Scorsese: magico il cinema italiano

Roma, il regista al lancio di «Casinò» s'infiamma parlando dei vecchi film: «L'umanità sta smarrendo i sentimenti» «Nell'Ohio non si deve conoscere Fellini?» Scorsese: magico il cinema italiano ROMA. Commuove la passione con cui Martin Scorsese parla del cinema italiano. Commuove perché è merce assai rara vedere qualcuno che parla con intensità e competenza di una cosa che non ha creato lui ma che lo riguarda come fosse propria, e perché nel cinema ormai sono molto più numerosi i bravi esecutori che conoscono a perfezione ogni accorgimento tecnico di quanti non siano gli artisti all'inseguimento di un loro sogno segreto. A scoprirla, la passione autentica di Martin Scorsese per il nostro cinema e per tutto il cinema del passato, è un rossore diffuso che gli sale su dal collo fino alle tempie quando qualcuno lo invita a commentare il suo ultimo film «Casinò», interrompendo la lunga, lunghissima perorazione che sta facendo in favore della circolazione nel mondo delle vecchie pellicole. Un rossore che tradisce la rabbia contenuta a stento. «Non credo», dice, «che discorrere di questo mio ultimo film sia più importante che discutere del cinema e del suo destino. Per favore vorrei finire, il mio discorso». Solito completo scuro, solite sopracciglia cespugliose, solito sguardo infuocato e lampeggiante, Scorsese è arrivato in Italia per lanciare «Casinò», il film sugli anni d'oro di Las Vegas con Robert De Niro, Joe Pesci e Sharon Stone, di cui molto s'è scritto in questi giorni per la decisione della Uip di sostituire come voce di De Niro, Ferruccio Amendola con Gigi Proietti. Ma in Italia Scorsese è anche per andare a visionare a Cinecittà i bozzetti delle scenografie disegnate da Dante Ferretti per il suo prossimo film «Kundun - Il prescelto», la storia dell'ultimo Dalai Lama che dovrebbe cominciare in primavera a Dharamsala nel Nord dell'India. E soprat- tutto per incontrare gli amici registi italiani: Rosi, Pontecorvo, Tornatore, Monicelli li ha già visti, adesso aspetta di andare a cena con Bertolucci. «Cinque anni fa - racconta - ero andato a pranzo con FeDini e con Rosi. Fellini ci parlò di quello che avrebbe voluto girare. In Italia i soldi s'era detto disposto a fornirli il produttore Leo Pescarolo, io m'ero mosso per cercarli in America. Poi Fellini s'è ammalato e non se n'è fatto più niente. A John Turturro che sarà il protagonista di "La tregua" sono stato io a far vedere a New York molta dell'opera di Francesco Rosi per convincerlo ad accettare. I rapporti con il cinema italiano per me rimangono strettissimi, anche se proprio in Italia trovo più difficoltà ad ottenere le copie dei vecchi grandi film. Fino ad oggi ho messo insieme millecinquecento titoli che ho poi dato a due istituzioni, il Moina di New York e il Judge Eastern House, perché li facciano vedere ai giovani e la loro vitalità serva da linfa per le nuove generazioni». Considera il cinema una materia essenzialmente di studio? «Soprattutto una materia di crescita educativa. Perché una giovane donna dell'Ohio o uno studente dell'Idaho non devono mai aver visto "Accattone" di Pasolini, "Rocco e i suoi fratelli" di Visconti, perfino "La corona di ferro" di Blasetti? Nessuno di noi sa quali meccanismi possono scattare nel cuore e nel cervello di uno spettatore di fronte alla forza di certe immagini. Stiamo perdendo il nostro futuro. E non ce ne rendiamo conto». Come mai guarda al passato con nostalgia? In fondo è un uomo ancora giovane. «Ho l'impressione che l'umanità stia smarrendosi, che stiamo perdendo la forza dei sentimenti. Per questo al cinema racconto sempre storie di ieri. Anche solo di ieri l'altro, come in "Mean Streets", "Toro scatenato", "Good fellas" e adesso "Casinò". In fondo, in questa mia Las Vegas dominata dai mafiosi, mi pare che i rapporti tra la gente erano più sinceri, più diretti: allora si usava la pistola per far fuori gli avversari, oggi si usano i contratti legali». La violenza però era ugualmente sconvolgente? «Era esplicita. Da tragedia greca. Da grande cinema italiano. E spero che ci somigli, questo mio film, a un film italiano. Almeno nel titolo, "Casinò'Ml dramma umano è sempre lo stesso: T'ubris", la tracotanza, l'orgoglio infernale, il piacere smodato del potere. E' vero, le metafore sul potere distruttivo sono infinite. Le abbiamo sentite raccontare tutti. Eppure non bastano mai. Anzi, di fronte a questa società che trasforma il possesso in accumulazione, mi pare occorra rifletterci di nuovo». Simonetta Robiony Roma, il regista al lancio di «Casinò» s'infiamma parlando dei vecchi film: «L'umanità sta smarrendo i sentimenti» A sinistra Martin Scorsese: più che parlare del suo nuovo film, «Casinò», ha perorato la circolazione nel mondo delle vecchie opere italiane