Da modella di Degas a maestra del nudo

La straordinaria avventura di Suzanne Valadon La straordinaria avventura di Suzanne Valadon Da modella di Degas a maestra del nudo SMARTIGNY UARD ATELA, la modella amante di Puvis de Chavannes e di Renoir, di Toulouse-Lautrec e di Zandomeneghi, Marie-Clementine Valadon, la «terrible Marie», nella prima opera nota, l'autoritratto a pastello del 1883, a diciotto anni, già firmato con il «nom d'artiste» Suzanne Valadon. E' il pezzo d'esordio dell'ampia sezione di grafica e di documentazione fotografica della mostra di 140 opere dedicata alla pittrice dalla Fondazione Gianadda, fino al 27 maggio. Subito accanto, una stupenda foto, dura, frontale, verso il 1890. In entrambi i casi, con perfetta impressionante coincidenza fra l'atteggiamento di fronte all'occhio fotografico e l'occhio interiore che guida la mano «ingenua» ma aggressiva ed espressiva davanti allo specchio, l'occhio freddo, acuto, avido, di chi ha già visto tutto e sa già tutto della vita, e la bocca sprezzante, leggermente prognata, evocano straordinariamente la giovane Jeanne Moreau dell'Ascensore per il patìbolo, degli Amanti di Malie, della Notte di Antonioni. Nella seconda metà del nostro secolo, espressione della cultura fra esistenziale e fenomenologica, i personaggi della Moreau rifiutano per noia i loro ruoli di signore borghesi; alla fine dell'800, nel mondo ancora totalmente maschilista fra positivismo e simbolismo, la «terrible Marie», figlia di ignoti, forse di un ingegnere della Parigi-Orleans in costruzione che ha messo incinta la madre cameriera d'albergo con il marito fabbro e falsario ai lavori forzati (Zola à gogò), e che a sua volta in quel 1883 ha partorito un figlio di ignoti che sarà Maurice Utrillo, vuole con volontà feroce salire, dalla posa nuda e dal letto di maestri accademici e impressionisti stupiti dalla sua vitalità e sete di conoscenza, al ruolo di «peintre artiste». Già pochi anni dopo quel primo pastello Toulouse-Lautrec, vittima sacrificale e drammatica di quell'assatanata in tutti i sensi, le riconosce il ruolo, nell'olio Madame Suzanne Valadon, artiste peintre. Passerà ancora un decennio e il 1894 è la data sicura di due disegni acquistati dal misogino Degas, ammiratore «puro» dell'artista: «Di tempo in tempo, nella mia sala da pranzo, io guardo il vostro disegno a sanguigna, che vi è sempre appeso; e mi dico sempre: "Cette diablesse de Marie avait le genie du dessin"». Degas è il padre-maestro, il nume da non coinvolgere nella fisicità prepotente di Marie-Suzanne; è il maestro di disegno e di incisione, il garante del molo raggiunto, anche per la sua immagine comportamentale di grande borghese, lontano da Pigalle e Montmartre. Le fotografie continuano a documentare questa straordinaria vicenda psicologica e sociale. A metà degli Anni 90 l'ormai definitiva Suzanne, viso più pieno, meno febbrile ma sempre forte, tenace, grande «pellegrina elegante e severa, colbacchetto, cagnolino, tiene per mano il ragazzo Maurice, anch'esso assetato ed elegante, cui da poco ha dato un cognome il giornalista spagnolo Miguel Utrillo y Morlius per favorire il matrimonio di Suzanne con l'agente di cambio Paul Mousis, cat¬ tolico rigoroso. Vien da chiedersi quanto abbia giocato nella psiche profonda della «terrible Marie» il ricordo di aver posato in quel solito 1883 per i due Balli di Renoir, quello «bohémien» A Bougival e quello di società A la ville. Il mascheramento, già traballante di fronte alle crisi alcoliche del giovane Maurice che martirizzeranno tutta la vita della madre, salta nel 1909 con lo scate¬ narsi vitale della passione della quarantaquattrenne Suzanne per il pittore ventitreenne André Utter e il ritorno a Montmartre. Fino ad allora, il goloso e persino violento senso vitale dell'immagine, la cui evidenza e sostanza fisica contraddice con bellissima ambiguità tracce di intenzionalità classica, quasi ingresiana alcune teste di se stessa, della vecchia madre, del piccolo Mau¬ rice -, forse ispirate da Puvis de Ghavannes, si riversa soprattutto sui fogli a matita e a pastello. Sono evidentissimi i modelli, Toulouse e soprattutto Degas, ma è tutta di Suzanne la corporeità addirittura brutale dei suoi nudi femminili, la forza di un segno duro, pesante, avido di tangibilità, che certo denota l'attenzione e la conoscenza della cultura «nabis» - Gaugxiin, Vallotton - ma con risultati del tutto opposti al sintetismo simbolico. Una qualche dolcezza è riservata ai nudini del figlio, ma sempre subordinata ad una tangibile evidenza. Con l'eccezione di mia rara, primigenia Natura morta del 1900 di evidente radice gauguiniana, vent'anni di quel tipo di immagine grafica esplodono nella pittura di nudo dopo l'incontro con Utter. Non si tratta più della sfida della modella che Degas ammira come autrice di «terrible desseins»; ora la sfida è nei confronti della pittura moderna «femminile» dalla Cassat e dalla Morisot alla Laurenoin. In un suo mondo incomparabile di fisicità totale, che appiattisce spazi ribaltati e ricchezza densa di stoffe orientali (con singolari rispondenze, da Casorati a Cavalieri degli anni 1910) per modellare in massima evidenza carni femminili e maschili pariteticamente godute dall'occhio e dal pennello, con brividi d'ombra verde e azzurra che recano una minima traccia di «fauvismo», anche la Valadon appartiene alla stagione antiimpressionista dei «Fauves» e dei cubisti, anche quando con splendida ingenuità obbliga se stessa e Utter a posare per gran quadri simbolici alla Hodler, Adamo ed Eva, la Gioia di vivere, i lanciatori di rete. In realtà, con quarant'anni d'anticipo, può dare dei punti a Lucien Freud. Marco Rosei Martigny rievoca la «diavolessa» dì Parigi fine '800, il suo disegno duro, brutale, avido Suzanne Valadon a Martigny: sopra «La Chiesa di S. Bernardo»; a destra, «Nudo seduto»

Luoghi citati: Bougival, Parigi