ALLARME DA JOHANNESBURG Attenta Africa, gli stregoni bianchi ti stanno spegnendo la fantasia di Roberto Beccantini

Attenta Africa, gli stregoni bianchi ti stanno spegnendo la fantasia ALLARME DA JOHANNESBURG Attenta Africa, gli stregoni bianchi ti stanno spegnendo la fantasia AJOHANNESBURG LLARME dall'Africa. Lo stregone bianco la sta spogliando anche delle ultime magie, la sta scolpendo a sua immagine e somiglianza. A furia di gridare che il calcio africano è una miniera, e che i minatori più perspicaci si trovano in Europa, eccoci di fronte a un clamoroso plagio, contrabbandato per illuminato adeguamento. Ammettiamo pure che un simile principio possa avere un senso, logico e pratico, ma adesso che è tutto finito, e l'Africa torna a sparpagliarsi, guai a ridurre raggrovigliato fenomeno ai confini, pittoreschi, dei Bafana Bafana e di Fniiiisb,, il suggestivo brusio che a Johannesburg, per tre settimane, ha fatto da colonna sonora a ogni intervento di Mark Fish, l'aitante centrale dei neo campioni. Piuttosto, è giunto il momento di abbandonare l'astronave dei sentimenti suscitati dal rilancio in grande stile di un Paese che, finalmente unito,' non potrà che assurgere al rango di nazione guida dell'intero Continente, e denunciare l'appiattimento che vediamo in corso. Nel lasciare Johannesburg, ci accorgiamo di aver trovato l'Africa della compensazione, e non già della tradizione. Tutti uguali a tutti, chi più chi meno, naturalmente. Un maggior rigore tattico, oh sì, ma, purtroppo, anche un calo verticale di fantasia. Le uniche gocce ce le ha distillate Abedi. Pelé, che va per i 32 anni. Ha ragione Michel Platini, che è venuto in Sud Africa per un aggiornamento professionale, quando paragona la Tunisia del commissario tecnico polacco Kasperczak («marcava a uomo persino a centrocampo») a una qualunque nazionale d'Europa. Proprio un attaccante tunisino, il ventiduenne Slimane, è stato uno dei pochi a impressionarci. Veloce, agile, dal dribbling stordente. Del resto, l'Africa, malmessa com'è a livello di strutture e quadri politici, dipenderà sempre, e sempre più, dai suoi colonizzatori. I quali, e qui siamo al nocciolo del problema, le spediscono tutti gli scarti. Lo Zambia, terzo all'arrivo, davanti al Ghana, si era affidato, pensate un po', a un carneade danese, tale Roald Poulsen. E fra tutti i brasiliani di¬ sponibili su piazza, il Ghana aveva scelto Ismail Kurtz, onestissimo artigiano che di brasiliano, però, non ha nemmeno il nome. Non mancano lodevoli eccezioni (l'Egitto di Krol), e nello stesso tempo, fragorosi patatrac (più che la Liberia di Weah, lui, Weah, e basta). Certo, chi trova un'tecnico (in casa), trova un tesoro. Prendete il Sud Africa, per esempio. Di Clive Barker tutto si può dire, meno che sia un genio, ma avendo voluto e sa- fiuto accoppiare l'utile al diettevole, è riuscito a stracciare i rivali. D'accordo, l'assenza della Nigeria, campione uscente, e il calendario confezionato su misura (lo scudo dei 1763 metri d'altitudine, la lama degli arbitri) gli hanno spianato la strada. E così, se la finale ha premiato le compagini più affidabili sul piano dell'organizzazione spicciola, il livello tecnico della competizione non passerà di sicuro alla storia per la sua qualità. Ora che molti giocatori africani esercitano la professione in Europa, e che molti tecnici europei di seconda e terza categoria tengono bottega in Africa, l'omologazione ha raggiunto limiti francamente imbarazzanti. L'Africa che abbiamo incrociato in questi giorni a Johannesburg non è più quella di una volta: naif, cicala, ingovernabile e, per questo, capace di contrapporsi, senza sovrapporsi, al modello europeo. Liberissimi di considerare tutto ciò una conquista, e non una perdita d'identità. Noi, più modestamene, ci teniamo la nostra idea. Roberto Beccantini

Persone citate: Clive Barker, Ismail Kurtz, Kasperczak, Krol, Mark Fish, Michel Platini, Roald Poulsen, Weah