Sequestro-lampo con giallo

Brescia: molti punti oscuri nel rapimento del figlio di un noto industriale Brescia: molti punti oscuri nel rapimento del figlio di un noto industriale Sequestro-lampo con giallo // ragazzo: «Sono sfuggito ai banditi» BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO Alle 20,10, ecco la Croma rossa. Marco Camozzi ha un faccino stanco, due occhi pesti che fissano straniti i flashes dei fotografi, una mano fasciata che alza sulla fronte. La Croma s'infila, il giallo comincia. Il sequestro, invece, è appena finito. Marco ha chiamato casa che non erano ancora le sette di sera, e papà Attilio ha tirato un sospiro di sollievo. «Sono vivo», ha detto, «venitemi a prendere». Ha chiamato da Barghe, Lago d'Idro, qualche chilometro da Salò, e non troppo lontano da Lumezzane, dov'era sparito ieri sera, uscendo da un bar mentre andava a casa della fidanzata. Marco Camozzi, 25 anni, figlio di Attilio, imprenditore bresciano che è stato lo sponsor di Ayrton Senna. Marco e i suoi occhi pesti, lui e il suo cellulare. S'è sempre fatto vivo con il telefonino, per tutto il tempo, una, due, quattro, sette volte. Anche adesso, alle sette meno qualche minuto. Vanno a prenderlo i carabinieri. «Loro m'avevano detto che volevano liberarmi. M'avevano messo dentro il bagagliaio. Ti riportiamo a casa, avevano detto. Ma io sono riuscito a liberarmi, e ho chiamato casa». Loro, per adesso, non si capisce bene chi sono. I banditi, i balordi, gli amici? Quando la Croma arriva nella caserma dei carabinieri, accovacciati dietro, ci sono tre ragazzi, e anche stavolta non si capisce bene se sono gli amici, i banditi, o carabinieri in borghese. Intanto, arriva il magistrato. Per Marco Camozzi, dopo il rapimento, c'è una notte di interrogatori. Storia di un sequestro lampo. O di un sequestro burla? Per ora, i carabinieri si arrabbiano: «Non diciamo fesserie. Sequestro lampo». E va bene. Comincia martedì sera, nella viuzza che il buio inghiottisce fuori dal bar Nelly, fra le case grigie di Lumezzane. Marco Camozzi ha preso un caffè e un amaro, e ha scambiato quattro parole con Silvano Montini e Paolo Del Bono, amici suoi. Quando esce, saluta la cassiera e sparisce nel buio, a cento metri dalla casa della fidanzata. Il sequestro è cominciato lì. O mezz'ora dopo, se volete, con la prima telefonata dal suo cellulare alla famiglia, nella villa adagiata sulle colline di Polpenazze: «Mi hanno rapito», dice e la voce gli trema. «Ma sto bene. Vi richiamerò più tardi». Parla anjche uno dei banditi: accento meridionale, ricorderanno i parenti di Marco. L'ultima telefonata di martedì, è alle undici e mezzo: «Sto bene. Preparate i soldi. Richiamerò all'una e trenta». Aveva appena chiesto lui i soldi che volevano i banditi: novecento milioni. Strana cifra. Un miliardo con lo sconto. Non aveva più richiamato, invece, fino a ieri mattina. Una telefonata alle otto, un'altra alle otto e un quarto per tre minuti, e ancora nel pomeriggio. L'ultimo amico che l'aveva visto, Paolo Del Bono, aveva tirato fuori qualche banalità: «Era tranquillo, come sempre. Tutto normale. Abbiamo mangiato un boccone. Mi ha detto ciao, ci vediamo domani». Per il resto, niente. Marco Camozzi svanisce nel nulla, mentre la fidanzata Annarita Sciannandone lo aspetta a casa, qualche centinaio di metri più in là. L'ultima traccia che potrebbe restare è una Bmw nera, la sua macchina, una 325 turbodiesel con targa tedesca. E' sparita anche lei. Strano sequestro. Forse, balordi, forse dilettanti. Forse un rapimento lampo andato male, pensano ancora gl'inquirenti. I carabinieri adesso presidiano la villa e la zona. Qual- cosa non quadra. E si indaga sulle amicizie non sempre cristalline di Marco. Dossi, vigne e olivi. Giorno di cielo chiaro. Per tutto il tempo al citofono non risponde nessuno. Piante di alto fusto, un campo da tennis. Il sole riscalda l'inverno. Al bar Cervo, nella piazza del municipio e della chiesa giurano che tutti in paese se l'aspettavano. E il sindaco, Giuseppe Turrina, conferma: «Già quest'estate avevano notato cose strane, facce sconosciute, gente che si aggirava attorno alla casa. Avevano avvisato i carabinieri. Avevano ingaggiato poliziotti privati. E avevano chiesto il permesso di rinforzare e allargare la recinzione della villa. Qualche mese fa, ricevetti anche una telefonata del capitano dei carabinieri di Salò che mi invitava a concedere in tempi rapidi questa autorizzazione per motivi di sicurezza». Attilio Camozzi voleva aumentare la potenza dell'impianto elettrico per illuminare meglio tutta la zona, e dotarsi di un radar. Se¬ questro annunciato, allora? Certo è che i carabinieri subito dopo le denunce dei familiari avevano fatto dei sopralluoghi sulla collina attorno alla villa e avevano trovato sparsi in terra pacchetti di sigarette, mozziconi, lattine e altri oggetti, come se qualcuno si fosse davvero fermato a controllare la casa. E poi, i Camozzi sono gente solida, del Bresciano. L'azienda di Polpenazze dà lavoro a 110 persone. Altri quattrocento dipendenti sono a Lumezzane e a Cinisello Balsamo. Fanno pompe ad aria compressa, valvole, cilindri. Imprenditori con i dané, ripete la gente. IL SEQUESTRO. Eppure, quello che sconcerta è la dinamica del sequestro. Marco Camozzi esce alle sette di sera dagli uffici nella palazzina di Brescia, centro della città. Prende la sua Bmw nera e va a Lumezzane, a casa di Roberto Gilherti. Cenano insieme, parlano di niente. Quando esce manca più di mezz'ora all'appuntamento con Annarita Sciannandone, la sua fidanzata, 28 anni, studentessa di economia e commercio. Va al bar Nelly, che sta a poche centinaia di metri dalla casa della ragazza. Incontra un amico, Del Bono. Lo saluta, e quando esce mancano dieci minuti alle nove. Quaranta minuti dopo, la prima telefonata a casa. Parla lui, e dice di essere stato rapito. Poi, un'altra voce, accento meridionale. Alle undici e mezzo, seconda telefonata: «Sto bene. Preparate i soldi. Richiamerò all'una e trenta». Novecento milioni, avverte l'altra voce. La Bmw è sparita nel nulla, prima stranezza. E perché parlava lui al telefono, quando i banditi hanno chiamato la famiglia? «Forse abbiamo a che fare con una banda di dilettanti», pensano gl'inquirenti. Nel pomeriggio, ieri, un'altra telefonata. E alla sera, l'ultima, per annunciare il rilascio. C'è qualcosa che non quadra. IL GIORNO DOPO. La macchina fino a ieri sera non era stata ancora trovata. E la famiglia aveva chiesto il silenzio stampa. Lodovico Camozzi, fratello di Marco: «A nome della famiglia, chiedo ai giornali e alle televisioni di astenersi dal riferire notizie su mio fratello. Questa mattina sui giornali abbiamo ietto notizie molto imprecise. Per il momento è meglio non scrivere nulla perché non si sa ancora nulla sull'intera vicenda». Qualche ora prima, il sostituto procuratore Francesco Piantone aveva replicato ai giornalisti: «Non posso dire nulla, avete già fatto abbastanza danni». Davvero? Pierangelo Sa pegno Nelle ore della scomparsa il giovane ha telefonato a casa sette volte Marco Camozzi (in auto sul sedile posteriore) dopo la liberazione all'arrivo nella caserma dei carabinieri La villa della famiglia Camozzi e in basso uno dei magistrati che seguono L'inchiesta