Per la pace e per il mercato Così si sarebbe potuta evitare la seconda guerra mondiale

Per la pace e per il mercato Per la pace e per il mercato Così si sarebbe potuta evitare la seconda guerra mondiale N ON conosciamo l'esatta data di nascita di questo libro. Dalla breve prefazione degli autori, scritta nell'agosto del 1918, sappiamo soltanto che «versolafine del 1916 un industriale esponeva a un economista alcune sue convinzioni sulla guerra europea». (...) L'industriale era- Giovanni Agnelli, fondatore e amministratore delegato della Fiat; l'economista era Attilio Cabiati, esponente della scuola liberista e professore di economia politica all'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Torino. Agnelli e Cabiati si dichiarano senza ambiguità sin dalle prime pagine. Pur ricordando i caratteri liberali della tradizione risorgimentale italiana i due autori sono convinti che i mah dell'Europa nascano dallo Stato nazionale e che esso sia del tutto inadatto a sciogliere i nodi della convivenza politica e dello sviluppo economico. (...) Le ragioni econòmiche iìfflot Gli argomenti con cui Agnelli e Cabiati sostengono la tesi della federazione europea sono ancor più economici e finanziari di quelli usati da Einaudi, Dopo avere descritto la situazione debitoria dei maggiori Stati al 31 maggio 1918, gli autori ricordano che alla fine della guerra essi dovranno far fronte «al pagamento degli interessi dei debiti pubblici; al loro graduale ammortamento; al riordinamento delle dissestate finanze degli Enti locali; alla ricostruzione dei territori invasi; al pagamento delle pensioni di guerra; alle spese inevitabili per la pace sociale; alla ricostruzione del naviglio mercantile, ferrovie, strade private, alla costruzione di bacini montani eccetera; ossia, in una parola, a tutte le spese di capitale indispensabili per promuovere un ritmo più accelerato nella produzione delle ricchezze. Ora tutto questo enorme cumulo di oneri statali verrà ad intrecciarsi col difficilissimo problema della smobilitazione industriale e con la intensa domanda di capitali, che si farà dai privati per la ricostruzione dei macchinari logorati, per la maggior necessità di capitale circolante e così dicendo». Non sappiamo come gli autori del libro si siano distribuiti il compito e abbiano organizzato il loro lavoro. Ma questo capitolo («L'onere finanziario del dopoguerra») è certamente il risultato delle esperienze fatte da Agnelli nei mesi precedenti. La guerra aveva radicalmente alterato le dimensioni e la struttura produttiva della Fiat. L'azienda si era rapidamente attrezzata per aumentare la fabbricazione di mitragliatrici, esplosivi, automezzi, motori per grandi sommergibili, aerei e unità di superficie. Nella sua biografia di Giovanni Agnelli, Valerio Castronovo ricorda che «già alla fine del 1915 la Fiat aveva aumentato il personale a oltre 10 mila dipendenti, mentre l'utile netto era salito a più di otto milioni su un capitale sociale portato soltanto il 27 novembre alla cifra di 25 milioni». Due mesi dopo, il 1° febbraio 1916, Agnelli annunciò al presidente del Consiglio, Antonio Sa1 andrà, che la Fiat aveva 14 mila operai ed era attiva nella lavorazione di «quasi ogni genere di armamento offensivo e difensivo». Erano circa 25 mila nell'agosto del 1917 quando Torino fu teatro di manifestazioni e moti che parvero destinati a trasformarsi in insurrezione. Agnelli riusci a controllare la situazione nelle sue aziende. Chiuse gli stabilimenti il 25 agosto per evitare che la rivolta coinvolgesse le fabbriche e li riaprì soltanto quando Torino, pochi giorni dopo, venne proclamata «zona di guerra». Ma il 14 settembre, due settimane dopo, dovette far fronte a una vertenza nelle acciaierie della società che coinvolgeva un migliaio di operai. Nessuno meglio di lui poteva immaginare che cosa sarebbe accaduto dopo la fine della guerra quando l'industria bellica sarebbe stata parzialmente smantellata e la smobilitazione avrebbe gettato sul mercato del lavoro alcune centinaia di migliaia di persone. Fu l'esperienza di quei mesi a suggerirgli la necessità di una grande economia europea in cui la dimensione del mercato avrebbe offerto alle imprese maggiori occasioni di lavoro e di espansione. «Solo l'Europa federale - scrivono Agnelli e Cabiati - potrà darci la realizzazione più economica della divisione del lavoro, con la caduta di tutte le barriere.doganali.,(,,,),, $ ,Vam7, pliarsi gigantesco dèi mercato da! nazionale in continentale farà sì che gli industriali, sUésffitpAri'tfcj mo periodo di assestamento, troveranno dinanzi a sé tali capacità insospettate di assorbimento, che le industrie ne riceveranno lo stesso slancio gigantesco di cui diede prova l'industria americana dopo la guerra di Secessione». Una critica a Wilson Alla Lega della Nazioni proposta da Wilson gli autori contrappongono un esempio tratto dalla storia americana. Come Einaudi essi ricordano al Presidente degli Stati Uniti che le prospettive più utili per il futuro dell'Europa sono quelle di cui l'America ha fatto diretta esperienza: la nascita di una vera federazione dopo il fallimento del primo esperimento costituzionale e la creazione di un grande mercato continentale dopo la fine della guerra di Secessione. Agnelli e Cabiati hanno fiducia nella razionalità delle loro proposte. «Quale è la persona ragionevole la quale può, senza timore, prospettare la possibilità che, dopo un conflitto così gigantesco, si possa riprendere una politica economica di preferenze, di esclusivismi, di localizzazione, riversandone il carico sui consumatori esausti?». Accadde invece quello che essi consideravano irragionevole. Per vincere, le potenze dell'Intesa avevano promesso uno Stato ai maggiori gruppi etnici dei tre grandi imperi multinazionali (Austria-Ungheria, Germania, Turchia) contro cui avevano combattuto. Il risultato, dopo la fine del conflitto e la firma del trattato di Versailles, fu un'Europa «éclatée», frammentata e polverizzata, in cui ogni Stato perseguiva il sogno impossibile della propria completezza e della propria sufficienza. (...) Perché il progettò di Agnelli e Cabiati cominci a concretarsi occorrerà attendere gli orrori di una seconda guerra mondiale.