Fenice un giallo dietro al rogo

Venezia: caccia ai responsabili, il giudice Casson ha disposto il sequestro. Venezia: caccia ai responsabili, il giudice Casson ha disposto il sequestro. Fenice, un giallo dietro al rogo «L'impianto anti-incendio era disattivato» VENEZIA DAL NOSTRO INVIATO «Io ho fatto quello chn dovevo fare, quello che faccio sempre. Ero salito al secondo piano, dove ci sono gli uffici, per spegnere le luci e i computer: c'e sempre qualcuno che si dimentica... Davanti al foyer, proprio di fronte alle Sale Apollinee, quelle dove si tengono le conferenze, ho sentito odore di fumo. Ho aperto la finestra, pensavo venisse da fuori, e la voce di una donna gridava: "Bruza ci teatro!, bniza el teatro!" Oh Madòna! Ho aperto la porta tagliafuoco delle Sale, ho illuminato con la torcia, c'era fumo denso e ho visto due lingue di fuoco. Ho chiamato subito i pompieri, e mi hanno detto che stavano già arrivando...» Il signor Gilberto, nel fumo che insiste e davanti al portone che non c'è più, adesso guarda l'insegna d'oro e ferro che pende dalla balconata: «Gran Teatro La Fenice», annunciava e annuncia: ed è tutto quel che resta. A Gilberto, che si passa la coppola viola sugli occhi, l'aquila sembra beffarda. «Come volesse sfidare i veneziani, come dicesse: e ora quando scoprirete cosa ini è successo? Quanto tempo ci metterete a ricostruirmi?». Gilberto Paggiaro, 55 anni, da 13 è il custode del Teatro. Un custode metodico e pignolo, una garanzia. Ma l'altra sera, «sarà stato un po' prima delle nove», ò stato l'ultimo ad accorgersi e l'ultimo a uscire. A mezzogiorno, davanti a La Fenice, sono al lavoro le troupe per le dirette tv. Gilberto è ancora qui, controlla, ripete, spiega, risponde agli orchestrali, agli impiegati, ai vigili del fuoco. Anche per il sostituto procuraratore Felice Casson è «il testimone». Il custode che dalle sette di sera a mezzanotte controlla che tutto sia in ordine, che il pericolo più temuto, l'incendio appimto, resti soltanto quel brutto ricordo di 160 anni fa. «Mi cerca il sindaco? Vado subito». All'una anche Gilberto è convocato a Ca' Farsetti, in Municipio, per la conferenza stampa di Massimo Cacciari. Sta in piedi, in ultima fila, la coppola viola stretta in mano. Nella sala del consiglio comunale, accanto a Cacciari, è seduto Alfio Pini, il comandante dei 109 vigili del fuoco di Venezia. Per un'ora parlano e rispondono cercando l'impossibile. Cosa è successo? Ancora non si può dire. E neppure domani e dopodomani, aggiunge Pini. Perché gli incendi sono vigliacchi, si nascondono e le macerie coprono le tracce. Quanti focolai di incendio? «Non siamo in grado di dirlo ». E poi questa è una città a rischio, gli incendi di Venezia sono i peggiori, dieci anni fa i cinque morti ai magazzini Coin, e Cacciari li ha sempre temuti: «L'altra notte abbiamo salvato la città da un incendio catastrofico». Ma è proprio nelle parole di Cacciari e Pini che si nasconde la paura dei veneziani. E' la città dell'acqua, ma quando c'è fuoco l'acqua non c'è o non basta. «Però non dite che non è stato fatto niente, io sono qui da quattro anni e posso dire che sia- mo a buon punto», giura Pini. A Cacciari non va giù questa beffa de La Fenice: «Quella zona l'avevamo individuata come a maggior rischio. E proprio lì, come dice un tragico cartello rimasto intatto, avevamo cominciato i lavori». Beffa: i rii erano stati prosciugati, via la melma di mezzo secolo, per abbassare il fondale e permettere l'arrivo dei pompieri. In caso di incendio. Il comandante Pini cerca di anticipare domande e polemiche. «I rii prosciugati non c'entrano. Tanto non saremmo arrivati fin sotto il Teatro, proprio lì c'era la maggiore intensità di fuoco». Ma non riesce, come Cacciari, a pronunciare la parola «fatalità». Impossibile, a Venezia. Impossibile in una città di legno. Impossibile in una città dove il primo bocchettone antincendio sarebbe stato proprio quello in Campo San Fantin, davanti a La Fenice. Perché questa è una città infiammabile. Perché, come dice Cacciari, anche la sala del consiglio comunale non è in regola con le norme antiincendio: «A Venezia nulla lo è». I giornalisti americani, candidi, domandano a Cacciari cosa significa l'incendio de La Fenice per i ve¬ neziani. «Delle cose che ami è meglio non parlare», risponde lui. Freddo e cortese, in pubblico. Stanco e teso con gli amici: «Più che arrabbiato sono addolorato. Ma potrei diventare feroce quando si conosceranno le cause di questa tragedia». E qui s'avanza il sospetto che pesa. Quello che in conferenza stampa, versione diplomatica, era un apparente, banale e doveroso «verificheremo le responsabilità di tutti, in primis quelle dell'amministrazione comunale». Al momento si salvano solo pompieri e soccorritori. Le responsabilità? Il giudice Casson, per non sbagliare, ha messo quel che resta de La Fenice sotto sequestro. Al sindaco risulta che l'impianto anti-incendio, così come l'allarme che segnalava perfino il fumo di una sigaretta, era disattivato. La «Veneta restauri», che ha l'appalto dei lavori di ristrutturazione del Teatro, si era impegnata a non utilizzare materiale infiammabile. «Tutti pensavamo di essere nella più assoluta sicurezza. Con il senno di poi non bastava», si arrende Cacciari. Il cantiere era, come si dice, «inerte»: nessun materiale infiammabile, l'impianto elettrico disattivato tranne che negli uffici. Il primo sospetto, il più facile, è finito contro la «Veneta restauri». Che non abbiano rispettato i patti, che abbiano violato le norme di sicurezza? Virginio Palmarin, il titolare, respinge e rilancia. «Noi lavoravamo, con altre ditte, soltanto a pian terreno. L'incendio si è sviluppato dall'alto, dall'ultimo piano, e infatti il custode non se n'era accorto. Io non ho mai visto nessuno andare a lavorare lassù, bisognerebbe sapere se c'erano altri appalti del comune. E poi perché non si dice che il Teatro era in attività, con prove, costumisti, orchestrali, impiegati? Perché dev'essere colpa nostra per forza? Si vogliono cercare le responsabilità solo nelle aziende?». A sera de La Fenice restano l'insegna dorata e la facciata che non smette di fumare. Il signor Gilberto è ancora qui, con la sua coppola viola in mano. Ha visto l'attore Gabriele Ferzetti passare, fermarsi, guardare l'orrore e andar via per Calle de la Verona trascinando una enorme valigia. Ha visto la donna che ha appiccicato al muro del Sotoportego de la Malvasia Vecia una poesia scritta con biro nera. Ricorda l'incendio del 1836 e questo, cabala e rima: «Oh Fenice felice! Quanto è triste questo momento (. Rinascerai. Tu aquila della cenere che il sei nascosto nel 36 e nel 96 a te conviene per dimostrare quello che sei». Rinascere un'altra volta, la terza. «Gli austriaci nel 1836 ci avevano messo 18 mesi», commenta Andreina Zitelli, docente alla facoltà di architettura. «E intanto noi cosa facciamo, si salva la stagione?», domanda la contessa Barbara Valmarana, presidente degli «Amici de La Fenice». Rientrato all'alba da Varsavia, Gianfranco Pontel, già deputato psi e ora sovrintendente del Teatro, promette che il programma verrà rispettato, compreso Woody Alien e il suo clarino il 1° marzo: al teatro Goldoni, però. E ripromette: «Nel mondo solo la Scala era alla nostra altezza. Il teatro sarà ricostruito dov'era e com'era». Proprio com'era no. Ricostruito con maggiore sicurezza. E' polemica sui soccorsi «I rii erano stati prosciugati e hanno ritardato l'arrivo dei pompieri» Il filosofo ottimista «In due anni tornerà a vivere dov'era ed esattamente com'era Quanti soldi servono? E' come chiedere quanto costa San Marco» ORE 20,30 L'INCENDIO SCOPPIA NELLE SALE APOLLINEE CHE SI TROVANO SOPRA L'INGRESSO DEL TEATRO ORE 22 NONOSTANTE L'INTERVENTO DEI VIGILI DEL FUOCO CROLLA IL TETTO SOPRA LA PLATEA E I PALCHI N4-Hd4 > 5: ORE 21,10 HI INTERVENGONO I VIGILI DEL FUOCO. IL RIO DELLA FENICE E' IN SECCA PER LO SCAVO DEI FANGHI E I POMPIERI DEVONO FERMARSI DAVANTI AGLI SBARRAMENTI ARRAMENTI PONTE DELL'ACCADEMIA Nella cartina e nel grafico la ricostruzione dell'incendio divampato lunedì sera e che ha quasi completamente distrutto lo storico teatro. La Fenice era stata aggredita dalle fiamme già nel 1836: la ricostruzione si era conclusa in poco più di un anno L

Luoghi citati: L'aquila, Varsavia, Venezia