Tenace Turturro «Molte difficoltà nessuna esitazione»

Tenace Turturro Tenace Turturro «Molte difficoltà nessuna esitazione» ROMA. Magrissimo («ormai mi vanno larghi tutti i vestiti, ma non ho intenzione di comprarne dei nuovi»), i capelli rasati quasi a zero («un lavoro di circa due ore, fatto qui a Roma»), John Turturro, attore italoamericano trentanovenne fra i più ricercati e apprezzati del momento, è stato scelto da Francesco Rosi per motivi precisi: «Mi sono innamorato di lui dopo averlo visto in "Barton Fink" dei fratelli Coen: ha occhi innocenti, ma anche capaci di durezza razionale ed è rimasto profondamente italiano pur essendo nato e vissuto negli Stati Uniti». Senza esitazioni Turturro ha accettato subito la proposta di Rosi e gli è rimasto fedele negli anni, durante le varie, tormentate fasi di realizzazione del progetto. A che cosa è dovuta questa tenacia? «Ai sentimenti che Rosi esprime nei confronti di questo film, ai suoi lavori precedenti e al fatto che, dopo aver letto questo e altri libri di Levi, ho capito che non potevo spendere meglio il mio tempo se non lavorando in un prodotto di livello così elevato». Come si è preparato al ruolo? «Ho letto tutti i libri di Levi, mi sono fatto raccontare la storia degli ebrei italiani e sull'argomento ho ancora un grosso volume da leggere. Non ho vissuto quel periodo, ma ho ascoltato tante volte i ricordi di mio padre e adesso cerco di rifarmi anche a quello che ho appreso da lui. Penso che la mia parte vada affrontata con umiltà e senza enfasi. Per interpretarla mi sono preparato fisicamente, mentalmente e anche vocalmente nel senso che ho studiato l'italiano in modo da rendere il mio inglese più simile a quello parlato dagli altri attori. Spero che, insieme con Rosi, riusciremo a ricreare il personaggio con la stessa verità che Levi gli aveva trasmesso». Quale potrebbe essere la difficoltà maggiore da superare durante le riprese? «Non so, posso dire che per il momento l'unica cosa che mi manca veramente è Primo Levi: avrei voluto parlare con lui, ci sono delle cose che ti entrano dentro quando le leggi, anche se poi magari non vengono fuori nel film». Quanto è legato (o distaccato) alla cultura italiana? «Non mi sento affatto lontano dalla vostra cultura. Anzi. Quando sono in Italia mi trovo particolarmente a mio agio e spesso nella mia origine trovo la motivazione di tanti miei atteggiamenti». Rosi è un regista pieno di vigore, uno che, come dice il produttore Pescarolo, è capace di spiegare agli attori le loro parti recitandole tutte in prima persona. Come pensa che si troverà con lui? «In tutta la sua carriera ha diretto grandi attori, soprattutto attori "pensanti". Credo che il vigore e la forza di un regista siano esaltanti. Non mi spaventano affatto». Anche lei è un autore: il suo film d'esordio «Mac», oltre a vincere la «Camera d'or», cioè il premio per la migliore opera prima al Festival di Cannes, è stato ovunque apprezzato. Che cosa le insegnerà il lavoro con Francesco Rosi? «Di sicuro avrò da imparare e sono molto curioso di vedere coinè andranno le cose. E' la prima volta che lavoro con un regista completamente italiano». Che cosa ha pensato della tragica fine di Primo Levi? «Credo di non poter avere la presunzione di esprimere un giudizio sulla sua scelta. La vita è piena di cose impossibili da spiegare e io non posso farmi un'idea di quello che è passato nella sua mente». Andrà a Torino, conoscerà la sua vita? «Sì, farò quanto posso, ma cercherò anche di non imporre a nessuno la mia presenza». Quali sono i suoi progetti dopo «La tregua»? «Vorrei tornare dietro la macchina da presa per realizzare un altro film da regista intitolato "Illuminata", ma non so se riuscirò a trovare i soldi necessari», [jf. ci

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