La verità sulla Verdun d'Etiopia di Domenico Quirico

La verità sulla Verdun d'Etiopia COLONIALISMO La rivelazione del ministro della Difesa destinata a chiudere la lunga polemica tra storici La verità sulla Verdun d'Etiopia Cordone ammette: gli italiani usarono armi chimiche La guerra d'Etiopia, anacronistico conflitto coloniale di questo secolo, forse, è finita ieri. L'ultimo capitolo l'ha scritto il generale Corrione, ministro della Difesa, che rispondendo a una interrogazione parlamentare, ha per la prima volta ammesso che «durante la guerra d'Etiopia vennero impiegati dalle truppe italiane bombe d'aereo e proiettili di artiglieria caricati ad iprite e arsine e che l'impiego di tali gas era noto al maresciallo Badoglio che firmò di proprio pugno alcune relazioni e comunicazioni in merito». Era il tassello «ufficiale», il timbro che mancava: sulla verità o meno della «guerra sporca» contro i soldati del Negus si è scatenata infatti una guerriglia storiografica senza esclusione di colpi, apparentemente anacronistica visto che l'effimera avventura nel Corno d'Africa è in archivio da mezzo secolo. Di fronte ci sono l'agguerrita pattuglia capitanata da Angelo Del Boca, formata da coloro che, in una revisione generale del nostro colonialismo, puntano sul riconoscimento dell'uso dei gas per smontare il mito degli italiani, nonostante tutto, «buoni». E con altrettanto fervore, il gruppo di chi (come Indro Montanelli, che alla guerra d'Etiopia ha partecipato al comando di un reggimento di ascari) ha sempre negato ostinatamente l'impiego dei gas. Tanto furore sembra incomprensibile, perché, a guardare bene, «il segreto» non c'è, l'armadio degli scheletri è vuoto da tempo. Quel mattino del 23 dicembre 1935 nella valle del fiume Tacazzé, una galoppata satanica di macigni nel cuore dello Sciré, i soldati del ras Lmmirù credevano di sognare: gli stormi di aerei italiani non lanciavano bombe ma strani contenitori che si sfasciavano al suolo lasciando colare una sostanza incolore. La sorpresa durò pochissimo, il tempo necessario al micidiale solfuro di etile biclorurato di svolgere il suo compito di morte. Tra urla strazianti, i soldati toccati dalla micidiale sostanza cominciarono a coprirsi di vesciche che deformavano piedi, braccia, volti. Ma ancora peggiore fu la sorte di chi aveva bevuto l'acqua del fiume avvelenata dal liquido assassino. La loro agonia durò ore. Era uno spettacolo che avrebbe parlato subito alla memoria dei reduci dalle trincee delle Fiandre e di Caporetto: l'attacco con i gas, una delle pagine più nere della prima guerra mondiale, che le convenzioni internazionali avevano messo al bando quando la diplomazia aveva deciso che quella doveva essere l'ultima delle guerre. E' un episodio, tra i tanti, narrato da testimoni attendibili, le cui prove documentali si possono trovare facilmente negli archivi dello Stato maggiore e dell'ex ministero dell'Africa italiana: dove giacciono le richieste ufficiali di Badoglio a Mussolini per l'impiego dell'arma chimica in un momento delicato del conflitto, con i commenti e le conferme sugli effetti che ebbe nel perfezionare l'offensiva delle truppe italiane. Si conosce il nome del deposito dove erano stati immagazzinati gli ordigni di questa guerra sporca, a Sodorocò, vicino a Asmara; i quantitativi impiegati, addirittura le squadriglie aeree che compirono le missioni «speciali». Insieme con l'elenco di tutti i tipi di veleni, dal gas cianidrico con il caratteristico sapore di mandorle amare all'iprite, incubo di Verdun. Resta da spiegare il perché di questo corto circuito della memoria storica. Non è soltanto un puntiglio di addetti ai lavori, ricerca di emozioni logore sommariamente nascoste in pergamene rugose. In realtà questa controversa verità è stata il sismografo della riflessione, sempre evitata, sul nostro colonialismo. Tanto più difficile perché intrecciata a una guerra combattuta in un'epoca in cui appariva anche agli europei ormai fuori moda, ma che fu contemporaneamente «moderna» per l'impiego di mezzi bellici come l'aereo, il carro armato, le truppe motorizzate. Per questo un secondo fronte, nonostante l'ammissione ufficiale di Corcione, è già pronto. Mentre i revisionisti affermano che i gas furono decisivi per piegare l'esercito del Negus, i «negazionista si arroccano su una trincea di riserva: definiscono l'arma chimica secondaria dal punto di vista strategico, occasionale e legata a ritorsioni per episodi di crudeltà commesse dalle armate etiopiche su prigionieri e civili. Un capitolo, in fondo, minore. La guerra, negli archivi, continua. Domenico Quirico

Persone citate: Angelo Del Boca, Badoglio, Corcione, Cordone, Indro Montanelli, Mussolini, Negus

Luoghi citati: Africa, Asmara, Caporetto, Etiopia, Verdun, Verdun D'etiopia