitori». Scriverà un libro? Come titolerebbe un articolo su di lei? Chi è il vero mostro di Firenze? «Ma guarda che domande! Oh, io ho bell'e parlato. Adesso basta». Giovanni Bianconi «Mia moglie è malata e io le voglio bene» Il sacerdote-amico cerca di convincere la donna a riaccoglierlo Pacciani ieri pomeriggio, con gli avvocati Fioravanti e Bevacqua. In alto, il procuratore aggiunto Fleury, qui sopra Mario Vanni

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