«Visti falsi Un complotto»

Torino, le donne sono state interrogate nell'inchiesta sui passaporti contraffatti in Nigeria Torino, le donne sono state interrogate nell'inchiesta sui passaporti contraffatti in Nigeria «Visti falsi? Un complotto» Negano tutto le 2 impiegate dell ambasciata TORINO. Mazzette versate dalle ragazze di Benin City in cambio di visti per l'Italia? «Ma per carità. Quei lasciapassare devono essere falsi. Perfette imitazioni di quelli autentici, probabilmente. Ma mai e poi mai rilasciati dall'ambasciata». Hanno avuto una risposta per ogni domanda dei magistrati Marilena Micheletti Camatel e Carla Ragazzi Mancini, le addette all'ufficio visti dell'ambasciata di Lagos finite in carcere l'altra sera per ordine del gip Roberto Carta. Assistite dagli avvocati Vittorio Chiusano e Giuseppe Zanalda, nel corso dell'interrogatorio hanno replicato battuta su battuta: colpo su colpo, senza piangere mai. Senza crollare, senza - almeno in apparenza perdere mai il controllo di sé. Sono in cella d'isolamento, anche perché si teme che qualche detenuta nigeriana possa riconoscerle e aggredirle. E mentre nelle questure di mezza Italia continuano a presentarsi ragazze che raccontano di aver comprato i visti per fuggire dall'inferno nigeriano, ai magistrati torinesi sarebbero giunte notizie su permessi venduti anche in altre sedi diplomatiche italiane all'estero. Le «contrattiste» di Lagos che venerdì si sono consegnate spontaneamente alla magistratura torinese saranno presto nuovamente interrogate. L'altro giorno sono state notificate loro le misure di custodia cautelare in carcere per concussione e corruzione emesse il 18 gennaio. Dopo la conferma del carcere per un mese, a Marilena Camatel è stata mossa dal pm Elena Daloiso anche l'accusa di associazione per delinquere. Lo stesso reato sarà contestato a Carla Mancini quando tornerà davanti al pm. Le addette all'ufficio visti, per ora, negano tutto. Hanno una spiegazione per ogni cosa. Anche per quegli asterischi, quei segni di riconoscimento trovati sui passaporti delle nigeriane: «Servivano per indicare che avevamo pagato la tangente - hanno detto alcuni testi -. Da mille a tremila dollari a testa. Una fortuna: a Lagos, un impiegato guadagna 30 dollari al mese. Se non c'erano quei segni sui passaporti, allo sportello non venivano rilasciati i permessi». Neppu- re, secondo l'accusa, a chi ne aveva diritto. «Tutte bugie - si sono difese le contrattiste dell'ambasciata - i segni c'erano, sì. Ma per ben altre ragioni. Servivano a sveltire le procedure. Molti si presentano allo sportello più volte, anche quando sanno di non avere titolo per ottenere il visto. Sui passaporti di queste persone mettevamo un segnale di riconoscimento, per non perdere tempo le volte successive. Altre ragazze dovevano ripresentarsi con nuovi documenti: in questo caso, altri segni ci facevano subito ricordare la loro posizione». I visti rilasciati dalla nostra sede diplomatica di Lagos hanno la forma di targhette adesive numerate: gli «stickers», con il numero di registrazione dei permessi e i dati della persona cui vengono rilasciati. E' impossibile spostarli da un passaporto all'altro senza strappare il documento. «Ma in Nigeria si falsifica per quattro soldi qualunque cosa» hanno detto le impiega¬ te. E qualcuno, secondo loro, potrebbe fabbricare clandestinamente targhette adesive identiche a quelle vere. E le decine di ragazze che dicono di aver avuto il lasciapassare in cambio di tangenti? Venerdì tre di loro sono state nuovamente sentite fino all'una di notte, come testi, dal pm Daloiso. E nei prossimi giorni potrebbero essere messe a confronto con le impiegate. A Torino, intanto, continuano ad affluire da tutt'Italia le testimonianze di ragazze che giurano di aver comprato i lasciapassare: sono verbali su verbali, che saranno passati al setaccio dagli inquirenti. Ieri tre nuovi casi sono stati segnalati a Perugia, altri sono arrivati dal Casertano, soprattutto da Castelvolturao. Per le contrattiste, «le nigeriane mentono. E se qualcuno ha fatto i nostri nomi, allora vuol dire che c'è un complotto contro di noi». Giovanna Favro rTi?iri;i'ETiTrrrrn r;iìiii'ifiii[i[iii[|[ifiiiiili niEI[IfI{IiIiIII|I|I|I!I[I[I!I- La Farnesina, sede dei ministero degli Esteri e Marilena Micheletti Camatel, una delle impiegate arrestate