II volo del ricco anatraccolo di Vittorio Zucconi

«II nuovo fìsco? Un'aliquota unica al 17% e l'abolizione dei commercialisti» II volo del ricco Forbes: brutto, impacciato e vincente UN PAPEUONI PER LA CASA BIANCA WASHINGTON DAL NOSTRO INVIATO Questa è la storia di un brutto anatroccolo timido che sognò di diventare un'aquila e rischia di diventarlo davvero. Questa è la favola elettorale, finanziaria, giornalistica che racconta di come non sia affatto vero che per avere successo in politica oggi occorra essere carini, esperti, filtrati, affabili, telegenici, ma servano invece due ali sopra le quali ogni volo è possibile: tanti soldi e un messaggio politico chiaro e semplice. Benvenuti nel cielo impossibile di Steve Forbes, uno dei più brutti, timidi, goffi, legnosi, inesperti e ricchi anatroccoli che mai abbiano zampettato in politica, ma che potrebbe essere lo sfidante di Bill Clinton il 5 novembre per la Casa Bianca a nome dei repubblicani. E addirittura il Presidente che porterà l'aquila americana nel prossimo millennio. In una democrazia imprevedibile che ha eletto un cappellaio di provincia (Truman), un attore di serie B (Reagan), un cattolico figlio di un ambasciatore filonazista (Kennedy), un generale in pensione (Ike) e il governatore del più insignificante e arretrato Stato americano (Clinton) soltanto in questo secolo, mancherebbe giusto un giornalista per completare la galleria delle sue stravaganze presidenziali e Stephen Stevenson Forbes detto «Steve» potrebbe colmare questo vuoto. Erede della fortuna editoriale del padre, Malcolm, l'uomo che seppe creare un impero giornalistico volando su mongolfiere, organizzando feste faraoniche nel suo palazzo a Tangeri, correndo a 60 anni in Harley Davidson, viaggiando su un Boeing 727 privato e ade- scando i dipendenti (maschi) delle sua aziende nei ritagli di tempo lasciati da un matrimonio che produsse ben 5 figli, Steve Forbes è esattamente tutto quello che i consulenti elettorali dicono che non si dovrebbe essere. E proprio per questo sta sbaragliando il campo dei concorrenti alla investitura del partito repubblicano per il duello autunnale con Clinton. Il volo del brutto anatroccolo è una lezione precisa sulla desolante miopia ideologica della sinistra intellettuale e giornalistica e sul formidabile potere del danaro nel tempo del colera da spot televisivi. Quando Steve Forbes si presentò in pista, nell'autunno dello scorso anno, i grandi media americani, gli stessi che non avevano visto arrivare la bufera Reagan negli Anni 80, lo licenziarono come il ragazzo che voleva giocare alla politica, la reincarnazione in brutta copia di Reagan o il figlio complessato che tentava di esorcizzare lo spettro ingombrante del padre morto, facendo quel che neppure il grande vecchio era riuscito a fare: diventare Presidente dell'intero Paese. Il suo volto butterato, i suoi minuscoli occhi da miope terminale dietro il pozzo di due lenti senza fondo, il suo eloquio imbranato e ripetitivo («... intervistare Forbes è come premere il pulsante play di un registratore umano...» disse Ted Koppel, luminare del giornalismo tv americano) garantivano la sua pronta eclissi nel duello contro il vecchio senatore Bob Dole, favorito dell'apparato repubblicano. Oggi, quattro mesi e quasi 30 miliardi di lire dopo spese in caroselli, come hanno rivelato le cifre ufficiali di ieri, «il racchione che ha un portafogli al posto del cuore» - la definizione è di un suo avversario, Pat Buchanan - è sicuramente il secondo nella classifica dei 7 candidati repubblicani e addirittura il primo in alcuni casi. Comunque in ascesa, mentre i suoi avversari sono in picchiata. Una sua vittoria alle primarie del New Hampshire, il 26 febbraio prossimo, la prima del tappa del «Giro elettorale d'America» lo renderebbe il favorito. E con un Clinton sempre più zavorrato dalla First Lady Hillary, invisa ormai a una solida maggioranza di elettori ed elettrici, e azzoppato dai processi e dagli scandali che lo assediano, nessun risultato è impensabile, a novem¬ bre. Forbes è certamente decollato sull'ala dei suoi soldi, gli stessi che portarono brevemente in orbita «il pappagallino infernale» Ross Perot, che si comperava spazi tv a colpi di ore e mezze ore, quattro anni or sono. La legge americana, molto diversa dalle caricature strumentali che se ne fecero in Italia durante i dibattiti sulla campagna elettorale del '94, consente a chi ha soldi di spenderne quanti ne vuole per la campagna, purché non domandi finanziamenti pubblici. E' una clamorosa smagliatura dentro la quale Forbes si è fiondato a cavallo dei suoi miliardi, come il padre correva sulle sue supermoto. Con una fortuna privata di almeno 700 miliardi di lire, secondo i calcoli del periodico concorrente «Fortune», e il controllo di un'azienda che ne vale almeno tre volte tanto, il brutto anatroccolo ha lanciato un'offensiva di spot che ha demolito le posizioni di Dole, vincolato ai limiti di spesa legali avendo bisogno dei contributi dello Stato e ha soprattutto diffuso il messaggio che gli ha dato la seconda ala per il folle volo: la fiat tax, l'aliquota fiscale unica. Demenziale, miracolosa, uno stiletto finale nel cuore dell'economia o un elisir che la farebbe ringiovanire, le polemiche infuriano fra gli economisti, ma il sex appeal popolare della proposta è enorme. Non più burocrazia fiscale («gli uffici imposte sono la Gestapo delle democrazie, vuotiamoli»), non più formulari astrusi alla marnerà del «740» («scritti non per aiutare, ma per incastrare il contribuente»), questa aliquota secca eliminerebbe tutte le detrazioni, le acrobazie, e tutti i commercialisti. Ecco la formula: «Scrivete il vostro reddito su un pezzo di carta, detraete la cifra secca e generosa di 35 milioni di lire e, se il vostro reddito li supera, calcolate il 17% di quel che rimane e voilà ecco le vostre tasse». La dichiarazione dei redditi sarebbe una semplice cartolina postale. Tutto qui. «Il sogno di un ricco concepito al circolo del golf» dicono i critici che hanno già calcolato come i grandi beneficiari sarebbero i miliardari e i salari più modesti, mentre le classi medie pagherebbero il conto più salato. Può darsi. Ma nel deserto della politica contemporanea, fra un Clinton candidato del «meno peggio» e una destra repubblicana che nell'era della rivolta contro le istituzioni ha saputo produrre soltanto Bob Dole, campione dei compromessi parlamentari da 30 anni, Forbes è la novità, è la speranza dei rabbiosi. Ed è diverso da tutti gli altri. E' brutto, che sollievo per un mondo dove i brutti sono maggioranza. E' ruvido, in un mondo che appartiene alle anguille. Quando i giornali cercano di incastrarlo non risponde. Quando gli chiedono di mostrare la sua dichiarazione dei redditi, risponde brusco, con quella sua aria da secchione che sa già in anticipo tutte le risposte: «Irrilevante. Quanto guadagno io non ha nulla che vedere con i problemi della società americana». Quando lo tallonano sulle stranezze paterne, bisessualità compresa, gli occhi spariscono nel fondo degli occhiali e replica: «Mio padre è morto, io sono Steve Forbes, sposato, padre di 5 figlie». Gli analisti politici non sanno dove sistemare questo strano animale e ridono di lui, frugando nella sua biografìa. Ricordando quando il padre, di sangue scozzese, lo costringeva, insieme con i suoi fratelli, a indossare il kilt, la sottanella del suo clan e a suonare la cornamusa danzando per gli ospiti del suo yacht. Per consolarsi, i mass media, burlati al loro stesso gioco da un «collega», ricordano Perot, Goldwater, McCarthy, e tutti i candidati da una nota sola saliti e precipitati in fretta. Gli esperti dicono che Forbes si sgonfìerà miseramente, come le mongolfiere comperate dal padre e ora non più usate. Può darsi. Ma gli esperti sono gli stessi che pronosticarono George Bush imbattibile nel 1992. E mentre loro si sforzano di spiegare perché Forbes non potrà mai vincere, le ab dell'anatroccolo timido si distendono nei cieli dei sondaggi. Vittorio Zucconi «II nuovo fìsco? Un'aliquota unica al 17% e l'abolizione dei commercialisti» Dopo avere speso già 30 miliardi nella campagna è il favorito per la «nomination»

Luoghi citati: Italia, L'aquila, New Hampshire, Tangeri, Washington