Per la prima volta la marcia del benessere segna il passo: le nuove generazioni stanno peggio di quelle precedenti

LA STAMPA Per la prima volta la marcia del benessere segna il passo: le nuove generazioni stanno peggio di quelle precedenti ENEW YORK A due secoli, il sogno americano è stato basato su un benessere sempre più diffuso e sulla convinzione - confermata dalla realtà - che ogni nuova generazione era destinata a stare meglio di quella precedente. Ma per la prima volta, questa marcia apparentemente inevitabile si è fermata, secondo vari indici economici. Negli ultimi vent'anni lo stipendio medio (tenendo conto dell'inflazione) è scivolato da 34 mila a 30 mila dollari. L'economia americana continua a produrre posti di lavoro, ma a basso salario. Nello stesso tempo il divario tra ricchi e poveri si è molto allargato. Il reddito del 20% più abbiente del Paese è aumentato del 10%, mentre quello del ceto più basso si è ridotto del 24%. «Nessun Paese senza una rivoluzione o una sconfitta militare ha subito un tale spostamento nella distribuzione del reddito come gli Stati Uniti in questa ultima generazione», ha scritto recentemente l'economista Lester Thurow, del Massachusetts Instituteof Technology. Questo cambiamento economico dirompente aiuta a spiegare - secondo molti - la rabbia palpabile nella vita politica americana di questi ultimi anni: la rivolta della classe media contro le tasse e contro i programmi sociali per i gruppi più svantaggiati; la rabbia che ha prodotto la bomba di Oklahoma e le milizie dell'estrema destra; le frustrazioni di un popolo che ha bocciato tre su quattro degli ultimi presidenti dopo un solo mandato elettorale. Ci si aspetta, quindi, che ciò diventerà un tema importante anche della campagna elettorale di questo anno. Il declino del reddito medio è il tema di tutta una serie di libri e articoli di molti economisti e sociologi che parlano della «fine del benessere», dell'«economia disuguale», e di «scomparsa della classe media». E' un argomento che desta preoccupazione sia a destra sia a sinistra. «La crescente disuguaglianza nel reddito pone questioni profonde per gli Stati Uniti: questioni di giustizia, di coesione sociale, questioni che hanno conseguenze per il temperamento del Paese», dice l'economista William J. McDonough. McDonough è tutt'altro che un pensatore rivoluzionario, bensì il presidente della Federai Reserve Bank of New York, uno dei pilastri del sistema monetario americano. L'America rimane il Paese più ricco del mondo, ma non è più la terra dell'opportunità che è stata per la maggior parte della sua storia. «Mentre l'Europa era il posto dove una classe dirigente controllava quasi tutta la ricchezza, adesso la situazione si è rovesciata», scrive Edward Wolff, economista della New York University nel suo studio The Top Heavy Society (La società disuguale). Ma è troppo presto perché l'Europa possa guardare alla situazione americana con un distaccato senso di superiorità. Ci sono ragioni per supporre che gli squilibri che si stanno registrando qui sono frutto del cambiamento verso un'economia post-industriale e che potrebbero avere conseguenze per tutti. Mentre le spiegazioni di questo declino variano (insieme alle ricet¬ te per rimediarlo), alcuni fatti basilari sono incontestati. Per più di cento anni - dal 1870 quando si è cominciato a tenere statistiche attendibili - l'economia è andata a gonfie vele, crescendo al ritmo fortissimo del 3,4% l'anno. Ma dal 1974 (l'anno fatidico della crisi petrolifera) la macchina ha rallentato, crescendo a un tasso annuale solo del 2,3%. La differenza di un solo punto percentuale sembra piccola. E per alcuni anni poteva essere spiegata da fattori contingenti, la crisi del petrolio ecc. Ma lentamente gli studiosi si sono resi conto che qualcosa di fondamentale era cambiato nell'economia americana, che mutava l'intero quadro. «Come un orologio che perde un secondo all'ora, l'economia americana ha perduto terreno quasi gradualmente durante gli ultimi vent'anni, così che quasi non ci siamo accorti di quanto abbiamo perduto», scrive Jeffrey Madrick, nel nuovo libro The End ofAffluence (La fine del benessere). I riflessi sulla vita politica del Paese si sono verificati quasi subito. Il presidente Gerald Ford ha perso nel 1976 - oltre che per lo scandalo di Watergate che aveva colpito il suo predecessore, Nixon anche per la sua incapacità di far fronte alla cosiddetta «stagflation» - bassa crescita abbinata con l'inflazione. Ma il presidente Jimmy Carter si è trovato altrettanto impotente davanti allo stesso problema e ha cominciato a parlare del «malessere» spirituale del Paese. Il repubblicano Ronald Reagan capì, invece, che il problema era di natura economica. «Vi faccio una sola domanda: state.meglio rispetto a quattro anni fa?», chiese durante un dibattito con Carter. Il fatto che moltissimi dovettero rispondere di no è forse la chiave del trionfo di Reagan. Reagan ha identificato il problema, ma non l'ha certo risolto. Convintosi che la forza dell'economia americana fosse soffocata dalle tasse troppo alte, Reagan ha tagliato le imposte. Ma il «boom» degli Anni 80 è stato in grande parte illusorio. «Il deficit è andato da mille miliardi di dollari a oltre 4 mila miliardi di dollari - scrive Madrick mentre la produttività è cresciuta di un solo punto percentuale e gli stipendi di moltissimi lavoratori e impiegati sono diminuiti». Durante l'era reaganiana, il 20% più ricco del Paese ha beneficiato di una crescita del suo reddito del 5% (in valori reali), mentre il 40% più povero ha subito una dnninuizione, e il 40% nel mezzo è riuscito a mantenere un equilibrio precario. Alla fine degli Anni 80 si sono verificati alcuni dati sconcertanti: «Lo scarto tra i ricchi e i poveri è il più grande dal momento del crollo della Borsa di Wall Street nel 1929», scrive il professor Wolff. Nel 1929, l'l% più ricco della popolazione possedeva quasi il 45% delle risorse economiche del Paese. Nei quarant'anni successivi, la fetta dei ricchissimi è diminuita gradualmente, arrivando al 20% nel 1969. (In quei decenni, il sogno americano era una realtà: il reddito di quasi ogni famiglia americana raddoppiava ogni 25 anni e le differenze tra le classi diminuivano ogni anno). Ma dal 1969 la tendenza si è ribaltata: oggi l'l% più ricco ha di nuovo quasi raggiunto il 39%, tornando quasi al livello del 1929. Alcuni, come il professor Wolff, danno la colpa alle amministrazioni repubblicane degli Anni 80 per la disparità economica recente. Ma è vero solo in parte. Forse Reagan ha aggravato una situazione di crescente ingiustizia (riducendo le tasse per i più ricchi dal 50 al 28%) ma i problemi di fondo - bassa crescita e iniquità del reddito - sono cominciati prima e continuati dopo Reagan, sia sotto amministrazioni democratiche che repubblicane. In parte il «declino» americano era inevitabile ed è stato solo un declino relativo. Nell'immediato dopoguerra, gli Stati Uniti producevano il 50% dei beni del settore manifatturiero di tutto il mondo. Questa egemonia era destinata a cambiare quando l'Europa e il Giappone si riassestarono dopo la guerra. Il problema è diventato più acuto quando le nuove potenze economiche del Terzo mondo - con il loro bassissimo costo del lavoro hanno cominciato a dominare il vecchio settore industriale. Negli Anni 70, gli Usa hanno cominciato a perdere più posti di lavoro nel settore manifatturiero di quanti non siano riusciti a produrne. Il governo degli Stati Uniti, a differenza dei suoi principali concorrenti, ha deciso di non intervenire per contrastale lo spostamento di stabilimenti e l'eliminazione di posti di lavoro, abbracciando quasi senza esitazione una politica di libero mercato. Molte industrie hanno semplicemente tagliato la manodopera per tenere alti i profitti piuttosto che investire in nuove tecnologie per diventare più produttivi. Pur di mantenere il posto, molti lavoratori hanno accettato riduzioni dello stipendio. Tutto ciò ha prodotto effetti so- ciab di portata storica. Le donne sono entrate in massa nel mondo del lavoro. Soltanto negli Anni 80, il numero di famiglie con almeno due lavoratori è aumentato del 20%. Il maschio americano - pur perdendo il posto sicuro - si è messo a lavorare ancor più intensamente di prima. «L'impiegato medio maschile lavora una settimana e mezzo in più rispetto al 1973», scrive Madrick. «Sette milioni di lavoratori hanno due lavori, la proporzione più alta da cinquantanni». Con tutta questa fatica, la classe media americana è riuscita soltanto a difendere con i denti e le unghie la propria posizione precaria, fi reddito per famiglia per i ceti medi è rimasto pressoché immutato anche se adesso si lavora in due e si lavora di più. E la qualità della vita si è deteriorata in modo palese. «Il tempo che i genitori americani dedicano ai figli è diminuito del 40% negli ultimi trent'anni», secondo il professor Thurow del Mit. Molti americani hanno l'impressione, giustamente, di stare correndo sempre di più solo per rimanere fermi. Data la storia singolare degli Stati Uniti, con le sue aspettative radicate di un benessere sempre in crescita, questo rovesciamento ha effetti devastanti. «Il credo nazionale dell'America è l'ottimismo», scrive Madrick. Mentre altre società hanno fatto l'abitudine ad accettare gli alti e bassi di diversi cicli storici, gli americani hanno conosciuto solo alti e non sono preparati psicologicamente per il declino. Il risultato è che due terzi degli americani sono convinti che il Paese stia andando nella direzione sbagliata. Tutto questo ha conseguenze politiche importantissime. La categoria più colpita da questo cambiamento - il lavoratore maschio bianco e non laureato - è diventata la spina dorsale del nuovo voto di protesta. Sebbene molti aspetti siano peculiari degli Stati Uniti, ci sono elementi che dovrebbero preoccupare anche gli europei. Il rallentamento dell'economia americana è dovuto in grande parte al calo del tasso di produttività, un problema che riguarda anche l'Europa. «Negli ultimi vent'anni», scrive Madrick, nella sua Fine del benessere, il tasso di crescita della produttività nei sedici Paesi più ricchi del mondo è calato quasi del 50%, al 2,3% l'anno rispetto al 4,5% negli anni del dopoguerra. In Europa si sono finora evitati gli squilibri economici e sociali che si stanno verificando in America, ma ciò è stato possibile proteggendo molte industrie, i salari, e aumentando notevolmente il deficit di molti Paesi. Gli europei, in un modo diverso, stanno di fronte a un problema non dissimile a quello americano: come rendere più competitivo il Paese, più flessibile il mercato del lavoro, e tagliare il deficit senza distruggere lo Stato sociale e ridurre il tenore di vita dei lavoratori. Il grande sciopero in Francia è un segno che i lavoratori europei accetteranno molto più volentieri dei loro colleghi americani di assorbire i principali sacrifici richiesti dal grande mutamento economico in atto. Alexander Stille Calano gli stipendi medi si allarga il divario fra ricchi e poveri I bianchi non laureati sono ipiù colpiti E alimentano la protesta Qui a fianco e in alto immagini di «homeless» per le strade e nelle metropolitane d'America Negli ultimi 20 anni il reddito del ceto più basso si è ridotto del 24% Molte industrie americane hanno tagliato la manodopera per tenere alti i profitti. E molti lavoratori, pur di mantenere il posto, hanno accettato riduzioni dello stipendio