Wojtyla, Messa dopo la bomba

Ordigno contro una chiesa. Il Pontefice accolto dalla Chamorro: «Senza morale non c'è democrazia» Ordigno contro una chiesa. Il Pontefice accolto dalla Chamorro: «Senza morale non c'è democrazia» Wojtyla, Messa dopo la bomba Attentato a Managua mentre arriva il Papa MANAGUA DAL NOSTRO INVIATO Tredici anni dopo, papa Wojtyla prende la sua rivincita sullo «schiaffo di Managua», la prima ed unica contestazione subita durante una messa nel corso del suo pontificato. Lo ha accolto una capitale blindata, nel timore di proteste e attentati: la sera precedente il suo arrivo nelle vicinanze della capitale, a Masaya, un «commando» di ignoti, che la polizia governativa si è affrettata a definire appartenenti al Fronte sandinista, ha gettato due candelotti di dinamite nella chiesa di «El Calvarito». E' il diciottesimo attacco di questo genere contro chiese e istituti religiosi negli ultimi mesi, segno di tensione crescente. Anche per questo, oltre che per ragioni logistiche, Papa Wojtyla ha compiuto ieri un lungo «blitz» a Managua, ma è tornato a dormire a Città del Guatemala. Sembrava - compatibilmente con la stanchezza del viaggio, il poco sonno e gli acciacchi abituali - in buona forma, a smentita ulteriore del clamoroso incidente di un'agenzia internazionale di stampa che aveva diffuso a Esquipulas la notizia di un malore, peraltro negata dalle fonti ufficiali. E in effetti la sera di martedì papa Wojtyla ha pranzato con i vescovi, una serata conclusa da cori vescovili di canzoni locali. E il gusto della rivincita ha caricato di extra-energia papa Wojtyla. Ha baciato la terra: fatto straordinario, in un Paese già toccato in precedenza, ma il viaggio di allora per lui non conta. «Sono trascorsi tredici anni dal mio primo viaggio apostolico in Nicaragua - ha detto, non appena sceso dall'aereo -. In questo periodo sono state scritte nuove ed importanti pagine della storia nazionale e sono cambiate molte situazioni. Tuttavia il messaggio che vi porto è lo stesso. E' un messaggio di pace e di riconciliazione, di invito alla solidarietà e alla fraternità, affinché ci aiuti ad essere autentici protagonisti della civiltà dell'amore». Gli ha risposto Violeta Chamorro, Presidente antisandinista. «Non abbiamo potuto manifestarle allora il nostro affetto come avremmo voluto. Ora possiamo farlo con libertà»! E la via dall'aereoporto alla città era una siepe di folla, di canti, di bande con majorettes, fiori bandiere e cartelli: «A braccia aperte»! Nel 1983 c'erano i sandinisti al potere, Daniel Ortega presidente, (ora è a Cuba, in ospedale, ma ha lasciato un grande cartello di benvenuto sul percorso papale, e pagine affittate sui giornali) e il Paese era lacerato dalla guerra dei «contras», finanziati dagli Stati Uniti. Il Papa sgridò pubblicamente un anziano religioso e poeta, Ernesto Cardenal: aveva accettato un posto di ministro nel governo sandinista. «Lei deve regolarizzare la sua posizione con la Chiesa» lo ammonì, scuotendo il dito alzato contro il frate in ginocchio davanti a lui. Ma al «campo XIX luglio», spianata della messa, ieri come tredici anni fa, davanti a un enorme ritratto di Sandino, il card. Obando Bravo fu subissato di fischi, e il Papa stesso affrontò una pesante contestazione. Il ricordo ha bruciato non poco nella memoria di papa Wojtyla. «Questa visita - ha detto ieri - si sviluppa in circostanze molto diverse rispetto alla precedente. Coloro che ricordano la visita di tredici anni fa, sanno che il Papa venne in Nicaragua e celebrò la Santa Messa, anche se non riuscì a incontrare realmente la gente. Da allora molte cose sono cambiate in Nicaragua. Per questo tanto la vostra nazione quanto il Papa desideravano vivamente avere l'occasione di una nuova visita pastorale che costituis¬ se un autentico incontro». E la visita riparatoria si svolge «in un clima positivamente cambiato». L'accusa lanciata dal Papa è chiara: tredici anni fa il pubblico della messa era composto da una «claque», uno show propagandistico, e non dal popolo vero. Un'accusa che si lega a un implicito appoggio a Violeta Chamorro, specialmente ora che si profila la possibilità di una candidatura di Ortega: «Il processo di democratizzazione che avete intrapreso e la fase preelettorale in cui vi trovate devono essere accompagnati da un'autentica rivitalizzazione dei tradizionali valori morali del popolo nicaraguense, così come un impegno etico da parte di coloro che aspirano alle alte cariche dello Stato». Nel clima di festosa rivincita, che ricorda il viaggio a Praga dell'aprile 1990, i problemi del Paese meritano solo un accenno nella cerimonia di congedo: «Ancora persistono alcuni mah e pericoli che interessano fasce ampie della popolazione. Superata la guerra civile e la tentazione di forme totalitarie, restano da sconfiggere le terribili piaghe della povertà e dell'ignoranza». Marco Tosatti «Ci sono colpe del governo, delle classi abbienti, della Chiesa, di noi tutti Ma il Comandante deve dire che regime vuole» W Il Comandante Marcos, leader della rivolta Sopra, il Papa durante la Messa a Managua e a sinistra, una famiglia di indios del Chiapas