I mercati e la politica ora vanno d'accordo di Alfredo Recanatesi

I mercati e la politica ora vanno d'accordo OLTRE LA LIRA I mercati e la politica ora vanno d'accordo OLO chi intenda il bipola ■ rismo e l'alternanza come valori nominalistici può rimanere sconcertato davanti agli ultimi sviluppi della situazione politica italiana e non comprendere la logica del forte recupero realizzato dalla lira e dell'altrettanto forte arretramento dei tassi di interesse. Al contrario, l'atteggiamento dei mercati si dimostra ispirato ad una logica cartesiana che neppure tutti gli osservatori politici, intrappolati nella nebbia dei tatticismi quotidiani, sembrano aver colto appieno. Per spiegare il comportamento dei mercati occorre rifarsi al 1993, al tempo del governo Ciampi il cui mandato politico era quello di «traghettare» l'Italia verso il sistema maggioritario provvedendo al varo di una nuova legge elettorale e alle elezioni nelle quali quella legge sarebbe stata subito applicata. Allora l'Italia appariva un Paese avviato ad una costruttiva transizione. In un quadro internazionale sbloccato dalla caduta del comunismo e in virtù dell'azione della magistratura, si stava superando il regime di democrazia imperfetta e tutti i guasti politici, economici e morali che soprattutto negli ultimi quindici anni aveva prodotto. La meta era un assetto politico-istituzionale simile a quelli che nelle altre democrazie industriali dell'Occidente danno prova di saper conciliare la stabilità e l'efficienza dei governi con la loro legittimazione nel consenso dei cittadini e con il postulato democratico di un efficace controllo sul loro operato. Che la sola riforma della legge elettorale non fosse sufficiente a raggiungere lo scopo era cosa ben nota fin da allora, tanto più in quanto la nuova legge elettorale era così inzeppata di compromessi da generare subito la diffusa convinzione che sarebbe stata applicata una sola volta. Lira, tassi, Borsa, comunque, riflettevano una generale fiducia verso il processo di trasformazione che era stato intrapreso. La svolta avvenne proprio con le elezioni. A parte l'ultima effimera fiammata che la speculazione riuscì ad accendere sullo stereotipo della destra più vicina della sinistra agli interessi del capitale, dalle urne uscì una maggioranza virtuale che nella prassi si dimostrò tanto incoerente e rissosa che, infatti, si dissolse subito. E non basta: malgrado quell'esito disastroso, una consistente parte di politica si interstardì nel chiedere nuove elezioni che non avrebbero potuto risolvere nulla mentre la parte opposta volle misurarsi nel compito, reso impossibile dalla evidenza dei numeri, di dar luogo ad una maggioranza alternativa. In questo pantano l'Italia è rimasta bloccata per quasi due anni. Non sono stati anni persi perché nel frattempo l'economia si è fortemente rafforzata e la finanza pubblica ha conseguito risultati molto importanti sulla strada del risanamento. Ma sulla evidenza di questi pur consistenti ed oggettivi risultati ha fatto premio la sensazione, in verità non del tutto priva di fondamento, che il processo politico-istituzionale virtuoso si fosse interrotto e che le forze politiche fossero lontane dalla capacità di recuperarne il controllo. Appena questa capacità si è cominciata nuovamente ad intravedere, i mercati ne hanno subito preso atto. Hanno scontato non solo la ripresa del processo politico-istituzionale che può condurre l'Italia nella comunità dei Paesi nei quali la democrazia non è solo un principio, ma anche e soprattutto un metodo efficiente per assicurare governabilità. Hanno scontato anche che, fino a quando le procedure istituzionali non assicurino governi durevoli e pienamente legittimati, la neutralità di un governo tecnico consente di attenuare la responsabilità dei partiti che ne sostengono l'operato, attenuando in tal modo i contenuti meramente politico-elettorali dei problemi economici e sociali che occorre ancora superare per completare l'aggiustamento dei conti pubblici. Ed hanno scontato, infine, che l'inflazione, salita a motivo di un cambio che si era svalutato proprio per l'impasse politico-istituzionale, ora potrà procedere ancor più speditamente verso il già previsto ridimensionamento su livelli più prossimi a quelli degli altri Paesi europei. La logica della reazione dei mercati, dunque, poggia su presupposti solidi e lineari. Non solo, ma proprio questa linearità consente di considerare già avviata quella spirale virtuosa lungo la quale la riduzione del disavanzo che occorre ancora realizzare potrà farsi in buona parte da sé, attraverso la riduzione dei tassi di interesse e della conseguente spesa per il servizio del debito. Da quando si è cominciato a prospettare un accordo tra le maggiori forze politiche per provvedere insieme alle riforme istituzionali, con il conseguente rinvio delle elezioni ed un nuovo esecutivo tecnico sostenuto da una maggioranza molto ampia, la riduzione dei tassi di interesse è stata già tale da determinare, nel tempo, una riduzione del disavanzo di oltre 30 mila miliardi, ossia quasi metà di quella manovra per complessivi 70 mila che ancora ci separa dal pieno rispetto della relativa clausola di Maastricht: e ancora l'accordo politico deve essere sancito nella formazione di un nuovo governo, l'inflazione deve confermare le previste riduzioni e la Banca d'Italia deve seguire con la riduzione dei tassi ufficiali. C'è da stupirsi, allora, se i mercati volgono tutti al bello? Alfredo Recanatesi eal I

Persone citate: Ciampi

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