Una chiamata per Clinton «Prevedo brutte novità» di F. Gal.

Una chiamata per Clinton «Prevedo brutte novità» Una chiamata per Clinton «Prevedo brutte novità» LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE A Londra, Dublino, Belfast e Washington si è scatenato uno sforzo diplomatico per riannodare il tenue filo della pace in Ulster. La speranza tiene, nonostante la bomba di Londra, perché rinunciarvi significherebbe ammettere la sconfitta. «La ricerca della pace continuerà», ha assicurato ieri il primo ministro britannico John Major. Quello che manca, per il momento, è un valido interlocutore. Fino a ieri Gerry Adams, il presidente del Sinn Fein che è l'ala politica riconosciuta dell'I- ra, aveva abilmente manovrato la causa dei repubblicani nordirlandesi. Fino a ieri era stato lui l'interlocutore privilegiato del presidente Clinton. Fino a ieri erano venute da lui le proposte e le rivendicazioni più ardite, prima della tregua unilaterale proclamata dall'Ira il 31 agosto 1994 e poi negli splendidi 17 mesi di pace. Fino a ieri, perché la decisione dell'Ira di riprendere l'attività militare e la bomba di Londra sembrano averlo colto di sorpresa, come se fosse escluso dai meccanismi decisionali. La sua autorità e la sua credibilità, ha detto esplicitamente il ministro irlandese degli Esteri Dick Spring, «vanno ora messe in discussione». Eppure la realpolitik dice che non ci sono altri interlocutori. I governi coinvolti nel processo di pace sanno che le loro ultime speranze sono legate, paradossalmente, proprio alle difficoltà di Adams: queste dimostrano che esiste, nella spaccatura dei nazionalisti fra moderati e oltranzisti, una parte recuperabile al dialogo. Gli uomini della bomba possono avere scelto la via della violenza irritati dai tentennamenti e dalle manovre di Major; ma gli uomini di pace forse nanno ancora un peso rilevante. Ecco allora la disperata telefonata di Adams a Clinton, pochi minuti prima dell'esplosione londinese: «Presidente, ho inquietanti informazioni. Richiamerò». Riecco il presidente del Sinn Fein, ieri, tentare una fuga in avanti: «Dopo gli avvenimenti di ieri sera cerco urgenti colloqui con i governi di Londra e di Dublino. Bisogna evitare che la situazione precipiti nell'abisso». Sembrano le parole di un uomo ancora disposto a battersi per la pace. E dalle capitali tutti si agganciano a quell'ultima tenue possibilità. Ha cominciato il ministro per il Nordirlanda, sir Patrick Mayhew, dicendosi «pronto a incontrale Adams, purché condanni esplicitamente l'esplosione». Gli altri protagonisti della saga irlandese hanno fatto eco, anche quando Adams pur dicendosi «rattristato e sor¬ preso» e confermando alla Bbc di «non avere avuto alcuna conoscenza di quanto stesse per accadere» - ha evitato di esprimere la richiesta condanna. E' chiaro: neppure lui, soprattutto se cerca ancora di mediare, può tagliare i ponti con le frange nazionaliste più bellicose. Sono cose che le volpi della politica capiscono al volo. Ecco allora il premier irlandese John Bruton rivolgere verso Belfast un appello per «l'immediato ritorno della tregua» e Dick Spring rassicurare che «il processo di pace non è finito». Da Washington Bill Clinton, che ha avuto lunghe conversazioni telefoniche con Major e Bruton (e probabilmente anche con Adams) fa sapere che «gli irlandesi hanno scelto la pace» e che lui farà «di tutto per assicurare che i nemici della pace non prevalgano». E' abbastanza per consentire a Major di suggerire una formula per la ripresa del dialogo: l'Ira e il Sinn Fein dichiarino che «la loro campagna di violenza è terminata e non la riprenderanno mai più». Parole che appaiono azzardate, mentre a Londra si cercano ancora vittime fra le macerie, ma che forse racchiudono la speranza di un rigurgito moderato fra i repubblicani irlandesi. Il contorno, fatto di improperi e condanne, è nulla più che un inscindibile rituale. A Gerry Adams, che pur chiedendo il dialogo accusa Major di avere «strangolato» la pace e definisce «miracoloso» che essa sia durata tanto di fronte alle pastoie di Londra, il premier britannico risponde che all'Ira «non sarà concesso di prevalere». Clinton si lascia andare: «Un attacco vigliacco». Anche la regina Elisabetta ha detto la sua, denunciando quel «ripugnante atto di violenza» e dicendosi «rattristata per l'oltraggio della bomba». Quello che nessuno sembra fare, in queste ore, è un esame di coscienza: capire, cioè, quale dei molti «no» abbia indotto l'Ira a tornare sulla strada insanguinata del passato. E' l'input, forse, che le capitali si aspettano da Adams. [f. gal.]