LA RIFORMA NON PUÒ FARLA IL VINCITORE di Luigi La Spina

M H^a^^ eL ^kma^^ PRIMA PAGINA LA RIFORMA NON PUÒ' FARLA IL VINCITORE Dini, governi, poi, sicuramente tra i migliori degli ultimi tempi. Nonostante questa teoricamente perfetta divisione di compiti tra esecutivo e Parlamento, il risultato è stato sempre negativo. Non è forse illusorio pensare che il sistema possa essere riformato là dove il potere non c'è? Per costringere le forze politiche a produrre un'intesa concreta, allora, ci vuole un patto vincolato alla gestione degli interessi dei partiti, per cui il fallimento dell'accordo per le riforme coincida con la sanzione della perdita più grave in politica, l'esclusione dal potere. E chi potrebbe sostenere il prezzo politico dei sacrifici da chiedere agli italiani per affrontare i rischi della congiuntura economica, sapendo che altri, pur partecipando alla trattativa per la riforma dello Stato, sono liberi di sottrarsi a così scomode responsabilità? Il fallimento del tentativo Maccanico, che si basa su questi presupposti di «metodo politico», con le elezioni come sbocco quasi inevitabile, avrebbe insieme, proprio per il legame tra i due problemi, un duplice risultato: non solo rinviare per mesi la costituzione del governo, con i prevedibili rischi sul piano economico-sociale, ma soprattutto compromettere in concreto l'ipotesi di qualunque riforma istituzionale. Due mesi di campagna elettorale, nel più classico stile quarantottesco, non ci porterebbero affatto alla Seconda Repubblica, ma ai peggiori ricordi della Prima e produrrebbero conseguenze gravi per entrambi gli schieramenti, conseguenze che già in questi giorni si intrave- dono negli atteggiamenti dei partiti. Per la sinistra la tentazione di lanciare una campagna di mobilitazione «contro il fascismo» sarebbe fortissima. Una parola d'ordine prima di tutto sbagliata, perché per fortuna il fascismo non è alle porte, ma con effetti gravi sia per la stessa sinistra sia per la democrazia nel nostro Paese. Pregiudicata la già periclitante alleanza con l'Ulivo, il partito di D'Alema ritornerebbe indietro di decenni, nell'ideologia, nel linguaggio, nel costume politico. L'ipotesi di alternanza nel sistema italiano svanirebbe completamente. A destra gli effetti sarebbero altrettanto negativi. Una campagna elettorale egemonizzata dalla strategia di Fini comprometterebbe definitivamente qualsiasi ipotesi di restauro della leadership berlusconiana nel Polo. Il dietro-front dell'ex premier, nonostante i frenetici contrordini dei suoi fans, ridurrebbe ulteriormente le speranze di un recupero della sua capacità di guida politica. Berlusconi sa che sulla sua linea, quella dell'intesa, può vincere o perdere. Ma dovrebbe sapere altrettanto bene che sulla linea di Fini ha già perso. Il primato in politica non si conquista dopo un risultato elettorale ma prima, e questo vale per la destra ma anche per la sinistra. E Prodi forse ne sa qualcosa. Alla fine di questo scontro, in questo clima, con un uso selvaggio di tv pubbliche e private alla faccia di qualsiasi par condicio effettiva, con il prevedibile ridotto scarto nell'esito della competizione, i duellanti dovrebbero mettersi d'accordo, finalmente pacificati, per una grande riforma dello Stato? Se la costruzione delle regole del gioco, in democrazia, e fatta di garanzie per tutti, di equilibrio di poteri, di rispetto per gli avversari politici, è possibile pensare a una intesa del genere dopo il voto? Ricordiamoci che la spada del vincitore non ama i trattati ma le capitolazioni e le ferite dello sconfitto chiedono la vendetta più che la rivincita. Luigi La Spina

Persone citate: Berlusconi, D'alema, Dini, Fini, Maccanico, Prodi