Vizi e virtù di Marcos il ribelle

Vizi e virtù di Marcos il ribelle INTERVENTO LO SCRITTORE MESSICANO Vizi e virtù di Marcos il ribelle Octavio Paz: la verità sulla rivolta del Chiapas A quando incominciò la rivolta del Chiapas ho condannato il ricorso alle armi. La mia riprovazione non è stata unilaterale; senza ignorare la responsabilità degli insorti, soprattutto dei dirigenti, parecchi dei quali militanti in gruppi rivoluzionari che inseguono la violenza, non ho chiuso gli occhi di fronte alla responsabilità sia dei governi locali, sia di quello federale. Per dieci anni i ribelli prepararono il proprio movimento senza che i governi locali e del centro muovessero un dito, non per reprimerlo, ma per aggredire le cause della rivolta: l'ingiustizia, la povertà, l'impotenza delle comunità di raggiungere, attraverso vie legali e pacifiche, un rimedio alla loro terribile situazione. Non meno responsabili sono state le classi agiate del Chiapas. E anche la Chiesa ha le sue colpe, non solo per le furibonde prediche di molti sacerdoti sostenitori della Teologia della liberazione, ma anche per non aver voluto vedere che una delle cause della situazione era ed è l'insensato aumento della popolazione (in Chiapas la percentuale di crescita è del 4% l'anno). Ho aggiunto, infine, che, in una certa misura, tutti eravamo responsabili, visto che avevamo permesso, nel Chiapas e in altre regioni del Messico, che si perpetuasse la miseria dei contadini e, in particolare, delle popolazioni indigene. Per tutti questi motivi mi schierai, dal gennaio 1994, a favore di una soluzione pacifica del conflitto attraverso negoziati che dessero soddisfazione alle legittime richieste dei contadini del Chiapas. Per quanto riguarda le altre soluzioni, di carattere nazionale, ho sottolineato che questa era una materia che riguardava tutti i messicani e che dovevamo discuterne tutti. In più occasioni ho segnalato l'imprecisione (volontaria?) delle richieste del Comitato Rivoluzionario Clandestino: che cosa vogliono dire con le parole giustizia, libertà, democrazia, dignità? In politica, come in tutto, le parole devono avere un significato preciso: Stalin e i suoi complici definivano «democrazie popolari» i Paesi satelliti di Mosca. Stessa cosa deve dirsi per la loro pretesa di cambiare con un'altra la Costituzione che ci governa: quali princìpi e quali concetti ispirano questo progetto? Quali sono le idee riguardo alla proprietà statale e privata, i diritti delle minoranze e degli individui, la democrazia rappresentativa e il metodo per realizzarla? Accettano libere elezioni e la concorrenza tra i vari partiti e candidati o le considerano una trappola dei capitalisti e dell'imperialismo per continuare il loro dominio? Chiedono di cambiare, ma la loro volontà di cambiare si scioglie in un interrogativo: in che cosa consiste questo cambiamento e quali saran- no i suoi obiettivi? L'iniziativa di costituire un Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale crea perplessità. In primo luogo: perché Zapatista? E', questo, un aggettivo che lascia fuori tutti quelli che non sono zapatisti, vale a dire, la maggioranza del Paese. La finalità di questo Fronte mi lascia anche perplesso: si tratta di creare un organismo politico che espressamente rinunci all'obiettivo centrale dell'azione politica sia, questa, democratica o rivoluzionaria: la presa del potere. Non è strano che varie personalità della sinistra, senza escludere eminenti dirigenti del prd, abbiano accolto la proposta con diffidenza e anche con franca repulsione. Si tratta di sloggiarli dalla vita pubblica? Accanto alle reazioni negative, molti giornalisti e ideologi di sinistra hanno accolto a bocca aperta la proposta. Gli sembra una meravigliosa novità storica che rettifica radicalmente la tradizionale dottrina dei marxisti e dei rivoluzionari. Strano miraggio logico e politico: fare politica al di fuori d«*lla politica. Il Fronte sarebbe un'istanza diversa e superiore a governi, partiti, gruppi e individui. Sarebbe la coscienza politica della società, allo stesso tempo suo censore e suo esempio. Il Fronte eserciterebbe la propria azione di critica e di supervisione non con i partiti ed i governi, ma attraverso di loro e sopra di loro. La novità storica di questo progetto è vecchia di duemila anni. Appena costituita, la Chiesa cattolica, nei suoi due rami, la romana e la bizantina, proclamò il proprio potere spirituale e morale sulla società e i suoi governanti. A Bisanzio e, poi, in Russia, la Chiesa si fuse con l'Impero. In Occidente si trasformò in potere autonomo dallo Stato ma con una giurisdizione morale e politica sui monarchi, i baroni e i servi. Triplice fondamento del potere spirituale della Chiesa: le Sacre Scritture, la volontà di Dio e del suo rap¬ presentante in terra, la Chiesa. Di fronte ai monarchi, i signori e le corti: la gerarchia ecclasiastica e, al suo vertice, il Papa. Una parte centrale della storia del Medioevo è rappresentata dalla lotta tra il Papato e l'Impero. La Quarta Dichiarazione riconosce, con onestà e realismo, che oggi i partiti di sinistra - si riferisce in particolare al prd - mancano di un progetto nazionale. E' la stessa cosa che io ho detto frequentemente. Ma nella Quarta Dichiarazione non appare una domanda centrale: perché il prd e la sinistra mancano di un progetto? La risposta è chiara come l'acqua delle lagune del Chiapas: il crollo del socialismo totalitario in Europa e il suo compassionevole prolungarsi (agonia?) in tirannie come quella di Cuba e Cina, hanno talmente tolto autorevolezza a questi regimi che nessuno, neppure l'Ezln, ha il coraggio di proporre la resurrezione di questo sistema. L'esame della Quarta Dichiarazione della foresta Lacandona ha una conclusione totalmente negativa? No. In primo luogo, i negoziati continuano. E' vero che si sono prolungati eccessivamente, ma l'opinione pubblica, se vuole, può esigere dalle due parti che accelerino e giungano ad un accordo. In secondo luogo, la Quarta Dichiarazione, no- nostante tutto ciò che ho detto, rappresenta un cambiamento positivo molto importante: la decisione di partecipare alla vita politica nazionale in modo pacifico. Se Marcos e i suoi sostenitori, nel Chiapas e nel Paese, vogliono sopravvivere come forza politica devono trasformarsi in un nuovo partito o unirsi a qualcuno di quelli che già esistono. Ciò è quel che desidera la stragrande maggioranza dei messicani. Avevo appena scritto questo commento e stavo per spedirlo in tipografia quando ho letto, tra meraviglia e divertimento, le lettere che si scambiano Marcos e Monsivais («La Jornada Semanai», 13 gennaio). I due sono intelligenti e spiritosi, ma anche prolissi e confusi. Il saggio del Sottocomandante Marcos è più completo e letterario. A volte divaga, come egli stesso dice, e fa sforzi inutili... Una parte di me l'applaude: l'insolenza e la mancanza di rispetto sono salubri; un'altra parte lo critica: la passione non può e non deve travolgere né la giustizia né la ragione. Non è lecito, ad esempio, condannare Carlo Tello Diaz in quanto nipote di Porfirio Diaz: tutti siamo figli di Adamo. Lo spirito di Marcos, le sue idee ed i suoi scatti mi fanno sorridere anche se, a volte, mi esasperano per la loro mancanza di coerenza... E le sue idee o, meglio, la sua idea? La sua esposizione incomincia con un'immagine ardita ed attraente: uno specchio si vede nello specchio che gli sta davanti. E che cosa vede? La sua immagine, invertita, al contrario. Credo che Marcos voglia, così, fuggire dal manicheismo: quelli sono i cattivi, noi i buoni. Con la sua parabola ci dice che siamo la stessa cosa. Disgraziatamente, poco oltre, afferma che nonostante tutti i dolori, esiste una differenza di base tra (doro» e «noi». Chi sono «loro»? Gli oppressori. E «noi»? Il popolo che chiede giustizia e che l'avrà. Troppo semplice e manicheo. La metafora degli specchi posti l'uno davanti all'altro non è del tutto valida dal punto di vista della storia del XX secolo. I regimi totalitari del nostro tempo - penso a quello sovietico nelle sue versioni asiatiche e latinoamericane - non sono l'immagine invertita delle società liberali capitaliste. I sistemi totalitari sono stati una grande e terribile novità storica del nostro secolo. Dimenticarlo o rninimizzarlo è imperdonabile. No, il socialismo burocratico non è semplicemente una replica invertita del capitalismo: è stato qualcosa di nuovo, diverso, terrificante. Riconoscere questa verità è l'inizio della grande rettifica storica e intellettuale che ci chiede la nostra epoca. Ripeto ciò che ho detto mille volte: gli errori ed i crimini delle democrazie liberali capitaliste non scusano e non giustificano gli orrori del totalitarismo. Nell'uno e nell'altro caso la condanna non può essere totale. Nelle democrazie liberali ciò che è riscattabile è, appunto, il germe di libertà che dette loro la vita e che tutte contengono. A sua volta è impossibile dimenticare che il disastroso fallimento del comunismo fu dovuto alla semplificazione e al degrado d'una aspirazione che vive in ogni uomo: l'ansia di uguaglianza. Senza equità, come dice il filosofo Rawls, non c'è né democrazia né libertà. Concordo con Marcos che, in quest'ora che vivono il Messico e il mondo, ci occorre un progetto nuovo. Il mio è molto vago però include tutti senza escludere gli scomunicati da una o l'altra inquisizione. E inoltre credo che questo progetto non possa essere esclusivamente nazionale. Dal XVI secolo, ad opera della Conquista e dell'Evangelizzazione, entrambe anatemi per i «progressisti», siamo parte del mondo. Marx vide che il sistema capitalista aveva trasformato l'economia in un fenomeno universale, dovuto alla circolazione mondiale dei beni e delle risorse. Così estese all'intero pianeta una cosa che, contemporaneamente, è la sua condizione di vita e la sua critica: la democrazia. In questo senso «siamo contemporanei di tutti gli uomini». Octavio Paz Copyright «Vuelta» e per l'Italia «La Stampa» Pubblichiamo i brani salienti dell'articolo che lo scrittore messicano Octavio Paz ha scritto sulla rivolta del Chiapas e sul suo leader, «Marcos», uscito sulla rivista «Vuelta», dal lui diretta.

Persone citate: Carlo Tello Diaz, Marx, Octavio Paz, Porfirio Diaz, Rawls, Stalin

Luoghi citati: Cina, Cuba, Europa, Italia, Messico, Mosca, Russia