Sesso scandalo, ma di maniera«Dopo Courbet, solo trovate di retroguardia»

Sesso scandalo, ma di maniera^ Tiepide, perplesse, insoddisfatte reazioni a Parigi per «Féminin-Masculin» Sesso scandalo, ma di maniera^ Dopo Courbet, solo trovate di retroguardia EPARIGI ERCHE' tutti escono dalla mostra Feminin-Masculin del Centro Pompidou e dicono - visibilmente, lo deduci anche dagli sguardi - di essere insoddisfatti? Perché quasi tutti ti ripetono: sì, sì, vai pure, per curiosità, ma non vale davvero la pena? La Stampa si è già occupata dell'annuncio di questa mostra, assai chiacchierata e che si proponeva come un evento epocale. Forse sarà utile interrogarsi ora sul perché di queste tiepide reazioni. Inevitabile, ma un errore comunque strategico, offrire ad apertura di mostra quel capolavoro impressionante e assoluto (nel senso che poco può stargli a confronto)' che è L'origine du monde di Courbet (la tela che anche il professor Lacan teneva segretamente occultata nel proprio studio). E che potenzia il grande choc di quel sessoantro sporto pericolosamente sullo spettatore, con una pasta pittorica partecipe e fin anelante, che quasi si disfa e consuma nella fragile riserva boschiva del Monte di Venere. E' una soglia troppo radicale, metafisica, per essere superata di- sinvoltamente: anche il visitatore più distratto ne rimane come impigliato, stranito. Figurarsi, iniziare poi quell'interminabile viaggio-litania tra opere già-viste mille volte e scarse trovatine di retroguardia! Anche perché il destino logicistico finisce di affiancare a quella grande scena di vello cosmico, un'altra delle poche opere davvero impressionanti (con i bellissimi pomo-disegni di Wahrol) ed in fondo riassuntiva dell'intiera mostra, cioè quel Twosome del 1991 della Bourgeois, che è un gigantesco, nero pistone-locomotiva grande come una casa, in cui non puoi penetrare, ma di cui intravedi a sbuffo l'epidermide rosso incandescente, come di un sesso in ebollizione, che non smette di avanzare dentro fuori, a cannocchiale. Sarcastico nautilus ginecologico, che in un'unica forma inafferrabile riesce a riepilogare (e senza tanti sproloqui insopportabili) molti dei temi pretenziosi di questa rassegna. Il sesso come macchina ludica ed insieme perse- cutoria, l'androginia meccanica di un fallo che si penetra da solo, femminizzandosi, l'assolutizzarsi di un colore primario e simbolico, il solidificarsi ironico ma temibile di un immaginario lautremontesco, velato di paure sadiane. Tutto bruciato subito, a conferma proprio della grandezza che ha pochi eguali della terribile signora di New York (e quella meravigliosa, interminabile palandrana di loden western, che pende come una lingua vogliosa!): così quando dopo troppi passi in¬ contri l'auto-erotica macchina penetrativa di Nani June Paik Fucking clock del '92, o le sculture molli di epigoni sfrontate come Sylvie Blocher (che copia anche Parmiggiani) o di Lynda Benglis, davvero, ti sembra di guazzare in un mare di ripetizioni scolastiche, asfittiche. E ti pare di avere già visto tutto, da sempre. Così, basta! Non è possibile imbattersi per l'ennesima volta nell'Orinatoio di Duchamp o nel suo Scolabottiglie. Non se ne può davvero più: il potenziale di scandalo viene come neutralizzato in una radicale crisi di assuefazione e iperdosaggio. Ne hai appena visti uno o due identici di scolabottiglie in altre mostre disseminate per Parigi e l'effetto di rigetto è immediato. Assez.' Così come non se ne può più di coordinate cartesiane fasulle e lambiccate, per cui ci sarebbe la linea-mac?io del Picasso fallico, che strapazza le modelle e ciancica la pittura-femmina, mentre dall'altro canto si oppone il celibe Duchamp di Rrose Sélavy, con l'androginia rivoluzionaria dell'oggetto, retrouvé che sia, oppure concettuale. Fateci grazia di queste categorie di comodo che suonano tanto intellettuali ed in realtà non scardinano più nessuna velleitaria sociologia dell'arte! E soprattutto, ò divertente: tutti a trattare Jean Clair da reazionario, da catalogatore perverso (anche qui, nelle inteiviste dei curatori ci si vuole contrapporre all'atmosfera «malata, morbosa che dominava a Venezia, perché pensiamo che l'erotismo sia una prospettiva da! valore sovversivo»). E sia: ma allora ci si spieghi come mai siano confusamente presenti gli stessi artisti, talvolta le stesse opere di Palazzo Grassi, dal sesso-feltro di Morris a Gaston Lachaise, da Brauner alla Bourgeois, da Leroy alla O'Keeffe, da Klein al delirante psichiatra de Clérambault (maestro di Lacan) che si sparò davanti ad uno specchio. E che fotografò maniacalmente solo donne velate marocchine: che avevano molto più senso in una mostra sul corpo che non sulla sessualità dell'arte. Non è per lo meno inquietante, per dei curatori che sono così convmti d'essere sovversivi mostrare esattamente le stesse cose? Sai, poi, quale sovversione, esporre i prevedibilissimi Mapplethorpe, Bellmer, Dall', Kapoor, Magritte, Fontana, Niki di Suint-Phalle (basta il nome). O il Dix di Sogno sadiano, con la premurosa tendina davanti, che oggi non scandalizza più nessuno. Una fiera del prevedibile, insomma, e pochissime sorprese, tranne forse quell'Aline Neil, americana nata col secolo, che propone una specie di Hodler o di Klimt porcellone, con un nudo afflitto da troppi sessi, compreso uno che spunta da sotto la seggiola, come un topo. Anche i giovani più interessanti, quali il premio Villa Medici Othoniel o il belga Creten, fanno in fondo del consapevole manierismo: l'uno manipolando alla Medardo Rosso lo zolfo caro a Kapoor e Parmiggiani (e nascondendo nella solidificata materia degli Ani Solari alla Bataille), l'altro materializzando dei pantaloni ceramico-pelosi, alla Leoncillo malizioso. Quello che manca è un vero freno all'onnivoracità, al Dizionario del Novecento: o basta un sospetto di graffito fallico a far entrare di straforo nel novero anche Cy Tombly, e poi Pollock e Oldenburg e Fautrier, purché all'appello non manchi nessuno? Se ogni Arp è mi sesso, allora tutta l'arte è sessualità, per la gioia del Professor Freud. Suvvia, ci sarà lecito confessare che preferiamo la tanto disprezzata eppure più intelligente, selettiva linea «regnante della melanconia» veneziana? Marco Vallerà Un viaggio litania tra opere già viste mille volte: alla fine provoca rigetto «Femme pinceau» di Yves Klein in mostra a Parigi per «FémininMasculin», al Centre Pompidou: il sesso come macchina ludica in un mare di ripetizioni scolastiche, con poche eccezioni (Bourgeois, Wahrol) Capri in un disegno di Alis Lievi

Luoghi citati: Capri, New York, Parigi, Venezia