L'ATELIER DI TASSI di Bruno Quaranta

L'ATELIER DI TASSI L'ATELIER DI TASSI Dal Correggio a Solitine, da Morlotti a Sutherland le passioni di un «libero allievo» diLonghi VPARMA I è, in ogni città, un cuore intatto, incorruttibile, a cui guardare quando tutto sembra crollare, decomporsi. Una possibile àncora, nella «petite capitale», nel Battistero, è La Corona di Prìmule, l'opera di Antelami che ora dà il titolo a un'antologia parmigiana (Guanda, pp. 322, L. 90.000) di Roberto Tassi, fra i nostri maggiori critici d'arte. «La corona di primule che i secoli non hanno sfogliata o appassita...». L'emblema dell'equilibrio indigeno: «tra naturalità e grazia, realismo ed eleganza». Dal dodicesimo al ventesimo secolo, dal Correggio a Petitot, dai Carmignani a Latino Barilli, «vagabondo in se stesso». Al Parmigianino, che schiude una finestra sulla vicenda del professore. «Questi saggi li ho raccolti sollecitato da Mario Lavagetto. Se non che, per farne un volume coerente mancava uno scritto intorno a Francesco Mazzuoli, il Parmigianino. Non riuscivo a trovare il bandolo. Me lo offrì la memoria. Una visita alla camera di Fontanellato con Roberto Longhi. Varcata la soglia, sprigionò un'emozione adolescenziale: gridava, saltava, gesticolava... Mi è successo di riviverla affacciandomi, a distanza di tanto tempo, nello scrigno rinascimentale dove lievita la storia di Diana e Atteone. E rivivendola mi ha raggiunto l'ispirazione». Roberto Tassi, nato nel 1921 a Napoli pour cause («Mio padre al seguito del professore universitario di cui era assistente»), a Parma dall'età1 di tre anni, è un medico. L'arte è la passione parallela. Una\lunghissima fedeltà: «Mi folgorò la Biennale del '48. Trascorsi a Venezia una settimana insonne. Ci veniva svelato - da Klee a Picasso - un mondo sconosciuto, moderno, lasciavamo le catacombe. Da allora, va da sé, sono sempre tornato in Laguna, ma progressivamente riducendo la durata del soggiorno, sino a ventiquattro ore...». Come direbbe il critico Luigi Carluccio (Tassi ne ha introdotto le pagine migliori), «in pittura ormai c'è di tutto, da Giottp al dUcotone». Risale agli Anni Cinquanta la conoscenza di Longhi: «Mi considero un libero allievo, non "organico" alla maniera di Briganti, Castelnuovo, Bertelli. Entrai nella sua orbita col varo di Palatina, la rivista dominata da Attilio Bertolucci, che ebbi come insegnante al liceo, e finanziata da Pietro Barilla. Nello studio di Firenze, l'artefice di Officina Ferrarese si divertiva a disorientarmi. Sottoponendomi, ad esempio, la riproduzione di un Maccari (un frammento), che scambiavo per un Pollock. Non mancavano gli intervalli, fra un "esame" e l'altro, giù, nel campo di bocce. Via via la stima nei miei confronti crebbe, fino a sfociare nell'offerta di collaborare a Paragone». La lezione di Roberto Longhi? Tassi, che del Maestro riflette l'ironia e il candore, non la malìa di suscitare spavento e deferenza, evoca lo stile: «Era geniale nel trasformare l'opera d'arte, il linguaggio figurativo in linguaggio scritto, nel modellare immagini letterarie capaci di ricreare le immagini pittoriche». Sulla scia della limpidezza longhiana si pone Tassi, un affabulatore che non abbandona mai il sentiero critico, sensibilissimo alle tracce poetiche: «Nelle diverse arti, ritengo, vi è qualcosa che avvicina alla poesia e che è poesia, ad onta della segnaletica crociana. No, non riconosco in Don Benedetto la guida: non sarebbe mai riuscito a considerare la forma un modo di essere della materia. Mi sento piuttosto vicino alla filosofia di Pareyson, ruotante intorno al concetto di interpretazione. La conoscenza come interpretazione e contemplazione: ecco la mia bussola». Poesia, dunque, un vocabolo che Tassi usa spesso. Si cala nelle acqueforti di Fattori e le rischiara attingendo a Luigi Bartolini, «che di poesia e di incisione si intendeva». Accosta il prediletto Morlotti e ne coglie «il mistero, l'ombra dell'inesplicato, la poesia». Visita l'atelier di Monet (titolo di un suo li¬ bro edito da Garzanti su arte e natura, il paesaggio nell'Ottocento e nel Novecento) e annota: «Su quei quadri sembrava che il tempo si fosse arrestato un attimo e stesse subito per riprendere il suo corso (...); mai la precisione dell'occhio, il metronomo del tempo interno, il respiro della poesia, avevano creato opere tanto confuse e tanto vere». Longhi, nel viaggio fra i critici d'arte da Plinio al nostro secolo, non incontrò forse più poeti che storici? Palatina, un'avventura dal '57 al '66 tra arte e letteratura, le cifre parmigiane («Se Stendhal ha scelto Parma una ragione è la Madonna del Correggio» avvertì Luigi Foscolo Benedetto). Un trimestrale con le firme di Francesco Arcangeli («Apparso il lavoro sugli Ultimi naturalisti, incantato, accorsi a Bologna») e di Carlo Emilio Gadda («Pubblicò a puntate Accoppiamenti giudiziosi»), di Giorgio Cusatelli, poeta e germanista, e del proustiano d'indole psicoanalitica Mario Lavagetto. «Io - rammenta Tassi mi muovevo nell'avanguardia, coltivavo la pittura informale: Burri, Morlotti, Pollock». Alle pareti, Morlotti signoreggia. Circondato da Music («Meriterebbe una diversa, superiore considerazione»), Mandelli, Melotti, Guarienti, Guccione, Marcucci, Graham Sutherland («Sto curando il catalogo di una mostra di ritratti»). Nella Corona di Prìmule, Roberto Tassi ammonisce: «Anche la storia dell'arte ha compiuto i suoi tradimenti, ora occultando, ora illuminando in eccesso; ora negando glorie dovute, ora elargendo glorie immeritate». Chi ridimensionare del Novecento? «Fernand Léger». Chi ri- A destra Giovanni Testorì. Sotto: «Ninfe di Diana» (Parmigianino) «Corona di Prìmule», scritti sull'arte a Panna, una città tra eleganza e realismo valutare? «La linea Soutine-De Staél-Permeke». Chi eccelle? «Scivoliamo nel secolo scorso: Monet e Courbet». Da Courbet a Parma, il passo è breve, ha l'orma di Proust. «...puis-que progrès dans la vie de l'esprit et dans l'admiration de la nature sont parallèles et réagissent» sono le parole di Marcel che secondo Tassi permettono di avviare un discorso sull'artista. Proust-Parma: una liaison inaugurata da Zavattini, che portò in classe (in classe c'era Bertolucci) Il Baretti con l'articolo sulla Recherche di Giacomo Debenedetti. Proust, un porto di Tassi. Come il cinema, di casa non meno dei libri, nel dopoguerra, in via D'Azeglio, libreria Belledi: «Giorgio Belledi, bravo pure col pennello». Nella sala biblioteca, le videocassette abbondano: «Renoir è il culmine. Ma sono insieme estimatore di Max Ophùls, di La Ronde e di II piacere e l'amore, film ispirato a tre racconti di Maupassant». Riecco l'aura francese («Questa città logora e illustre - la percepì Bruno Barilli - rassomigliava molto a un quartiere del vecchio Parigi»), un'essenza di Parma. Tassi l'ha definitivamente identificata: «E' il riassunto di due sensibilità: la prima romanica, popolare, terrestre, padana, potentemente impura e naturalistica, l'altra correggesco - stendhabano proustiana, raffinata, dolce, psicologica, spirituale, stupendamente aristocratica e straziante». Bruno Quaranta