Apollinare e l'Italia passioni e bastonate di Mirella Serri

In mostra i documenti del burrascoso rapporto coi futuristi In mostra i documenti del burrascoso rapporto coi futuristi Apollinare e l'Italia passioni e bastonate IT ROMA 1 ELI/ESTATE del 1880 m una misteriosa signora veI 1 lata scese da una carrozza A-U nel popolare rione di Trastevere. Non era certo un quartiere adatto per una gentildonna. E nemmeno l'abitazione era all'altezza del suo rango. Ma nella modesta casa di piazza Mastai, oggi demolita, la dama, che si chiamava Angelica Kostrowitzky, cercava rifugio in incognito: aveva da nascondere il frutto del peccato d'amore che portava in grembo. Guillaume Apollinaire, pseudonimo di Guglielmo Alberto Wladimiro de Kostrowitzky, nacque quasi di nascosto (ma era un segreto di Pulcinella) nella piazza trasteverina, figlio della nobile polacca e di un ufficiale borbonico che il bambino non conobbe mai. Il piccolo Guglielmo abbandonò ben presto Roma, chiamata dal futuro poeta nei suoi versi «gelsomino del tempo» e ricordata con i carri addobbati del carnevale. L'avventurosa mamma polacca che aveva la passione del gioco d'azzardo cominciò a peregrinare con il figlio per l'Europa, viaggiando per il ducato di Monaco, Belgio, Italia e Francia. Con l'Italia, l'autore delTlsresiarca, dall'infanzia inquieta e tormentata, ebbe un legame contraddittorio, considerandola un luogo segnato da luci e da ombre, ricco di gioie ma anche di ansie e di inquietudini, proprio come la sua stessa nascita. Per documentare il rapporto del grande scrittore francese con la cultura italiana s'inaugura domani, alla Galleria francese di piazza Navona, un'esposizione dedicata alla «Biblioteca di Apollinaire», a suoi oggetti personali, disegni e acquerelli (la mostra che nel catalogo accoglie scritti di Jacqueline Risset, Ives Bonnefoy, Renzo Paris èstatajorganizzata dall'assessorato alla Cilltura di Roma e dalla dilezione'degli affari cùltiSrali' derpòrriùn.'e tir Parigi éd' è una scelta ideata da Maria Ida Gaeta di una più ampia esposizione tenuta nella capitale francese qualche anno fa). L'iper-recettivo e ipersensibile poeta e narratore, grande erudito, bibliofilo di testi libertini, scrittore di romanzi pornografici per sbarcare il lunario, animatore della bohème parigina, amico di Picasso, Jarry, Braque, Derain, la cui esistenza fu segnata da amori turbolenti e guai giudiziari, fu sempre ircesistibilmente attratto da ogni tipo di novità artistica. Fu il primo a sostenere i pittori «fauves», presentando nel 1908 Matisse, e appoggiò con un noto scritto del 1913 la «rivoluzione cubista». L'autore di Alcools intuì la carica prorompente che incarnavano i futuristi e il loro rappresentante più dinamico e più in vista, Marinetti. Un vero colpo di fulmine, il rapporto con il futurismo italiano, che però nel tempo fu segnato da gelosie, scaramucce, rivalità. In generale il legame con gli artisti italiani fu caratterizzato da un'altalena di sentimenti. Con D'Annunzio, creatore «di falsi, di falsi ricchissimi» l'antipatia scattò immediatamente. Verso i «provinciali», futuristi alle prime ,:arrm quando potè cogliere 1 ocóasiònè, Apollinaire'-non si risparmiava l'ironia. «Ho incontrato due pittori futuristi: Boccioni e Severini. Questi signori portano vestiti di foggia inglese, molto comodi: Severini, toscano, calza scarpe scoperte e i suoi calzini so- no di diversi colori. Il giorno in cui lo vidi, portava al piede destro un calzino color lampone e al piede sinistro un calzino verde bottiglia. Questa civetteria fiorentina lo fa passare per un uomo molto distratto».-Però lo scrittore non sottovalutò la carica eversiva dei 'ruturistìiei entrato ih diretto contatto' con Marinetti, nel 1913 scrisse il manifesto L'antitradizionefuturista. Anche il modo chiassoso e sguaiato di porsi pubblicamente dell'avanguardia italiana fu oggetto di scherno e di perplessità da parte del raffinato estensore dei Calligrammes. «Firenze è stata recentemente teatro di una zuffa dovei partiti presenti erano, da una parte, i futuristi con alla testa Marinetti e, dall'altra, Ardengo Soffici e i suoi amici della Voce. Ci' furono feriti e cappelli fuori uso e Boccioni, durante la giornata in cui si svolsero le diverse fasi della battaglia, dovette acquistare per suo conto tre cappelli di paglia. Soffici l'hanno bastonato perché non era del loro avviso e la bastonata ha un bell'essere improntata alla cortesia, resta un modo singolare di spingere aU'animirazione». Mentre la sua stima andava alla rivista La Voce, rifiutò la collaborazione con Lacerba, portavoce del movimento che esaltava il «paroliberismo» e la guerra. Le sue riserve investivano anche la pittura di Boccioni e di altri artisti futuristi considerati «i deboli alunni di un Picasso o di un Derain e, quanto alla grazia, non ne hanno idea». A volte impietoso verso gli amici italiani, nella rubrica che teneva sul Mercure de France, riferiva con tono agrodolce aneddoti non proprio lusinghieri. «Il pittore Picasso osserva la tela di un pittore futurista. E' molto ingarbugliata, vi si mescolano oggetti diversi: una bottiglia, un colletto, una testa d'uomo gioviale eccetera e questo disordine è intitolato Le rire (si riferisce a La risata di Boccioni, ndr). "E' piuttosto L'accozzaglia", dice sorridendo Picasso». Grande estimatore di Savinio, nutrì anche una sincera ammirazione per De Chirico che considerava il solo pittore europeo vivente «che non ha subito le influenze della scuola francese». Il creatore dell'«ideogramma lirico» (che sfrutta le possibilità figurative dei segni verbali) e del «poème conversation» (in cui sono inseriti frammenti di dialogo) nel 1914 si arruolò e due anni dopo fu inviato al fronte. E ancora sparava le sue cartucce contro i maniaci della «velocità» (i futuristi, appunto) rimproverando loro di confondere modernità e velocità. Negli ultimi anni di vita lo scrittore, che morì di febbre spagnola il 9 novembre del '18, perse U tono irridente e scanzonato e diventò più rigido e severo. Soprattutto non lesinò bordate contro il «papa» del futurismo italiano, Marinetti, rimproverandogli la sua capacità di gestire, da vero politico e non da artista, il suo crescente successo. «Marinetti ha la reputazione di notevole politico ma quanto alle opere è piuttosto carente. A meno che non si considerino i manifesti l'opera più importante della sua vita», osservava velenoso come un serpente. Ma un perenne «esiliato» come lui (fu naturalizzato francese solo nel '16), diviso tra due nazioni (l'Italia e la Francia) e, in realtà, un bohémien senza patria, dagli oscuri natali, non poteva accettare il ruolo di artista di apparato e di regime in cui Marinetti, proprio in quegli anni, mostrava di trovarsi veramente a suo agio. Mirella Serri cietà e Cultu verbation» mentiruolò frontecartu«velocrimprmodeNegscrittgnolaU tonoventòtutto «papaMarinsua cpoliticresce