Che bel disegno è vuoto di Marco Vallora

Che bel disegno, è vuoto Che bel disegno, è vuoto Magica forza degli spazi bianchi ziale. Ed era proprio Michelangelo che «gli ripeteva come un organetto»: «che le figure non si devono disturbare, nuocere tra loro ma piuttosto aiutarsi a vicenda, di modo che non se ne possa sottrarre nessuna; ben più lodevole è chi lascia l'impressione che si possa aggiungere qualche cosa piuttosto che di togliere». Gli spazi diltados, nudi, vuoti, in cui può circolare come un respiro l'idea stessa, neoplatonica, della perfezione del disegno (e Braque: «Il vaso dà una forma al vuoto, musica al silenzio»). Perché la riserva - così anche in italiano - è riserbo, discrezione ma pure riserva nel senso di dispensa (quale facoltà di non adempiere ad una formalità, come esonero di compiere appunto nei suoi dettagli finiti un'opera, ma anche come spazio in cui si mettono in serbo le riserve di cibo, in cui si raccolgono le intenzioni non ancora realizzate). Perché, ricorda Viatte, «il pentimento condivide con la riserva il fatto di appartenere al tempo»: di introdurre nel disegno la categoria del futuro, dell'aperto imponderabile, dell'attesa (ed in senso storico, giuridico, réserve è proprio il «mettere da parte in un contratto», «preservare una cosa per un altro momento», «risparmiarla per una buona occasione», lo sottolinea il secentesco Dizionario dell'Accademia Francese). E un altro teorico della pittura, Roger de Piles, nel 1715: «Il genio si serve dunque della memoria come di un vaso in cui mette in riserva le idee che si presentano: le sceglie con l'aiuto del giudizio, e ne fa per così dire provvista, da cui si serve quando se ne presenta l'occasione». Perché, sottolinea Francois Cheng, un esperto di quella pittura zen che ha molto a che fare con questi «bianchi», allusioni al Vuoto originario, al Soffio della tradizione Tao, questi mo- menti «taciti» del disegno, questi frammenti di silenzio del colore o delle forme, «difetti nella corazza» dell'opera finita, ci permettono comunque di violare «i segreti di fabbricazione» della macchina espressiva. Si tratta infatti di un'assenza relativa, mentale, momentanea: segnata dal ricordo o dall'attesa, come ben sapevano gli antichi. «Risparmiare, in pittura, è riservare il posto di qualche oggetto, quando si stende il Fondo, come quando si dispone il Cielo di un Quadro». Non è soltanto una spia del furor espressivo, dunque, del «far presto» manuale: paradossalmente è un momento forte di ulteriore riflessione pittorica, di sospensione pensata delle forme. Talvolta più presente della stessa presenza: «perfezione incompiuta», «dotta ignoranza» per dirla con Nicolò Cusano. Se si guarda il vuoto di tensione in cui naviga il nudo di Michelangelo, i gradini mentali di una scala inesistente nel foglio di Daniele da Volterra, che cancellano l'anatomia di un uomo che s'arrampica con tutta la pesanteur morale di un'adamitica colpevolezza, è ovvio che quel vuoto di gravità ha una «gravezza» malinconica ed espressiva ben più intensa di un volgare segno in presentili. E attira il nudo di Michelangelo tra le sue braccia come un amante metafisico. E così, retoricamente, quelle nuvole vuote, quelle «forme fantasma» di car- ne inesistente, a cui si stringono i vecchi di Vouet o i galanti di Rubens, hanno una corposità d'effetto visivo, un'incisività ben maggiore che se fossero diligentemente miniati. Quasi un'astuzia della sospensione, come ci insegna appunto la retorica: «La sospensione è una figura che consiste nello stimolare la curiosità dell'ascoltatore, facendogli presentire qualcosa di cui si ritarda in seguito l'enunciato, al fine di meglio colmare la sua attesa o di sorprenderlo maggiormente». La sospensione conferisce energia all'insieme, organizza lo spazio, crea un «romanzo» di suspense ottica, come capita al ragazzo di Prud'hon, «abitato» da fantasmi di eros. Nel Settecento, poi, quando con Flaxman, Coxens e David, disincarnati dalla materia, i liofilizzati disegni diventano «puri teoremi di geometria» assistiamo ad una vera «fabbrica del vuoto» per usare la felice metafora di Anna Ottani Cavina. Sino a giungere al tormento dell'Oggetto invisibile (o Mani che tengono il vuoto) di Giacometti, l'artista che, per dirla con Sartre, «è divenuto scultore perché porta su di sé il vuoto come una lumaca la sua chiocciola». Marco Vallora ?ro .;;if! II problema della «Réserve» nella creazione della bellezza

Persone citate: Anna Ottani Cavina, Braque, Francois Cheng, Giacometti, Nicolò Cusano, Roger De Piles, Sartre, Vouet

Luoghi citati: Volterra