La prossima rivoluzione Nel cervello dell'uomo di Curzio MalaparteCurzio Malaparte

Parla Kapuscinski, ospite d'onore a Galassia Gutenberg La prossima rivoluzione? Nel cervello dell'uomo Parla Kapuscinski, ospite d'onore a Galassia Gutenberg f*\ VARSAVIA I 'ITA Malaparte e SaintI Exupery fra i suoi maeI i stri. Ama Professione re—sèlporter di Antonioni. Prevede una rivoluzione nel nostro cervello. Chi? Ryszard Kapuscinski, il giornalista polacco, sessantadue anni, autore di La prima guerra del football (1990) e Imperium (1994. Feltrinelli), attrazione di «Galassia Gutenberg», mostra-mercato del libro, che si apre oggi a Napoli. Un tema centrale della manifestazione è il viaggio. Perciò il grande viaggiatore Kapuscinski è invitato a un incontro per sabato. Si dice che il giornalismo è in crisi. Lei che cosa ne pensa? «Io penso che, al contrario, è un'attività fiorente, grazie allo straordinario sviluppo dei media registrato negli ultimi trent'anni, che ha prodotto una nuova generazione di giornalisti. Una parte non appare professionalmente preparata, perciò si dice che il giornalismo è finito. Ma non è finito, è in trasformazione. Io penso che la nuova generazione è sveglia, brillante, creativa. Lo vedo in Polonia, il mio Paese». Lei è uno degli ultimi giornalisti-viaggiatori. Qua! è la differenza tra il suo modo di vedere e raccontare e quello della tv o di Internet? «11 giornalismo della rivoluzione elettronica ha liquidato due cose: la distanza e il tempo. Ha cancellato questi due limiti. Ecco la differenza. Ma anche nella nuova era del giornalismo non si possono cancellare i commenti, l'analisi, le spiegazioni, il background. Perciò vedo nei nuovi media una chance per far conoscere la realtà che ci circonda all'uomo della strada». Chi sono i suoi maestri di giornalismo? «Hp„ avuto molti maestri, che non, sempre erano giornalisti. Uno di loro, che voglio citare perché italiano, è il meraviglioso scrittore Curzio Malaparte. Non so se oggi gli italiani lo leggano, ma è stato uno dei più grandi giornalisti del ventesimo secolo. Un vero maestro, per me, è stato Saint-Exupery, il pilota francese, viaggiatore e scrittore, che considerava il giornalismo una sorta di missione. Desidero ricordare Brace Chatwin, morto non molto tempo fa, e quel grande giornalista che fu Ernest Hemingway». Qual è il suo film preferito sul giornalismo? «Fra tutti scelgo Professione reporter di Michelangelo Antonioni, per come approfondisce i problemi psicologici del nostro mestiere, e ne mette in luce gli aspetti umani. L'ho visto molte volte, è un film che io amo». Lei ha definito se stesso uno storico che lavora sulla gente. Che cosa significa? «Io mi sono laureato in Storia. Quando sono uscito dall'università^ avevo davanti a me due possibilità: continuare la carriera accademica e diventare un professore di storia, oppure Vedere la storia non nei documenti, nei libri, negli archivi, ma nel suo farsi, vedere come la gente crea quotidianamente la storia, perché la storia è una parte vivente della nostra esistenza. Ne¬ gli Anni Cinquanta, quando ho cominciato a fare il giornalista, il grande evento era la decolonizzazione; ne fui affascinato e decisi di dedicare tutta la mia attività professionale alla descrizione di quésto grande movimento: l'indipendenza delle nazioni». Ma come si comprendono trasformazioni epocali attraverso fatti quotidiani e contingenti? «Due elementi sono fondamentali: l'intuizione, con le persone, e la riflessione sugli eventi. Quando ho scritto Imperium, sulla disgregazione dell'Unione Sovietica, qualcuno mi chiese quanto tempo avessi impiegato per scriverlo. Dissi che c'erano due risposte: quattro anni e quarant'anni. Perché per quarant'anni l'Urss era stata un soggetto familiare- c'ero nato, c'ero cresciuto, frequentando scuole di lingua russa. D'altra parte avevo speso gli ultimi quattro anni di vita per viaggiare e per leggere, e poi per scrivere. E' una professione faticosa essere giornalisti». L'i ; Che cosa ci aspetta nel nuovo secolo? «E' impossibile rispondere, perché i cambiamenti sono troppo rapidi e profondi. Parlando in generale, penso e spero che vivremo mèglio. Perché il ventesimo è stato il secolo di due grandi guerre mondiali e di due grandi sistemi totalitari. Fortunatamente l'ingresso nel nuovo secolo si prospetta senza sistemi totalitari e senza guerre mondiali. Fascismo e comunismo credo siano definitivamente finiti. E la gente tende alla pace, anche se ci sono guerre locali, ma la popolazione coinvolta in tutti i conflitti armati in corso è meno dell'uno per cento della popolazione mondiale. La tendenza generale è verso la democrazia». Quale sarà, allora, il pericolo del XXI secolo? «Il più grosso problema che l'umanità ha di fronte è quello della povertà. L'80 per cento della popolazione della Terra vive in povertà, a livelli diversi. Ma se troviamo alcune soluzioni tecnologiche, per esempio la desalinizzazione dell'acqua degli oceani, per usare l'energia a scopi umanitari,-anche la povertà si potrà combattere». L'uomo comune, l'uomo della strada, quanto può realmente conoscere della realtà che lo circonda? «Il nostro cervello non è ancora preparato a ricevere e usare l'enorme quantità di informazioni fornite dalle comunicazioni elettroniche. Questo è drammatico. Per esempio, noi sappiamo tutto sulla povertà mondiale, abbiamo un'enorme quantità di dati, ma siamo incapaci di usarli. La rivoluzione del ventunesimo secolo sarà quella che avverrà nella nostra immaginazione, nella nostra mentalità, nel nostro cervello. Una volta attuata, la vita diventerà molto migliore». Alberto Papuzzi L'autore di «Imperium» sabato a Napoli per la fiera del libro «I miei maestri? Curzio Malaparte e Saint-Exupéry» Qui accanto, Ryszard Kapuscinski grande giornalista e viaggiatore; sopra, Curzio Malaparte; sotto, Bruce Chatwin

Luoghi citati: Galassia, Napoli, Polonia, Unione Sovietica, Urss, Varsavia