Il Papa sul sepolcro di Romero di Marco Tosatti

Il Pontefice nel Paese dilaniato da 21 anni di guerra civile Il Pontefice nel Paese dilaniato da 21 anni di guerra civile Il Papa sul sepolcro di Romero «L'odio èfinito, il Salvador è in pace» SAN SALVADOR DAL NOSTRO INVIATO Continua 1'«amarcord)) personale di Papa Wojtyla nel Centro America; dopo l'affettuoso incontro con Violeta Barrios Chamorro in Nicaragua, Giovanni Paolo II è giunto ieri a San Salvador, terra di vescovi e preti uccisi perché troppo inclini a difendere i diritti del 51% della popolazione schiacciata da una «povertà assoluta». Nel 1983 la chiesa, guidata da monsignor Rivera Damas, era ai ferri corti con il governo, e il clima non fu cordiale. Altri tempi. Rivera Damas è morto, al suo posto è stato nominato un vescovo spagnolo, considerato conservatore, membro dell'Opus Dei. I gesuiti dell'Università Centro Americana di San Salvador hanno criticato la scelta: «Una rottura con gli oltre cinquant'anni di tradizione diocesana.... orientata a difendere la vita dei più poveri». Ma è cominciata quella che i giornali locali definiscono «la luna di miele» della Chiesa «con coloro che prima la perseguitarono per la sua opzione preferenziale per i poveri». Le agenzie pubblicitarie hanno elaborato spot televisivi gratuiti per la visita papale, tramessi - sempre gratuitamente - dai maggiori canali, proprietà di una sola persona. Il vescovo ausiliare di San Salvador, Gregorio Rosa Chavez, ha indicato in molte migliaia di dollari il costo commerciale di questi spot radio e tv, «senza che la Chiesa abbia investito un solo centesimo». E il governo del Presidente Calderon Sol, del partito conservatore Arena (Azione Repubblicana Nazionale), fra i cui fondatori c'era D'Aubuisson, accusato di essere mandante dell'omicidio di Romero, ha regalato, due settimane fa alla Chiesa oltre mezzo milioni di dollari, contributo (i detrattori dicono elettorale) per completare il restauro della cattedrale danneggiata nel terremoto del 1986. Nella cripta Giovanni Paolo II ha pregato sulla tomba di monsignor Rivera Damas, e su quella di monsignor Romero, «brutal¬ mente assassinato mentre offriva il sacrificio della messa». Da allora la lista dei sacerdoti morti si è allungata, in particolare con il massacro, nel novembre 1989, di sei gesuiti della prestigiosa Università Centro Americana, fastidiosi per la destra al potere, e uccisi dai militari. Ma nel 1983 c'era la guerra civile, finita, dopo ventun anni, nel 1992, e adesso c'è la pace. «Fui testimone - ha detto ieri Papa Wojtyla - della sofferenza di un popolo straziato dal dolore di una guerra fratricida che seminava morte, violenza divisioni, rancori e lasciava dietro di sé vedove e orfani». La situazione sociale del paese non pare migliorata; il 30% è analfabeta, oltre centocinquantamila piccoli sotto i cinque anni soffrono di denutrizione, quasi quattrocentomila bambini non hanno istruzione primaria, su una popolazione di 5.680.000 persone. «Ma il Papa - ci ha detto monsignor Chavez - nonostante l'ingiustizia, la miseria e la cattiva distribuzione della ricchezza, trova un Paese in pace». Papa Wojtyla ha toccato molto di sfuggita le cause sociali della guerra civile. «E' evidente anche che la vostra nazione fa parte dei Paesi fratelli dell'America Centrale. In quest'area del continente negli ultimi anni si è svolta una continua lotta tra opposti interessi strategici, per far prevalere, anche con sistemi violenti, ideologie politiche ed economiche opposte, come il marxismo e il capitalismo sfrenati, ideologie che essendo estranee al vostro carattere e alla vostra tradizione di valori umani cristiani hanno lacerato il tessuto della vostra società e hanno scatenato gli orrori dell'odio e della morte». Il «Maligno» è la causa di tutto, e la sua «saggezza del mondo, terre¬ na, carnale e diabolica. E' quella che deriva da istinti terreni e provoca la divisione dei cuori, che proviene sempre dal maligno al servizio di interessi personali». Pace e riconciliazione, più che giustizia sociale era il messaggio di ieri di Giovanni Paolo II. «Se guardiamo indietro è per implorare la misericordia divina sulle vittime della guerra e per invitare tutti, come hanno fatto i vostri vescovi, a perseverare in questo atteggiamento fondamentale di riconciliazione, fonte di perdono e solidarietà fraterna». Un esempio fornito dal provinciale dei gesuiti che nel 1992 chiese l'indulto per gli unici due militari condannati per il massacro all'Università Centroamericana. E la folla inalberava cartelli con la scritta: «Romero è risorto nel popolo». Marco Tosatti

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