I periti a caccia dei killer della Fenice

HHH^HB Venezia: gli elettricisti avrebbero confermato che l'impianto anti-incendio quella sera era in funzione Venezia: gli elettricisti avrebbero confermato che l'impianto anti-incendio quella sera era in funzione 1 periti a caccia dei killer della Fenice II magistrato: sul rogo ci sono troppe contraddizioni VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO «Speriamo di non andare avanti per mesi e mesi ...». E se lo teme uno sconsolato Massimo Cacciari, vuol dire che andranno avanti per mesi e mesi, che il rogo de La Fenice ha tutte le premesse del solito copione da Belpaese. Il Teatro fuma ancora e già si mettono al lavoro ben tre commissioni d'inchiesta, magistratura, Corte dei conti e Comune. Ce ne sarebbe pure una quarta, quella di Generali e Assitalia, le due compagnie di assicurazione che se l'incendio avrà un colpevole, un errore o una distrazione, non sborseranno una lira. Seduto al tavolo rotondo del suo ufficio da sindaco, Cacciari si è addirittura scoperto investigatore: «Ho sentito personalmente tutti per capire se c'era qualcosa di eclatante. Al momento, nulla». Venti giorni e poi qualcosa, finalmente, si potrebbe sapere. Felice Casson, il sostituto procuratore che indaga, ha nominato i quattro periti: Leonardo Corbo direttore della Protezione civile, gli ingegneri Amedeo Torzo e Ludovico Osio, il comandante dei vigili del fuoco veneziani Alfio Fini, avranno appunto venti giorni di tempo. TI quesito non può che agitare Comune, La Fenice e le ditte al lavoro nel teatro: incendio di origine colposa o dolosa? Casson, nonostante le critiche di Vittorio Sgarbi, qualche idea comincia ad averla: «Sto verificando le omissioni, negligenze e responsabilità. Nelle testimonianze ci sono tasselli in contraddizione tra loro». Cacciari ammette: «E' la mia stessa sensazione, evidentemente qui i conti non tornano...». Evidentemente. A Cacciari risulta, perché così hanno riferito l'elettricista Paolo Padoan e il comandante dei pompieri, che l'impianto antifumo, la luce rossa e la campana a 100 decibel che segnala perfino una sigaretta appena accesa, quella sera sarebbe stato in funzione. Però Gilberto Paggiaro, il custode, lo esclude e Gianni Meiato, l'altro custode, pure: «Almeno da venerdì. Mi avevano detto che staccavano tutto per fare gli allarciamenti con il nuovo impianto elettrico». Un piano sopra Cacciari, Sisto Ruggiero, ingegnere dell'ufficio tecnico del Comune e direttore dei lavori alla Fenice, prende tempo: «Credo che l'impianto antifumo non fosse in funzione. Mi informerò». C'è chi non la racconta giusta. Evidentemente. Eppure, come ripete un Cacciari affranto, nulla era mai stato tralasciato. Le ditte che avevano ottenuto l'appalto, per cominciare, erano state messe di fronte all'imperativo categorico: dovete garantire che non verranno usati materiali infiammabili, men che meno quelle resine che dieci anni fa hanno alimentato il rogo e i cinque morti al «Coin» di Salizada San Giovanni Crisostomo. Sette ditte: Argenti, Bortoli, Bottacin, Patrizio, Sacaim, Siran, Veneta Restauri. E sette «Documentazioni di Sicurezza», come conferma l'ingegner Ruggiero. Che, sulle voci di piccoli incidenti, piccoli e recenti incendi durante lavori di saldatura, sfuma senza escludere: «Princìpi d'incendio a me non risultano. Mi informerò». Quel che è certo, e Cacciari l'ha detto per primo, è che i lavori andavano avanti con grande fretta. «E' vero - dice il sindaco -, ma non si doveva pregiudicare la sicurezza. Lavorar di fretta non vuol dire lavorare alla carlona». Ma lavorar di fretta, evidentemente, può provocare distrazioni, errori, manchevolezze, magari il ricorso a materiali diversi. «Per noi nessun lavoro doveva essere svolto con materiale infiammabile, anche se fa un po' ridere dire infiammabile parlando de La Fenice. Con tutto quel legno era una scatola di fiammiferi». Con tutto quel legno, i solventi, le resine e le vernici che l'economo Adriano Franceschini guardava con sospetto: «L'avevo detto a quelli della Sacaim, tirate via 'sta roba che è pericolosa». Sulla carta, nella documentazione che il sindaco ha inviato a Casson, tutto è a posto, in regola e se- condo legge. Tanto che l'ingegner Ruggiero, l'altra notte, appena arrivato sui rogo, ha pensato male: «Un incendio doloso, qualcuno che ha appiccato il fuoco? L'ho pensato, ma non riesco a trovarne la ragione. I! dolo mi risolverebbe i problemi...». Nel senso che il suo ufficio, il Comune, non avrebbero responsabilità: «Dall'esterno sarebbe stato difficile entrare. In teoria possibile, ma praticamente improbabile». Il dolo viene escluso, la colpa chissà dove si nasconde e dove Casson la andrà a scovare: «Ho disposto un sequestro rigido, neppure i tecnici del Comune si possono avvicinare a quel che resta de La Fenice». Paolo Padoan, da 22 anni elettricista del Teatro, è stato interrogato per sei ore. Se il custode Gilberto Paggiaro è «il testimone», Padoan è «l'imprevisto». Per sei ore ha continuato a ripetere che lunedì pomeriggio, quando alle 18,38 ha timbrato il cartellino d'uscita, l'impianto antifuno era in funzione. «Non può dirlo, non è vero!», rispondono Paggiaro e Meiato, i due custodi. Cacciari si è già arreso, ha già nominato la sua commissione d'inchiesta: «Se l'antifumo era innestato o si è rotto o il custode non l'ha sentito». Anche Pini, il comandante dei vigili del fuoco, ha avuto la sensazione che funzionasse: «Quando sono arrivato suonava un allarme». Ma forse era quello dell'albergo «La Fenice», o del ristorante «Antico Martini». Padoan, furibondo, è sicuro almeno quanto il custode. «La Fenice era la mia vita, se becco chi ha la colpa dell'incendio gli sparo in bocca! L'impianto antifumo era a postò; se mi accendevo una sigaretta suonava l'allarme. Per fumare dovevamo andare a nasconderci nei gabinetti e accendere l'aspiratore. Funzionava sì, e c'era anche una batteria di riserva con due ore di autonomia». Paggiaro, che non fuma, non ci capisce più niente: «Ma perché insiste a dire una cosa non vera? La campana d'allarme e le due spie gialla e rossa erano disattivate almeno da sabato». E se così fosse, resterebbe da capire perché, chi ha dato l'ordine, chi non ha provveduto a misure di sicurezza alternative. Provvederanno le Commissioni d'inchiesta. A sera Casson tenta un bilancio impossibile. «Dobbiamo mettere a fuoco... pardon: dobbiamo definire le prime certezze». Al momento una sola: La Fenice era una prestigiosa scatola di fiammiferi affidata a chi ha lasciato prendesse fuoco. Evidentemente. Ma come ha promesso il sindaco in due anni risorgerà. Non c'è più da lunedì sera, scomparsa sotto i due metri di macerie fumanti. Da ieri è scomparsa anche dalle cartoline, tutte esaurite nelle 200 tabaccherie veneziane. Da oggi sarà introvabile anche nelle librerie d'arte. In attesa della Resurrezione dovrà aspettare le Commissioni d'inchiesta e arrangiarsi alla meglio. Le hanno già trovato una sede nel centro storico, in Campo San Polo. Sotto un tendone da circo. Giovarmi Cerniti Summit con il ministro dei Beni culturali Paolucci «I finanziamenti arriveranno» HHH^HB *\L Il ministro dei Beni culturali Antonio Paolucci

Luoghi citati: San Polo, Venezia