Allievo precocissimo incantava i professori di Alessandro Galante Garrone

Allievo precocissimo incantava i professori AL LECEO Allievo precocissimo incantava i professori D I Piero Gobetti sentii I parlare per la prima volta da mio padre, Luigi Galante, quando ero ancora un ragazzo, all'inizio degli Anni Venti. Da una lettera (inedita) a mia madre, di recente scoperta fra vecchie carte di famiglia, ho potuto stabilire, con assoluta certezza, come e quando avvenne quel loro incontro. Mio padre, nel gennaio del 1918, era professore di latino e greco al liceo D'Azeglio di Torino, e incaricato di letteratura latina all'Università. Da qualche settimana mia madre, mia sorella, mio fratello ed io, ci eravamo trasferiti a Vercelli per non lasciare soli i nonni materni, dopo che i loro due figb, Giuseppe ed Eugenio Garrone, erano caduti, uno accanto all'altro, nella disperata e decisiva battaglia di resistenza su Monte Grappa (14 dicembre 1917). Mio padre, allora quarantenne, era un affermato latinista, uscito dalla scuola fiorentina di Girolamo Vitelli. Amici suoi, della medesima generazione, erano Concetto Marchesi, Manara Valgimigli, Giorgio Pasquali. Per testimonianze che ho potuto raccogliere da alcuni vecchi allievi, le sue lezioni, specialmente sui versi di Orazio, erano indimenticabili. Alumnus Horatii, lo aveva definito un altro suo grande amico, Augusto Monti. Ed ecco come mio padre conobbe Gobetti. Erano quelli i mesi critici, all'indomani di Caporetto, in cui sia i diciottenni sia i più anziani erano chiamati o richiamati alle armi. (Non mio padre, perché l'irrigidimento di una gamba, in seguito a una brutta caduta da ragazzo, glielo aveva impedito). E così, al liceo Gioberti, frequentato da Gobetti, era stato richiamato un suo amatissimo insegnante, Balbino Giuliano, da cui anni dopo il giovane allievo, diventato prima direttore di Energie nove e poi della Rivoluzione Liberale, si sarebbe distaccacon dolore, per insanabili dissensi morali e politici. A Lvoer I to co I disse sostituire Giuhano fu chiamato Galante, mio padre, che il 13 gennaio scriveva a mia madre, con assai poco entusiasmo: «Presto dovrò prendere l'insegnamento del latino e greco nella 2a liceale B del Gioberti, che il Giuliano lascia libero [...]. Così seguito a fare il turabuchi in tutti i licei di Torino!». Ma il 22 gennaio egli stesso scriveva: «Ieri mattina andai al Gioberti, a fare due ore di lezione per la prima volta, in quella 2a B. Ne sono assai soddisfatto, perché sono una quindicina di giovinetti rispettosi e attenti e bravi: uno, mi disse il Giuhano, è bravissimo». Il lettore avrà già capito chi fosse quel ragazzo «bravissimo»: Piero Gobetti. Da un compagno di liceo, che molti anni dopo sarebbe diventato mio amico, Giuseppe Manfredini, seppi che lui e Gobetti lessero insieme, sulle panchine di Torino, sempre in quell'anno, 1918, i poemetti latini di mio padre, vincitore di medaglia d'oro o di magna laus, talvolta anche superando Giovanni Pascoli, al famoso certame di poesia latina di Amsterdam. Gobetti, e il suo professore Galante, restarono in amichevoli rapporti. Ho trovato, fra le carte di casa mia, anche i vecchi numeri di Energie nove, con l'indirizzo scritto dalla madre di Piero. E ricordo che in uno dei suoi ultimi colloqui con noi, dal letto da cui non si sarebbe più alzato perché colpito da una violenta polmonite, nostro padre ci parlava ancora, con entusiasmo, del suo prodigioso scolaro, poco prima vilmente aggredito dagb scherani di Mussolini. Insegnante ed allievo sarebbero morti a circa un mese di distanza l'uno dall'altro: mio padre nel gennaio e Gobetti nel febbraio del 1926. In questo settantennio dalla loro scomparsa, mi pare non ingiusto ricordare il legame, sia pur filiforme, e oggi da tutti dimenticato, che li unì invita. Alessandro Galante Garrone me^J

Luoghi citati: Amsterdam, Caporetto, Torino