La lenta morte del fiume sacro

11 La lenta morte del fiume sacro In acqua galleggiano cadaveri e carogne, e i depuratori costruiti sulle rive non funzionano Dieci anni di lavori, il Gange resta inquinato NEL CUORE DELL'INDIA MISTICA SBENARES UL bordo del Ghat Tulsidas, uno dei cinquanta gradoni sacri di Benares che discendono sul Gange, Veer Bhadra Mishra, piantato sotto un albero pluricentenario, riceve una coorte interminabile di visitatori che, in segno di rispetto, si chinano a sfiorargli i piedi. I capelli gettati all'indietro, i baffi curati, vestito di una tunica bianca immacolata, questo gran sacerdote del tempio di Sankat Mochan, dedicato al dio scimmia Hanuman, prodiga consigli, precisa i rituali, impartisce la sua benedizione. Ma quando il visitatore straniero lo interroga sulla pulizia del Gange, il dignitario si trasforma in professore di ingegneria idraulica della «Benares Hindu University» (Bhu). Il discorso si fa scientifico, il tono sentenzioso lascia posto a una preoccupazione didattica. «A questo punto - confida con una punta di humour - si tratta certamente di uno sdoppiamento di personalità. Ma io non posso farci nulla. Come sacerdote, credo alla purezza spirituale del Gange. Come scienziato, vi parlerei della sua sporcizia e della sua putrefazione. Ogni mattina, facendo le mie abluzioni, bevo quest'acqua come fanno tutti gli hindu credenti, poiché mi lava da tutti i peccati. Ma, nei miei scritti, sono il primo a dire che quest'acqua è troppo sporca per essere bevuta e anche solo per immergercisi». Così parla V. B. Mishra che, fin dall'inizio degli Anni 80, lanciò un grido d'allarme: «Mata Ganga, la Madre di tutti gli hindu, sta morendo. Restituiamole la vita». Il suo avvertimento aveva lasciato un segno così profondo che l'allora primo ministro Rajiv Gandhi lanciò, nel 1985, un vasto «Piano d'azione per il Gange». Dieci anni dopo, al momento dei bilanci - dal momento che le autorità considerano il piano pressoché attuato - colui che alcuni chiamano il «folle del Gange» non vede motivi per interrompere la sua battaglia. «Certo - prosegue Mishra - nella mia relazione intima con il fiume, qui a Benares, posso avvertire che, in qualche punto, l'acqua è meno sporca di prima. Ma, dopo un decennio di azione nazionale, i risultati sono disastrosi. Sulle rive del fiume, là dove, ogni giorno, si immergono quasi 40 mila pellegrini, l'inquinamento non è diminuito». Da molti anni, con una pazienza da metronomo, Mishra e i suoi ingegneri stabiliscono ogni giorno lo stato del Gange, grazie a un laboratorio finanziato da un'istituzione svedese. Due sono i parametri principali: la «domanda biologica di ossigeno» (dbo) e il tasso di colibacilli, essenzialmente di origine fecale. Indicatori frequentemente in rosso, soprattutto nel periodo caldo che precede i monsoni. In maggio-giugno, la «dbo» può raggiungere i 10 millilitri, mentre la norma indiana fissa il limite accettabile in 3 millilitri; e i colibacilli sono 30 volte di più rispetto alla norma. Percorrendo i ghat di Benares, si capiscono meglio questi dati. In ogni ora della giornata, ai piedi dei vecchi palazzi dalle tinte ocra e rosate che sovrastano il fiume, si lavano chilometri di biancheria. Rigagnoli d'acqua pestilenziale, che i due milioni di abitanti di Benares aumentano con le loro deiezioni, scorrono continuamente verso il Gange. Più al largo, decine di cadaveri e di carogne bufali, capre - vanno alla deriva. Sotto il calore del cielo indiano, lungo la riva opposta alla città santa, avvoltoi si cibano dei corpi affidati alle onde dèi fiume. Eppure, in dieci anni, le autorità non sono rimaste inattive: sei depositi sono stati costruiti per incanalare le acque di scarico, che vengono riciclate in tre depuratori. Sul ghat Hariprasad è stato eretto un forno crematorio elettrico, poco costoso, al fine di rimpiazzare le cremazioni tradizionali, che costano mille rupie - la legna è cara - e quindi sono fuori della portata di una famiglia povera. Il ricorso all'elettricità mira a ridurre il numero dei cadaveri gettati nel fiume. Gli hindu religiosi avevano accettato questa rivoluzione. Ma, senza che le autorità sappiano spiegarsi le ragioni, il moderno forno crematorio è fuori servizio da un anno e mezzo. Il progetto di un inceneritore gigante per gli animali è rimasto lettera morta. Quanto al principale depuratore, quello di Dinapur, a 5 chilometri da Benares, pompe difettose e frequenti black-out limitano la sua efficacia. «Il governo consente che milioni di persone, che vengono da tutta l'India per purificarsi a Benares, possano immergersi in un'acqua infame - tuona Mishra -. Anche se l'organismo diventa parzialmente immune, malattie come la dissenteria, l'epatite, il colera, la diarrea, il tifo continuano a diffondersi e a mietere vittime. L'inquinamento delle città e dell'industria interferisce con la fede religiosa di un intero popolo». Di fatto, il Gange non è un fiume come tutti gli altri. Impossibile, qui, dissociare scienza e fede. Per i 750 milioni di bindu, da Kanyakumari, nell'e¬ stremo Sud del Paese, fino al Jammu e al Kashmir, nell'estremo Nord, questo mostro liquido, nato dal ghiacciaio himalayano di Gangotri, che si getta nel Golfo del Bengala dopo un percorso di 2525 chilometri, è all'origine dei miti fondatori e delle divinità dell'induismo. «Il Gange è più di un bacino che fa vivere 300 milioni di persone - considera Ashish Kothari, uno dei più celebri ambientalisti indiani -. L'idea stessa che possa agonizzare del proprio stesso inquinamento è insopportabile per ogni hindu. E' qui il pericolo: il fiume è talmente associato alla purezza che nessuno vuole accettare che rigurgiti di immondizia». Nella sua università, a Roorke, nell'Uttar Pradesh, il professor Bhargawa, specialista dell'ambiente, si batte da molti anni contro la fatalità di un Gange inquinato. «Le autorità vorrebbero farci credere che per il fiume è stato fatto tutto il possibile. E' una menzogna vergognosa. Le intenzioni iniziali del governo erano lodevo- le, ma, in seguito, l'operazione si è perduta nei meandri del processo burocratico. A causa di una gigantesca corruzione questa malattia così tipicamente indiana -, milioni di rupie sono finite nelle capaci tasche di alti funzionari. Senza considerare le preferenze accordate non in base al merito, ma alla casta. Sono stati preferiti progetti costosi, come i grandi impianti di depurazione, perché consentono di versare fondi più ingenti». Secondo Bhargawa, questi «ciarlatani» hanno fissato norme - come la «dbo», l'ossigeno dissolto, il tasso di colibacilli - secondo criteri arbitrari, privi di un autentico fondamento scientifico. Per convincersene, è sufficiente andare a Haridwar, una delle città sante dell'induismo, come Benares, dove si affollano pellegrini, devoti e «sadhi», monaci penitenti. E' là che un canale di irrigazione sottrae al sacro Gange il 90 per cento delle sue acque, quando abbandona i contrafforti himalayani per gettarsi nella grande pianura. Da qui il fiume vede il suo corso farsi più esile fino a Kanpur, dove tonnellate di rifiuti tossici (cromo, mercurio, ecc.) sono scaricati in massa. Più avanti, a Allahabad, il Gange riceve - ma forse sarebbe meglio dire «subisce» - la Yamuna, grande fiume supermquinato che, tra la capitale Delhi e la città del Taj Mahal, Agra, non è che una condotta di liquido fangoso. «Qui il piano d'azione non ha fatto nulla», incalza Bhargawa. Dal ghat di Harikipari - «mercato del dio», a Haridwar - lo scienziato indica, a un centinaio di metri, il forno crematorio. «Naturalmente le autorità hanno fissato il sito a monte del luogo delle abluzioni, per cui le acque dove si immergono i fe- deli sono infestate di carogne. Non c'è nessun rispetto per i credenti». «In Occidente, un fiume può essere estremamente inquinato - sottolinea Ashish Kothari -. Ma, da una parte, un'economia avanzata ha i mezzi tecnici e finanziari per porvi rimedio. Dall'altra, la popolazione non viene, come nel Gange, a bagnarsi e a bere l'acqua». In questi anni, i difensori del fiume sono approdati a una convinzione: l'inquinamento del Gange è essenzialmente di origine organica. La popolazione era rivolta verso il fiume"* e le città sulle sponde, fatte di un intrico di viuzze, non avevano fognature, e lasciavanoi filtrare i liquami verso il Gange. «L'unica soluzione - sostiene Bhargawa - è attrezzare ogni zona urbana con un canale di scarico. Non costa caro, non richiede energia. In due anni e con poca spesa avremmo un Gange pulito. Quanto ai liquami, basterebbe scaricarli a valle, senza tanti impianti di depurazione costosi e inutili». Ma in questo modo non si farebbe altro che spostare l'inquinamento a valle? No, perché oggi sappiamo che il Gange ha una capacità di autorigenerazione eccezionale, superiore di 10, forse 25 volte a quella degli altri fiumi del pianeta, grazie alla grandi quantità di ossigeno disciolto. Ricordatevi: il Gange non ha nulla di ordinario. Il professore Bhargawa è convinto che il fiume secerna una particella misteriosa, responsabile dell' eliminazione dei batteri. «Credete - ci chiede - che io mi batterei ancora per il mio fiume, se non credessi alla sua magia?». Francois Musseau Copyright «Liberation» e per l'Italia «La Stampa» Vv NUOMDELHI ^JjV^''"\... N E PA L ALLAHABAD^ PATNA \M«GLADE^ ™ INDIA "KUTJjji rM Ma gli ingegneri dell'ambiente hanno scoperto un miracolo «Il fondale secerne una particella miracolosa che uccide i germi» Un sacerdote-scienziato «Credo alla purezza spirituale di queste acque. Però so che, quando le bevo, rischio di morire»

Luoghi citati: Agra, India, Italia