«Claretta, spia dei nazisti»

Rivelazione dagli archivi dei servizi segreti svizzeri, la Petacci avrebbe rubato documenti Rivelazione dagli archivi dei servizi segreti svizzeri, la Petacci avrebbe rubato documenti «Claretto, spia dei nazisti» «Doveva controllare Mussolini» «E' finita, finita, adorato mio Ben. Sono uscita, siamo usciti. Ora non so nulla, so soltanto che sono libera, che i tedeschi ci hanno salvato...». Così scriveva a Mussolini, la mattina del 18 settembre '43, eiaretta Petacci appena liberata - per intervento del comandante delle SS in Italia, Generale Karl Wolff dal carcere di Novara dopo oltre un mese di prigionia. Da quel momento la Petacci, suo padre, professor Francesco Saverio, la madre Giuseppina e la sorella Miriam furono sotto la protezione delle SS e a sorvegliare sulla incolumità e la tranquillità di Claretti venne incaricato un ufficiale, il tenente Franz Spoegler, ventottenne, altoatesino. Motivi di riconoscenza verso i tedeschi da parte dei Petacci - e in modo speciale di Claretta, amante di Mussolini e che con lui verrà fucilata nell'aprile '45 a Giulino di Mezzegra - non mancarono certamente e, per taluni aspetti, si può anche ipotizzare che la Petacci abbia accettato di spiare il Duce per conto di Wolff. Alla caduta del fascismo, sul finire del luglio '43, tutti i Petacci (con l'esclusione di Marcello, medico della Marina Militare e in servizio a Taranto) erano riuniti a Roma nella loro villa della Camilluccia: all'alba di domenica 25 fu Mussolini a telefonare a Claretta per dirle che «la mia stella si è oscurata» e due ore più tardi venne infatti arrestato. In fretta e furia i Petacci abbandonarono la capitale trasferendosi in auto sul Lago Maggiore, in una villetta a Meina, ma la sera del 12 agosto i carabinieri li andarono a prendere (accusandoli di una presunta truffa ai danni del marchese Ugo Montagna che diventerà famoso in Italia negli Anni Cinquanta con il «caso» Montesi) rinchiudendoli nelle carceri del Castello Sforzesco di Novara. All'indomani dell'armistizio Claretta, leggendo su un giornale che il Ben era stato liberato e si era ricongiunto alla famiglia, riuscì a mandare un biglietto al comando tedesco di Novara dicendo chi era e chiedendo aiuto. Il messaggio finì al generale Wolff, che ne parlò subito con Himmler e, questi, con Hitler. Il risultato fu che verso mezzogiorno del 18 settembre due grosse Mercedes tedesche giunsero al carcere, caricarono i Petacci e i loro bagagli e a sera la famiglia era all'albergo Parco di Merano: l'indomani mattina un ufficiale delle SS li accompagnò al castello della città che divenne la loro dimora. Un mese più tardi Wolff, su incarico di Hitler, che forse guardava a quell'amore più con calcolo politico che con romanticismo, portò Claretta, da sola, a Gardone e lì la favorita di Mussolini alloggiò a Villa Fiordaliso, vicino al Vettoriale di D'Annunzio, dove in seguito fu raggiunta dalla famiglia. Mussolini e la Petacci potevano vedersi solo di rado e di nascosto, erano costretti a scriversi, ma anche se parecchi esponenti fascisti si pronunciarono contro quella relazione e vi furono furibonde sce- nate di gelosia da parte di Rachele, Claretta ebbe sempre il completo appoggio dei massimi dirigenti nazisti, dall'ambasciatore Rahn al capo della polizia di sicurezza Harster, da Wolff al generale Sepp Dietrich, che di Hitler era stato amico di gioventù. Nell'inverno '43-'44 il rapporto tra Mussolini e Claretta si incrinò anche a causa dell'inva- denza del «clan» Petacci e nel febbraio '44 un alto dirigente della polizia di Salò, Apollonio, informò la famiglia di aver ricevuto dal Duce l'ordine di arrestarli tutti e trasferirli a Merano. Claretta si oppose e rifiutò di fare le valigie; finì che soltanto i suoi genitori e la sorella lasciarono il Lago di Garda. In realtà a Mussolini doveva es- sere venuto qualche dubbio sulle relazioni fra Claretta e i tedeschi e sospettava che lei mandasse a Wolff la copia delle lettere che riceveva dall'amante. Questo spiegherebbe perché, nell'autunno del '44, il questore Bigazzi Capanni perquisì Villa" Fiordaliso sequestrando la corrispondenza di Claretta con Mussolini comprese carte, libri e fotografie avute in regalo: la Petacci in quell'occasione minacciò di uccidersi sparandosi alla testa con una Beretta 7,65, ma il questore la disarmò e se ne andò portando via la rivoltella e tredici lettere, cinque scoperte su una scrivania e otto rinchiuse in una borsa di pelle, che il giorno stesso vennero consegnate a Mussolini. Ma se fra i due amanti vi fu una spiegazione i documenti dell'epoca e gli archivi non ce lo hanno ancora detto. Giuseppe May da Garetta Petacci sarebbe stata una «informatrice» dei tedeschi: la conferma ai sospetti e alle testimonianze di alcuni ex gerarchi repubblichini resi nell'immediato dopoguerra giunge ora dagli archivi dei servizi segreti svizzeri. All'amante di Benito Mussolini sarebbe stato affidato dagli alti vertici del regime nazista il compito di controllare le mosse del capo del fascismo nella speranza di sottrargli alcuni compromettenti documenti, in particolare sulle presunte mire anti-tedesche della Repubblica di Salò. Il convincimento dell'intelligence di Berna sull'attività spionistica di eiaretta nasceva dalle informazioni raccolte dagli agenti in missione sulla frontiera italo-svizzera, che erano in stretto contatto con un gruppo di infiltrati tra gli ufficiali della polizia repubblichina. Il «torbido» ruolo della Petacci nei mesi convulsi tra l'ottobre 1944 e il marzo '45 emerge da alcuni resoconti inediti conservati nell'archivio privato del maggiore Guido Bustelli, responsabile del controspionaggio per la frontiera con l'Italia, e messi a disposizione degli studiosi dagli eredi. [AdnKronos] Ma il Duce s'insospettì e fece perquisire la sua casa sul lago Hitler la fece stare a Gardone perché non si fidava più del capo del fascismo Benito Mussolini. A Salò fu spiato dalla sua amante Claretta Petacci. Dagli archivi del controspionaggio svizzero emerge il suo ruolo di informatrice di Hitler