«Silvio fai il gioco di Fini» di Gianni Letta

«Silvio, fai il gioco di Fini» «Silvio, fai il gioco di Fini» Urbani annuncia: non mi candido più TORNANO LCONSIGUERI m GUERRA ROMA EL transatlantico di Montecitorio, il giorno dopo, uno sconsolato Alessandro Meluzzi racconta la telefonata con cui 24 ore prima aveva scongiurato Silvio Berlusconi di non dare retta a Gianfranco Fini e di andare avanti nell'accordo con Massimo D'Alema. «Dato che era tutto inutile - sospira il deputato di Forza Italia - alla fine gli ho detto che era affetto dalla sindrome di Federzoni, il leader di quel movimento nazionalista degli Anni 20, le camicie azzurre, che aiutò Benito \ Mussolini agli inizi della sua carriera. Quando Mussolini arrivò al successo nominò Federzoni ministro delle Colonie per sbarazzarsene». Inutile dire che due di An, Maurizio Gasparri e Antonio Landolfi, che sono poco più in là improvvisano immediatamente una «gag» per prendere in giro Meluzzi. «Federzoni? - chiede Gasparri -. Cos'è, l'ultima creatura politica di Costa?». «Mussolini? - gli va dietro Landolfi -. Chi Alessandra? Ah, perché Alessandra aveva un nonno autorevole? Non lo sapevo». Disorientati, frustrati per quell'accordo con D'Alema saltato all'ultimo momento, gli uomini di Berlusconi in Parlamento ieri mattina davano davvero l'impressione degli sbandati. Urbani ha annunciato ai quattro venti che alle prossime elezioni non si ricandiderà. Dotti ha accusato Fini di «non aver aiutato Berlusconi», di aver sabotato la trattativa. E questo mentre l'infaticabile Gianni Letta faceva il giro delle sette chiese per trovare una soluzione che potesse evitare il voto: prima, seguito da Buttiglione, ha sondato l'orientamento della Piveti su un governo che lanciasse l'Assemblea costituente, magari presieduto dallo stesso presidente della Camera ma non ha ricevuto risposte convincenti; poi, sempre sulla proposta che aveva lanciato Berlusconi il giorno prima, il plenipotenziario di Forza Italia ha sondato Gianfranco Fini con pochi risultati; infine, ha cercato di capire l'orientamento di Dini e di Scalfaro sulle ultime due ipotesi sul tappeto, un Dini-bis o un rinvio alle Camere dell'attuale governo dimissionario. Letta non ci ha messo molto a capire che c'era poco da fare. Scalfaro aveva già ricevuto dal pds un fermo «no» sul rinvio alle Camere del governo Dini e non aveva nessuna voglia di forzare. Il presidente del Consiglio dimissionario, probabilmente, avrebbe voluto tentare, ma senza il via del Capo dello Stato poteva ben poco. Così, a sera, proprio per evitare magre e per non logorarsi ancora, lo stesso Berlusconi ha rotto gli indugi e ha chiesto le elezioni. Non poteva certo rimanere tra l'incudine e il martello, il Cavaliere: rischiava di chiedere invano una soluzione che evitasse le urne per, poi, esser costretto a seguire per l'ennesima volta Fini nella richiesta del voto. Così ieri sera, per non subire ancora, dopo aver dato «forfait» alla trasmissione di Lucia Annunziata su Raitre («Cosa vengo a dire ora?») l'ex premier ha deciso di andare avanti e di cimentarsi in una prova elettorale molto difficile per lui. Alle 19, per evitare che Gianfranco Fini e Massimo D'Alema impegnati in un faccia a faccia tv lo precedessero, da Arcore è partita una dichiarazione di 40 righe del Cavaliere. «A questo punto - è la frase chiave - la parola deve tornare agli italiani. Soltanto le elezioni politiche possono ricucire la tela strappata della nostra democrazia e dare un governo stabile al Paese». Di seguito Berlusconi ha spiegato i motivi che lo hanno spinto prima a chiedere le elezioni, poi a tentare la strada di un accordo con D'Alema sulle riforme, quindi, quella dell'Assemblea costituente. «Ma i veti incrociati - ha spiegato Berlusconi - e la resistenza della sinistra ad imboccare con decisione la strada del rinnovamento della Repubblica sembrano impedire che l'intesa si realizzi». E nella «chiusa» della sua dichiarazione Berlusconi ha annunciato quello che sarà il «leit motif» della sua campagna elettorale: «Siamo pronti, e riprendiamo il discorso da dove fu interrotto quando la grande speranza di un'Italia migliore fu tradita, quando le speranze di stabilita riformatrice del 27 marzo furono cancellate con una decisione di palazzo». Insomma, in 24 ore il Cavaliere si è spogliato dei panni del mediatore ad oltranza e, sia pure per necessità, si è gettato a capofitto nella nuova campagna elettorale. E anche nelle sue parole c'è un ritorno agli albori, al Berlusconi del 27 marzo. Anche i consiglieri sicuramente cambieranno: sarà meno evidente il ruolo del consigliere per la pace Gianni Letta, mentre rientrerà in scena il consigliere per la guerra, Giuliano Ferrara (che probabilmente si presenterà alle elezioni). Anche il linguaggio, ci si può scommettere, in pochi giorni cambiera: il Cavaliere tornerà alla durezza di un tempo, tentando - ma molto dipenderà da quanto riuscirà a trattenersi di moderare i toni. Non sarà facile per lui: ha poco più di due mesi, se si voterà a fine aprile, per dimostrare che non è per Fini quello che è Prodi per D'Alema. E, contemporaneamente, dovrà deporre quella che è sempre stata l'arma principale della sua propaganda: lo scontro con i comunisti che non cambiano mai. E già, dopo gli attestati di stima rivolti a D Alema in quest'ultimo mese, dopo le strette di mano in pubblico, per lui sarà difficile fare una campagna tutta contro i «rossi»: ma quanto resisterà il Cavaliere? Augusto Minzolinf Gianni Letta, sopra Berlusconi

Luoghi citati: Arcore, Italia, Roma