Italia-Russia di Coppa Davis a Roma C'è il principe Eugenio sulla strada di Panatta

Italia-Russia di Coppa Davis a Roma Italia-Russia di Coppa Davis a Roma C'è il principe Eugenio sulla strada di Panetta Kafelnikov l'avversario più temuto (ma fidiamo nella sua presunzione) Dicono che sia il numero uno del futuro, e per sfortuna dei suoi av-« versali ci crede anche lui. Evgheny Kafelnikov, l'uomo forte della Russia che da venerdì a domenica sfiderà nel primo turno di Davis l'Italietta di capitan Panatta, è in effetti uno dei giovani più caldi del jet-tennis mondiale: 22 anni fra pochi giorni, numero 6 del mondo, due fondamentali a mitraglia (non a caso lo chiamano «Kalashnikov»), un senso dell'anticipo che gareggia con quello di Agassi, un servizio solido, volée non comunque incisive, «Eugenio» è un tennista completo. Il suo pane sono le superfici medioveloci, il cemento per intenderci, ma per nostra disgrazia si appoggia benissimo anche sulla terra battuta. Di più: è uno dei 12 tennisti che negli ultimi 20 anni sono riusciti a finire un'annata nei primi 10 sia della classifica di singolare sia in quella di doppio. Insomma, il sogno proibito di qualsiasi capitano di Davis, specie di quello russo, il cicciottello Anatoly Lepeschin, che di Kafelnikov è stato il mentore sin dai tempi dei tornei juniores (quando nella vecchia Urss giocava anche l'ucraino Medvedev) e che il principino ha voluto a tutti i costi sulla panchina di Coppa, ottenendo il licenziamento del suo predecessore. Evgheny è un asso, a Roma contro i nostri Furlan, Gaudenzi, Pescosolido e Nargiso giocherà singolare e doppio a fianco dello specialista Olhovsky (che ieri ha vinto il torneo di Shanghai battendo Knowles per 7-6, 6-2; l'altro singolarista sarà il veterano Chesnokov, la riserva Volkov) e il pronostico è tutto a favore del piccolo zar che negli ultimi due anni ha saputo trascinare la Russia a due finali, entrambe perse in casa. Come tutte le squadre costruite attorno ad un solo fuoriclasse, la Russia teme però l'incostanza del suo bimbo prodigio. Per evitare che i cosacchi si abbeverino tranquillamente alle fontanelle del Foro Italico possiamo sperare nella presunzione di Evgheny (il cui sogno è di diventare «famoso come John McEnroe») che non è ancora un mostro di tattica, come ha dimostrato Becker a Melbourne, e spesso non sa cucire a proprio gioco sui difetti dell'avversario. E poi possiamo sperare nella malia di Roma. Evgheny, che l'anno scorso vinse a Milano, ha infatti ammesso che per lui la capitale è una città stregata («c'è troppa elettricità, troppa eccitazione, mi disturba»), e Corrado Borroni, il milanese che l'anno scorso da numero 400 del mondo lo stracciò via dal torneo al primo turno, può confermare. Altero come ogni slavo doc (carnagione d'alabastro, sguardo azzurrino, ciuffetto biondo) Kafelnikov alterna poi la passione per il gioco (a Montecarlo i croupier gli danno del tu) e per le macchine veloci (con i primi dollaroni guadagnati si è comprato una Ferrari) agli ozi casalinghi. Dopo Melbourne doveva giocare a Zagabria, invece si è inventato una bua al piede ed è volato nella incantevole e calda Soci, sul Mar Nero, dove si sta riposando, allenandosi (poco) sulla terra e pescando (molto) gli stavida, grandi e un po' fessi pescioni di profondità. A Roma troverà, speriamo, pescioni meno facili alla pastura, e il vecchio campo centrale di nuovo circondato di ponteggi. Accanto procedono i lavori del nuovo stadio, ma per gli Internazionali di maggio il dubbio si chiama sponsor. Dopo aver litigato con Tiriac (che chiedeva uno sconto sugli oltre 9 miliardi del contratto triennale, dichiarandosi insoddisfatto della collaborazione con la Fit) il torneo ha incassato l'addio della Mercedes, che il manager romeno si è trascinato dietro battendo in ritirata, e ora rischia il «bagno». «Inutile fare gli allarmisti sbuffa però il direttore del torneo Franco Bartoni - ci dovremo accontentare forse di 5 mihardi, invece che di 9, ma troveremo gli sponsor, ci sono contatti già avviati con partner grandi e piccoli, e sono sicuro che arriveremo a pareggiare i conti». All'ultimo, con l'affanno, magari svendendo. All'italiana, insomma. Alessandro De Giorgi