Gavazzeni, addio sulle note di Beethoven

Gavazzeni, addio sulle note di Beethoven IL CASO LA MUSICA IN LUTTO Fontana: «Abbiamo un grande debito verso di lui, gli dedicheremo un luogo del teatro» Gavazzeni, addio sulle note di Beethoven Commozione davanti alla Scala, dove ha diretto Muti LM MILANO m ADDIO di Milano a Gianandrea Gavazzeni ha avuto un ultimo, lungo applauso. Sotto il porticato della Scala, una vecchia signora si è chinata a raccogliere i bianchi petali di una rosa, che nel parapiglia del cordoglio si era spampanata. Li ha raccolti tutti e li ha messi, fra le pagine di un'agenda, in borsetta. Il corteo funebre si è mosso per uscire dalla città e raggiungere Bergamo, dove nel pomeriggio, dopo una messa e la commemorazione ufficiale del sindaco Guido Vicentini, la salma è stata provvisoriamente portata al Famedio, in attesa di poterla tumulare nella Basilica di Santa Maria Maggiore, là dove è sepolto Donizetti. Lentamente la gente, una buona metà di piazza della Scala e l'atrio del teatro gremito in un gomito a gomito, ha cominciato ad andarsene, raggomitolandosi nei cappotti e nelle pellicce per il gelo. Se ne sono andati anche gli orecchinati ragazzi dell'istituto tecnico Galileo Ferraris («Siamo della terza e ci ha portati la prof, d'italiano») e, mescolati alla folla, i grandi, leggendari pensionati della storia scaligera, l'ex segretario generale Luigi Oldani (fu, insieme a Nicola Benois, il primo ad entrare nel teatro distrutto, il mattino del 16 agosto 1943), l'infermiera Miranda, il realizzatore di scenografie Gino Romei, il macchinista Luciano Spaolonzi e Fernanda Gandini, la segretaria di Antonio Ghiringhelli, il sovraintendente dalla ricostruzione all'i- nizio del decennio Settanta. Uno ad uno, erano passati davanti al feretro di Gavazzeni, posto al centro dell'atrio scaligero, fra gli stendardi di Milano, Bergamo, Ravenna, Salsomaggiore, la corona del presidente Scalfaro, quella di rose rosse del coro del Maggio Musicale Fiorentino, quella di rose bianche di Giorgio Armani e i fiori della Fondazione Toscanini. Oldani aveva mormorato: «Tanto, tanto lavoro insieme». Poche parole, ma erano sembrate un poetico necrologio alla professionalità di un musicista che sapeva quanto l'arte si debba nutrire di artigianato, di mestiere. Accanto alla bara, seduta, quasi rattrappita, stava Denia Mazzola, la compagna dei suoi ultimi anni. Poco dietro, i figli Pino e Franco, il plotone dei nipoti ed Emanuela Castelbarco, figlia di Wally Toscanini, a rappresentare un'amicizia di tre generazioni. Le porte della Scala erano state aperte alle 9,30 e subito le maschere avevano dovuto faticare per evitare intoppi di folla. La sala era vuota. Sul palcoscenico, i leggìi con lo spartito della «Marcia funebre» dall'«Eroica» di Beethoven. Riccardo Muti stava tornando in aereo da Vienna e il sovraintendente Carlo Fontana aveva ottenuto che la torre di controllo di Linate evitasse di metterlo in coda nella ritardata lista d'attesa degli atterraggi. C'era una grande compostezza. L'omaggio dei melomani, dei milanesi, non si distraeva nel rico¬ noscere Renata Tebaldi in lacrime, Carlo Bergonzi, Carla Fracci. Affamati di altre presenze musicali, di altre firme del canto e dello strumentismo, i cronisti dovevano accontentarsi di annotare i nomi di alcuni «generali» della musica, della lirica, loro sì, è giusto scriverlo, capaci di un segnale di gratitudine: i sovraintendenti Emani, Escobar, De Bosio e Mirabelli, i direttori artistici Mazzonis e Vlad. Il direttore del Conservatorio di Milano Marcello Abbado. Mentre la gente ormai premeva a ridosso del rosso cordone che delimitava lo spazio del catafalco, dei gonfaloni, delle autorità e il sindaco Marco Formentini, facendosi largo, prendeva posto accanto ai parenti, l'orchestra si preparava sul palcoscenico. «Il coro si è sentito un po' escluso», diceva Carlo Fontana. «Ci teneva a testimoniare il suo affetto per il maestro. Nel trigesimo della sua morte, lo ricorderemo in chiesa anche con il canto del coro. La Scala ha un grande debito verso Gavazzeni e lo onorerà. Pensiamo di intitolare al suo nome un luogo del teatro». Qualcuno proponeva di pensare a un convegno di studi. «Sarebbe doveroso - diceva Roman Vlad -; Gavazzeni è il rappresentante di una generazione di direttori che, senza voltare le spalle al melodramma dell'Ottocento, hanno valorizzato il verismo e, senza snobismi ma sempre con alto spirito critico, anche i compositori nati negli Anni Ottanta del secolo scorso, i Casella, i Pizzetti». Erano ormai le 11,30. Le porte della platea erano state aperte e dal fondo, dal lontano palcosceni co venivano, lente, gravi, le note dei violini nell'attacco della «Marcia funebre» diretta da Muti, La musica usciva dal teatro, andava nella piazza, entrava in Galleria. Era tempo di occhi arrossati. Poi, un minuto di silenzio. E l'applauso, due volte, lungo, insi stito. «E' morto bene», raccontava un nipote, «E' morto sapendo di mo rire, amando il Dio cattolico, ma quello controcorrente come dice va lui. Poco prima di andarsene, si è come ricordato di un'enormità: "E' il primo giorno della mia vita che non suono Bach"». Guido Vergarli La salma sarà tumulata nella basilica di Bergamo vicino a quella di Donizetti Un momento dell'addio al maestro Gavazzeni

Luoghi citati: Bergamo, Milano, Ravenna, Vienna