Mio padre Casorati orgoglioso burlone
17 Mentre esce l'atteso catalogo delle opere e Palazzo Bricherasio annuncia una mostra, il figlio ricorda Mio padre Casorati orgoglioso burlone ETORINO RA un gran civettuolo. Dichiarava meno anni di quanti non avesse. Non datava i quadri per depistare i critici. Era un burlone: con Italo Cremona vestivano le statue lignee dell'Accademia, con Enrico Paulucci andava a Lascia o raddoppia? a far le domande a Filiberto Menna. Poteva essere molto crudele: una volta, ad una mostra di Burri, lasciò scivolare in uno squarcio dei suoi sacchi una moneta da poche lire. Era un artista: Felice Casorati, nato a Novara nel 1883, morto a Torino nel 1963. Lo ricorda il figlio Francesco ora che Allemandi ha pubblicato, in due tomi, il catalogo generale delle opere, dal 1904 al 1963, a cura di Giorgina Bertolino e Francesco Poli. Sono 1340 lavori, fra olii, tempere, acquarelli, pastelli, molti dei quali nati fra le pareti della casastudio di via Mazzini, fra gli stessi oggetti, mobili, dove Francesco Casorati e Giorgina Bertolino osservano il frutto del loro lungo, impervio, lavoro. «Ad un catalogo generale - dice il figlio - si era già pensato più di dieci anni fa. Voleva editarlo l'Electa, dovevano curarlo Pirovano e Maurizio Fagiolo dell'Arco. Pier Luigi Gallia doveva fare le schede, lavorando sull'Archivio Casorati della Galleria La Bussola. Poi Gallia muore e il progetto si ferma. Per fortuna si fa avanti Allemandi con la Bertolino e Poli e all'inizio del '90 si ricomincia da capo. Mio padre non era ordinato, buttava ritagli e cataloghi in un baule, perdeva o non trascriveva i titoli delle opere e poi, spesso, non datava. E' stato un lavoro faticoso. I collezionisti, poi, sono o gelosi o pigri. Non tutti mandano volentieri una foto. Soprattutto i torinesi. Ne conosco alcuni che hanno in casa dei bei quadri, ma ti dicono: "Pubblicarli? nooo...". Ma alla fine ce l'abbiamo fatta». E sono scaglie, lampi di cultura torinese e internazionale, da Vienna a Londra, da Parigi a Pittsburgh a Buenos Aires. De Chirico, Savinio, Casella, Carrà, Venturi, Longhi, Morandi, Valéry, Gualino, Boccioni, Carlo Levi, Piero Gobetti e i «Sei» di Torino. E quanti di loro seduti in quella penombra della grande casa borghése abitata dal 1918. «Dipingeva poche ore al giorno», ricorda Francesco Casorati che, na¬ to nel 1934, ha del padre una «memoria recente», «ma dipingeva tutti i giorni. Prendeva il caffelatte alle 8, poi stava a letto fino alle dieci con posta e giornali e tutta la famiglia a riverirlo. Poi andava all'Accademia a sbrigare qualche burocrazia e dopo a remare sul Po. All'una eravamo seduti tutti a tavola per un pasto normale, lento. Nel pomeriggio tornava all'Accademia dove dipingeva e aveva le sue modelle. Poi faceva il giro in galleria, al Bosco alla Bussola. Lì c'erano i suoi amici: Galvano, Martina, Menzio, Paulucci. La sera, dopo pranzo, o suonava il piano o giocava a carte. Non dipingeva molto e mai con luce artificiale». Ricordi che si accompagnano alle tele, ai volti. Quello di Cinthia Maugham, la bellissima danzatrice, a Torino a metà degli Anni 20, che suggerisce alla sorella londinese, Daphne, pittrice, di venire a Tarino, «dove c'è uh maestro molto bravo». E lei che viene e lo sposa. Ma nessun incontro con lo zio scrittore. «Io e la mamma - ricorda Francesco Casorati - siamo stati in Costa Azzurra, nella sua splendida villa. Mio padre mai, era orgoglioso. Voleva che fosse Maugham a venire a trovarlo. E poi non sopportava quella sua biografia ro-' manzata su Gauguin. Diceva che era una "coglionata". Il volto della sorella Elvira e quello di Giuseppi¬ na, di Silvana Cenni, della donna platonica, delle mille fanciulle. Paesaggio sì e paesaggio no, antifuturismo, neoclassicismo, metafisica. Una vita dentro la pittura, parsimoniosa, tele dipinte dai due versi. Quadri dipinti su quadri altrui. «Gli piaceva dipingere sui quadri di Paulucci. Gli portava un po' di tele di cui non era soddisfatto e mio padre ci dipingeva sopra. Qualche volta gli salvava una tela e gliela restituiva incorniciata». Ricchissima la biobibliografia, accanto alla riproduzione delle opere, minuziosa, accurata, un itinerario ragionato della pittura italiana di un secolo. «Allora c'era un'idea - dice il figlio - meno mercificata della pittura. Anche se un quadro, in proporzione, costava di più che oggi. Con un quadro venduto vivevamo sei mesi. Certo mio padre era un pro¬ fessionista, lavorava anche su commissione. Ma dipingeva per sé, scegliendosi i suoi tempi, lontano dall'affanno che possono trasmettere i mercanti. Una prova? Negli ultimi anni era angosciato, temeva di doverci lasciare in difficoltà economiche. E invece di lasciarci dei quadri pensò di investire in titoli, azioni. Non aveva del tutto chiara l'idea del valore monetario dei suoi quadri, mentre aveva coscienza del loro valore artistico». Una moneta da cinque lire dentro una tela di Burri. Come reagisce Francesco Casorati, pittore, ad un gesto così crudele «fra pittori»? Sorride: «Era un gesto d'insofferenza per una pittura non dipinta», qualcosa che un pittore-pittore non può accettare. «Un gesto d'amore verso la pittura». Nico Orango Scherzi con Cremona; esperto a «Lascia o raddoppia?»; freddo con Maugham Felice Casorati a «Lascia o raddoppia?» negli Anni 50, più a sinistra, «Nudo rosa» del 1928. A destra, il figlio Francesco Casorati. Palazzo Bricherasio dedica, fra maggio e luglio, una mostra sulla produzione di Casorati fra gli Anni 20 e 40
Luoghi citati: Buenos Aires, Cremona, Londra, Novara, Parigi, Pittsburgh, Torino, Vienna
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