TELENOVELA in transatlantico

TELENOVELA ih transatlantico TELENOVELA ih transatlantico Panebianco «Credo che stiamo parlando dello stesso tema di sempre, cioè, della politicateatrino. Come discorso non è molto originale, ha radici antiche e attuali», dice il politologo Angelo Panebianco. E aggiunge: «Sono due le riflessioni possibili: una riguarda il principio sommerso, ma presente, "era meglio prima", l'altro, che riflette sulla realtà, fa dire: certe nostalgie non servono». Per Panebianco l'intreccio mass media-politica è andato crescendo. Una situazione cui va ad aggiungersi anche una completa inesperienza dei meccanismi tecnico-politici, basta pensare a problemi come i sistemi maggioritari. Dice Panebianco: «Il mito televisivo, diventa: dichiaro, dunque esisto. Ed ecco le dichiarazioni a raffica, pur di essere presenti. Allora è giusto criticare il piegare la politica ai ritmi della tv». Ma attenzione: «Molti di colora che contestano questa | realtà, rimpiangono i vecchi steccati, hanno nostalgia dei "bei tempi" delle ideologie, dei grandi e piccoli totalitarismi. Allora, meglio la soapopera. Pensano: si stava meglio prima. Sia chiaro che si sta meglio ora». Calabrese «Abbiamo tutti i nostri tormentoni, che gratificano la vena comica o quella da soap-opera o telenovela. Un piccolo elemento narrativo che si ripete», dice Omar Calabrese, semiologo, esperto di Comunicazione. E aggiunge, perfido: «La vena comica non è forse il paragone giusto, perché spesso viene fuori una comicità del tutto involontaria, raccolta dai media». D'accordo, ma c'è il problema di un linguaggio scelto con - si spera - molta cura. «Come fatto narrativo c'è in effetti, in tv come sulla carta stampata, una sequenza da romanzetto a puntate». Ma chi fa violenza a chi? Il politico alla telecamera o viceversa? Per Calabrese è una commistione dove «si vede se stesso sotto il profilo del divismo tv». E condanna: «Il problema è che oggi non vediamo dei leader riconosciuti in quanto tali, ma leader riconosciuti in quanto ospiti conosciuti dal pubblico televisivo». E aggiunge: «La tv porta alla lite e la lite cui assistiamo è più all'interno di una compagine che tra avversari storici. Come nelle soapopera». Bocca . «E' un periodo di bei ritorni apparenti al passato», dice Giorgio Bocca. Apparenti perché «in realtà accadono cose nuove che noi non riusciamo a prevedere e neppure loro, i politici, tant'è che riempiono ogni giorno con finte battaglie. Se ci fosse un conflitto preciso, come quello tra borghesia, comunismo, non ci sarebbero tante "puntate"». Ma tutto questo, per Bocca, non è un attacco frontale. E' comprensione. «In realtà le due parti non sanno affatto dove stanno andando. Per forza che, dopo un anno e mezzo, arrivano i serial alla Baudo». Bocca è comprensivo davvero: «Che cosa deve esprimere oggi un sindacalista se non cose demagogiche, difese corporative? E D'Alema? E Abete? Nessuno ha un pensiero politico...». Dunque, scambio di «parti», di «scene»? Sì, ma soprattutto epoca di «transizione». Dice Bocca: «Da una parte c'è la nostra vecchia cultura, l'unica esistente ma debole, e dall'altra il nulla. Il nostro dovere è conservare la dignità di qàe|la cultura. Se il mondo va per conto suo,5 pazienza...».