GUCCINI vecchio e bambino

vecchio e bambino vecchio e bambino BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO Dio mio, Francesco, che malinconia. Guccini è sempre lui, lo stesso di sempre, alto, grande, la bella parlata emiliana che incanta; ma quanta tristezza ha addosso, ora, in questa sua storica casa dove da qualche tempo abita solo con la figlia diciassettenne Teresa. «A scuola ero scarso in latino/ e il pop non è fatto per me/ Ti diplomerò in canti e vino/ Qui in via Paolo Fabbri 43»: cosi cantava allegramente il proprio indirizzo, tanti anni fa. Adesso i vestiti gli ballano da ogni parte, avrà perso dieci chili e sembra anche più giovane. Ma non è il momento della gioia. «Sai, c'è un tempo che vai soltanto a matrimoni. I tuoi amici si sposano, è una festa continua. Ora, invece, è come se fosse venuto il tempo dei funerali. Muoiono tutti, e tu resti sempre più solo». Ma forse è anche l'aria in giro, che ci fa tristi. «E' un momento da averne paura. M'impressiona questo desiderio inconscio, che vedo, dell'uomo forte... A^lri il giornale al'mattino, enon sai mai come vada a finire». E gli amici, intanto, vanno via. «Di Bonvi l'ho saputo dalla tv, pensa... Ed era forse l'unica volta che ha guidato una macchina, era sempre un po' troppo su di giri e stava attento. Ma lui, il Bonvi, era come se se lo sentisse: mi diceva sempre che i Bonvicino (ch'è il suo cognome) non superano mai i 55 anni, e lui, sai, c'era già. E allora un giorno mi aveva anche fatto un regalo, mi aveva detto ridendo: "Comincio a distribuire l'eredità"». Eravate molto amici. «Ci conoscevamo da ragazzi, a Modena. E a Bologna sono stato io a farlo venire a lavorare: cercavano un grafico, l'ho chiamato, e quando si è presentato e gli hanno chiesto di che cosa si interessasse, lui, il Bonvi, serafico risponde: "Studio la possibilità di sviluppare colture idroponiche su Marte". Pensa un po', lo hanno assunto». Che cos'era il regalo? «Mah, una mattana come lui. Era il giorno che eravamo andati al funerale di Victor». Victor Sogliani, lo spilungone dell'Equipe 84. «Sì, lui, che se n'è andato per una tromboflebite. Victor veniva sempre a trovarmi anche in sala, men- tre incidevo dischi». C'è un disco in arrivo? «Lentamente in arrivo. Conto di entrare in sala nell'autunno. Ho idee, appunti, due canzoni pronte che canto già ai concerti». Per esempio? «Una si chiama "Canzone delle colombe e del fiore", ed è una storia d'amore su una melodia latinoamericana. Un'altra è "Quattro stracci", una canzone dell'amore finito, su uno stile musicale mio tradizionale. Poi sto elaborando. Il prossimo album potrebbe intitolarsi "D'amore, di morte, e di altre sciocchezze"...». Ancora la morte. «E' inevitabile che, poi, qualcosa sulla morte ti resti dentro. Tu pensa che in una manciata di mesi se n'è andato Bonvi, se n'è andato Victor, se ne sono andati Amilcare Rambaldi (il "padre" del Tenco ndr) e Vito che era l'amico-padrone della trattorìa sotto casa dove vado sempre la sera... Ma loro due, almeno, avevano 85 anni. E Vito, era di notte, ha mangiato le cresccntine, ha fumato una sigaretta e poi, tanti saluti». Questo parlare dell'età, e della morte, è inusuale per Guccini. «Nella nuova canzone "Quattro stracci" ci sono due versi che dicono: "Non sai che ci vuol pazienza, ci vuol costanza/ a invecchiare senza maturità"». Fare davvero strano pensare a Guccini come un adulto. «Non so se sono adulto. Un tempo, alla mia età erano già come vecchi: penso a mio padre, e alla sua generazione che ha fatto la guerra e vis¬ suto gli stenti. Ma ancora negli Anni 60... E' che adesso è cambiato il modo di vivere: e allora la maturità è più un atteggiamento, un problema mentale». L'amore mantiene giovani? «Sorbole. L'amore è importantissimo, è uno stimolo mica da poco. Ti sprona, ti aiuta a fare, a lavorare». E Guccini lavora tanto, ora? «Molto, sì. Se sono giù di baracca, scrivo musica; ma se sto su di morale, allora vado con il libro» E com'è, il libro? «Beh, c'è un giallo che sto scrivendo con Lordano Machiavelli. Io non sono un giallista, allora gli ho detto "Ti regalo una vicenda", e siamo lì clie ci diamo. E' una storia del '40, con i flashback. C'è anche il maresciallo dei carabinieri che fuma mezzo toscano». E il terzo romanzo, invece? (Qui il Guccini si trasforma che è un piacere: si aggrappa al computer, prende quello che ha già scritto, e si mette a leggere a voce alta, divertito, fluviale. Sono tre, quattro pagine che filano via nella bella parlata emiliana, la storia di un AUC, allievo ufficiale di complemento, a Bologna all'inizio degli Anni 60; la «sua» storia, con un comandante che è «un grande stronzo», una fanciulla olezzante e tutta veli che «sembra un calendario da barbiere» e un'altra che «solo da qui a qui, ma il resto non lo mollo: il resto, è per il matrimonio»). «Sì, il servizio militare l'ho fatto da sottotenente, con la Folgore, a Trieste. Ci avevo fatto anche una canzone, "AUC Blues", che divenne una sorta di inno... Il comandante era un brav'uomo, una volta mi mandò a cantare al Circolo Ufficiali: dovetti andarci in divisa di gala, con la sciarpa azzurra di traverso, e la chitarra. Cantai "L'antisociale"...Mah!». E Trieste? «Mi sbalordì. Una città, viva, vera: una mattina, a mezzogiorno, nel bar dov'ero a scolare ho visto entrare una bella ragazza, che ha ordinato tranquilla "un'ombreta". Era proprio bella, sai, ed eravamo nel '62: lei si è fatta il suo bicchiere di vino, poi è uscita come se niente fosse. Che gran città». Come sono le città? «Quando esce un disco, faccio concerti nei palasport delle grandi città, che sono tutte più o meno uguali. Negli altri periodi vado a fare qualche concerto nelle piccole città, nei teatri: e vedo la gente. Ma tutti, non solo i ragazzi dei palasport. E lì si parla, c'è meno calore ma ci si capisce meglio, forse». E la sera che non ci sono concerti? «Vado quasi sempre in trattoria, dove ci sono gli amici. Mangiamo, parliamo, discutiamo. Poi, a mezzanotte, giochiamo a carte... Io, il figlio di Vito, quel matto di Jimmy Vnlotti, un maestro di musica in pensione, un giornalista del "Carlino" che è appena uscito dal giornale. Tiriamo mattino». Seno? «Se no niente... Ma una cosa mi piacerebbe però fare: uscire una sera con la chitarra, e andare a cantare, per conto mio. Non per lavoro. Come facevo una volta». Marinella Venegoni Incontro con il cantautore: sta pensando al nuovo disco. Non sarà allegro, si parlerà di amore e di morte. «L'amore ti aiuta a lavorare» I primi versi già scritti: «Non sai che ci vuol pazienza, ci vuol costanza a invecchiare senza maturità»: «Ma io non so se sono adulto» Francesco Guccini è lo stesso di sempre alto e grande: ma quanta tristezza ha addosso

Luoghi citati: Bologna, Modena, Trieste, Vito