Il Cavaliere ha voglia di blitz

Il Cavaliere ha voglia di blitz Il Cavaliere ha voglia di blitz Tettarella: attenti, che chiude da solo RETROSCENA LE DIVISIONI NEL POLO E: ROMA alla fine nel bel mezzo della I crisi di governo, nel solito vertice del Polo che non scioglie nessun nodo e tergiversa ancora sull'ultimo «sì» ad Antonio Maccanico, piombano anche i russi. E' successo ieri pomeriggio a via dell'Anima, quando un corteo di tre Mercedes nere, ha scaricato il vice-primo ministro di Mosca a casa del Cavaliere con una lettera in cirillico in cui il presidente Boris Eltsin ha chiesto «in nome della vecchia amicizia con Silvio» un prestito di 2 milioni di dollari all'Italia. Inutile dire che quella missiva che Berlusconi si è rigirato tra le mani per due ore davanti a Gianfranco Fini, Clemente Mastella e Raffaele Costa domandando ai suoi interlocutori «adesso che faccio?», doveva finire sulla scrivania di Lamberto Dini, attuale presidente del Consiglio dimissionario. Ma non c'è da meravigliarsene più di tanto. Ormai la confusione ha davvero raggiunto il livello di guardia. La crisi, infatti, continua a svilupparsi su due sceneggiature diverse, che in alcuni momenti si sovrappongono e in altri si contraddicono: c'è quella scritta da Maccanico con l'aiuto della coppia Berlusconi-D'Alema che ha un unico epilogo possibile, l'accordo; e c'è quella di Fini, che non si sa ancora come finirà. E, ovviamente, stando così le cose, è difficile orientarsi in questa storia intricata come è difficile interpretare i comportamenti dei diversi personaggi, i loro ruoli contraddittori. Ieri mattina, ad esempio, la crisi sembrava risolta. Intorno alle 12 il sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo dimissionario, Guglielmo Negri, buon amico di Maccanico, dava tutto per fatto: «Berlusconi e D'Alema • spiegava - hanno concordato uno schema e, probabilmente, sabato mattina Maccanico porterà la lista dei ministri al Quirinale». A quell'ora le cose stavano davvero a quel modo. Tra le 9 e 30 e le 11, infatti, lontano dagli occhi indiscreti dei suoi condomini (la sede di Alleanza Nazionale è al piano di sotto di casa Maccanico) il presidente incaricato aveva incontrato sia Berlusconi, sia D'Alema. Nei colloqui era spuntato fuori una sorta di «schema» di lavoro nel quale si parlava di legge elettorale, di anti-trust, di federalismo e di riforma dello Stato con un generico riferimento al semipresidenzialimo. Un «preambolo» su cui D'Alema ha dato il suo assenso come pure Berlusconi e che Maccanico avrebbe recepito nella sua relazione. ' Insomma, sembrava tutto fatto, tanto che da quel momento hanno cominciato a moltiplicarsi le liste dei ministri: Ciampi al ministero del Tesoro e Bilancio, Billia alle Finanze, Amato all'Interno, Armarli alla Difesa, Tana all'Industria, Baldassare alla Giustizia, Dini agli Esteri, Aurelio Misiti ai Lavori Pubblici, Carla Martino (sorella di Antonio) alla Famiglia e via dicendo. Si sono aperte anche le dissertazioni sulle due possibili coppie di vicepresidenti - sempreché nel governo queste figure siano istituite - Letta-Napolitano o Dotti-Berlinguer. E, addirittura, è circolata la voce che come garante il centro-sinistra poteva avanzare il nome di Lamberto Dini. Nel pomeriggio, poi, sono tornati ad aleggiare i primi dubbi sull'accordo. Walter Veltroni ha fatto una passeggiata nel Transatlantico di Montecitorio per ripetere le sue riserve sulla linea di D'Alema. «Io rimango convinto ha spiegato - che se si votava adesso si vinceva e dopo si potevano fare le riforme istituzionali staccandole dal problema governo. In quest'altro modo, invece, è fatale che i due piani si confondano dando a Fini la possibilità di giocare i suoi veti su entrambi i tavoli». Anche gli irriducibili dei popolari hanno continuato dire «no» all'idea di un governo che inserisse nel suo programma il semi-presidenzialismo, ventilando persino l'ipotesi di una loro astensione. Eppoi, in ultimo, è venuta la doccia fredda del Polo. Ieri nel tardo pomeriggio a casa Berlusconi regnava il caos. In una stanza c'erano i russi di Eltsin. In un'altra un Tremonti infuriato per questa storia dei ministri che non possono essere parlamentari. In un'altra ancora il «vèrtice» del centro-destra. Letta nella riunione ha riportato alcune ipotesi di lavoro per il famoso preambolo politico che gli erano state inviate da Maccanico. In quei fogli, però, la parola «semipresidenzialismo» non appariva affatto. Così Fini ha potuto ripetere che «senza un accordo serio non si fa nessun governo». Il presidente di An si è ritrovato accanto, come alleati anche Casini e Mastella. Tutti e due hanno detto di aver paura di un'intesa generica che potrebbe venir meno da un momento all'altro, ma un loro amico, Francesco D'Onofrio, poco più tardi, ha dato un'altra versione del loro atteggiamento. «Spero - ha osservato il professore - che non puntino solo ad avere qualche ministro politico. Anche se Mastella privato di un rninistero potrebbe preferire le elezioni». Poi, come avviene sempre in questi casi è venuta fuori anche qualche «voce» terroristica. Qualcuno ha detto che Ciampi nel suo programma economico sta predisponendo una tassa patrimoniale per le imprese. Mentre Mastella, in ultimo, ha riportato un'altra notizia: «D'Alema ha telefonato per dirci che se non si coinvolgono i popolari non può fare l'accordo». Berlusconi ha ascoltato, eppoi ha tirato fuori una «bozza» di lettera da inviare a Maccanico preparata da Buttiglione: in sintesi si riparla del modello francese, ma si aggiunge che una grande nazione non può ricopiare il sistema di un altro Paese e deve adeguarlo alla sua tradizione. In più il Cavaliere ha messo al corrente gli altri dell'incontro con Maccanico. «Per quanto riguarda i ministri - ha raccontato - il presidente incaricato mi ha fatto il nome di Ciampi, mi ha parlato di Casavola alla giustizia e mi ha detto che Scalfaro vuole Dini agli Esteri...». Insomma, si va avanti nella trattativa sui programmi ma intanto si continua a parlare di ministri. E già solo quella digressione sui nomi ha convinto ancora una volta Fini e Tatarella che Berlusconi quell'accordo lo vuole a tutti i costi. In più gli ha messo davanti una prospettiva per loro non poca rischiosa: e se Maccanico alla fine decidesse di tirar dritto, di presentare la lista dei ministri, magari con la benedizione di Berlusconi, e di mettere Fini di fronte al dilemma di «prendere o lasciare»? «Non credo che farà così - cercava di consolarsi ieri sera Tatarella - lo abbiamo scelto perché è neutrale». Augusto Minzoiini Silvio agli alleati «Tonino vuole Gasaypla alla Giustizia Scalfaro preme per Dini agli Esteri» Giornata di caos a via dell'Anima Arriva anche delegazione russa con la richiesta di un prestito A sinistra: il presidente del Consiglio incaricato Antonio Maccanico A sinistra: Raffaele Costa Qui sotto: Massimo D'Alema

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