«A 28 anni ricomincio a vivere con un cuore e un amore nuovi»

Roberta: quando sono arrivata qui volevo conoscere qualcuno che avesse appena subito il trapianto E' arrivato Ivan ed è sbocciata l'intesa «A 28 anni ricomincio a vivere con un cuore e un amore nuovi» ATTRAZIONE IN CORSIA PAVIA DAL NOSTRO INVIATO Ad aver consuetudine con la morte - quando capita - si sentono poi più forte l'amore, che è una cosa grande, ma anche le tante altre cose piccole che quotidianamente formano un'esistenza. Questa ragazza di ventotto anni che a mezzogiorno incontriamo nel corridoio del terzo piano dell'ospedale San Matteo di Pavia, con la morte ha avuto una lunga consuetudine e le cose di tutti i giorni se le sta riguadagnando, ad una ad una. La morte se l'è sentita accanto per tre anni. A un certo punto le avevano persin detto che non c'era niente da fare. Adesso è in piedi accanto al suo fidanzato. Hanno tutti e due la mascherina anti-microbi sulla faccia, hanno tutti e due un cuore nuovo, progettano di vivere insieme. Illusioni? «No». Aspettative? «Io - ci ha risposto con una voce che la mascherina assottigliava ancora di più - non mi aspetto nulla dalla vita». Cruda, come risposta. Ma va interpretata. Roberta - se abbiamo compreso bene - non voleva dire di essere senza speranze o senza aspettative. Ci voleva far capire che per una come lei ogni minuto, vale un anno, ogni respiro una primavera. Ci vorrà tempo. Sono passati appena dieci giorni da quando le hanno trapiantato un cuore nuovo. E come ci spiega il professor Mario Vigano, il mago pavese del cuore, pioniere di trapianti, dieci giorni fa si trovava «agli estremi della storia naturale della sua malattia». E' un modo forbito per dire che era a un passo dalla morte. Forse già oggi Roberta uscirà per la prima volta dall'ospedale per incontrare il soffio del freddo e della nebbia di Pavia che le sembrerà davvero l'alito della sua nuova vita. E comincerà la storia a due che ha trascinato qui, ieri mattina, con la solita confusionaria invadenza, giornalisti e telecamere per raccontare la straordinaria vicenda di Roberta Di Gregorio, di Roma, e Ivan Capizzano, di Cosenza. Ventott'anni tutti e due. Innamorati, anzi sposi promessi, uniti dal de¬ stino non comune di essersi conosciuti sull'orlo del precipizio di due esistenze segnate dal cuore malato; e insieme, adesso, rinati ad una doppia nuova vita. Si vorrebbe poter capire bene com'è nata questa storia, poter rimanere insieme delle ore per provare a immaginare come dev'essere incontrarsi, guardarsi, capirsi, sperare e insieme rinascere, loro che più d'una volta hanno pensato, e forse disperato, di perderla del tutto la loro vita. Ma come si fa? Troppi fotografi, troppe telecamere, troppa invadenza. Troppe domande che miravano ad incasellare in uno schema ordinario la loro straordinaria storia. Avete fissato la data del matrimonio? Vivrete a Roma? Volete dei bambini? I due ragazzi, fermi e dignitosi, sono riusciti ad evitare la banalità di tanta curiosità e hanno risposto con una saggezza che viene dal profondo di quel pozzo in cui la malattia li aveva precipitati e dal quale stanno ora riemergendo. Chi ha visto la morte tanto da vicino, si dice diventi qualcosa di più, come se trasfigurasse la sua sostanza umana. Massi, la piccola Roberta, con i suoi occhi scuri, ci guardava dall'alto di un'altra dimensione umana: la sua voce, dolce e mai insicura, sembrava quella di un angelo. Ivan l'hanno trapiantato a maggio, un mese prima di sua mamma, ammalata della stessa irrimediabile malattia trasmessa al figlio. Tutto bene e un rapido ritorno alla normalità della vita di studente universitario, Economia e commercio. A Pavia ci tornava spesso, anzi a Montescano, qui vicino, sull'Oltrepò, dove si trova il centro di riabilitazione e di collegamento tra i trapiantati. Roberta è arrivata in autunno dopo un'agonia di quasi tre anni per una malattia rarissima, unica, ci spiega il professor Vigano: una «cardiomiopatia autoimmune» che le aveva provocato danni irreversibili al tessuto muscolare del cuore. Era come se vivesse con una perenne crisi da rigetto del suo stesso cuore o come se le fosse stato trapiantato un cuore sbagliato. Quand'è arrivata a Pavia ha chiesto di conoscere una persona che avesse da poco superato il trapianto, per capire cosa l'aspettava. E Ivan, ci ha raccontato un'infermiera, si dava molto da fare tra le corsie del San Matteo, come non aspettasse altro che di trovare la sua Roberta. Si sono cercati prima di conoscersi, i loro destini sono andati ad incrociarsi attratti da una trama magnetica inesplicabile. Lei era impiegata all'Iri e suonava il sassofono «per gioco» finché la sua vita si è commutata in un'agonia, al fondo di un letto del Policlinico Gemelli, Roma. E adesso? «Vedremo il decorso», risponde. Vuol tornare a lavorare? «Il lavoro - dice con angelica pacatezza - l'ho perso per malattia. E lei sa meglio di me come vanno queste cose». Là fuori il mondo va avanti con le sue misure, mica ha tempo di aspettare una cardiopatica. Ma sembra che non le importi molto, per adesso. E' Ivan che parla di lavoro, lui che non l'ha mai avuto. Dice che alla fine di febbraio darà un esame all'università, fa capire che ha voglia e fretta di lavorare, precisa «nel terziario», che vuol dire in banca o qualcosa del genere. Poi guarda la sua Roberta. Dice che non hanno ancora parlato di date, di figli, di niente. Ma invece si capisce che ne hanno parlato, eccome. Il fatto è che lui, con il suo cuore già collaudato, si mostra frettoloso. Chiediamo al professor Vigano se un amore serve a guarire prima. Insomma, se un cervello innamorato trasmette impulsi benefici al cuore nuovo. Essendo uno scienziato e non un poeta, Vigano risponde dicendo che «un punto di riferimento si riverbera in modo positivo». Come dire: c'è un motivo in più per spingersi a vivere. Potranno avere figli? «Certamente». E' già accaduto? Molte volte per pazienti maschi; una volta, a memoria di Vigano, per donne trapiantate: una ragazza di Firenze, operata dieci anni fa, recente mamma. E l'assistente del chirurgo rivela che quello tra Roberta e Ivan non è nemmeno il primo amore tra due trapiantati. Ma custodisce l'inedita storia nel segreto delle sue cartelle cliniche. Roberta dice che è stanca e che vuole tornare nella sua cameretta. Proviamo a rubarle un altro pezzo di anima: quanto ha aspettato la vita? «Tre anni». Tre anni per un trapianto? «No, solo tre mesi per il cuore nuovo. Prima mi avevano detto che ero inguaribile». Senza speranza? «Senza speranza». Più di due anni accanto alla morte? «Sì, più di due anni in ospedale. Ho pregato molto Dio...» Poi si volta verso Ivan e aggiunge: «Mi ha aiutato molto lui». Chi? Ivan? «No...». E sorride accartocciando la mascherina. «... mi ha aiutato Dio. Le sembra sciocco?» No. Auguri. Cesare Martinetti Roberta: quando sono arrivata qui volevo conoscere qualcuno che avesse appena subito il trapianto E' arrivato Ivan ed è sbocciata l'intesa «Siamo innamorati forse ci sposeremo ma è presto per dirlo Un mese fa lottavo ancora contro la morte» —t ll Policlinico San Matteo dove i due giovani hanno subito il trapianto di cuore. Accanto i protagonisti della storia: Roberta Di Gregorio e Ivan Capizzano, entrambi ventottenni

Persone citate: Cesare Martinetti Roberta, Ivan Capizzano, Mario Vigano, Massi, Roberta Di Gregorio